Il Green Recovery Tracker analizza i Pnrr europei: ecco buoni e cattivi
Il Green Recovery Tracker monitora l'uso del denaro dell'Unione europea per i piani di rilancio nazionali. Ecco come si classificano i Paesi
Far ripartire l’economia, ma non ad ogni costo. Certamente non continuando ad allontanarci dagli obiettivi che la comunità internazionale si è fissata in materia di lotta ai cambiamenti climatici. Il Green Deal europeo è, come noto, un imponente piano di rilancio dei sistemi produttivi post-pandemia. Ma, appunto, esso dovrà essere “indirizzato”. Ciò per evitare che si continuino ad alimentare settori estremamente nocivi in termini di emissioni di gas ad effetto serra. È per questa ragione che è nato il Green Recovery Tracker, un’iniziativa lanciata dal think tank internazionale (con sedi a Bruxelles, Berlino, Londra e Washington) E3G, assieme all’Istituto Wuppertal.
Con il Green Deal stanziati 673 miliardi di euro per la ripresa post-pandemia
I legislatori europei, infatti, al momento del lancio del Green Deal, hanno spiegato che una parte dei 673 miliardi di euro stanziati per aiutare le nazioni a riprendersi dopo il Covid-19 dovrà essere utilizzata per progetti legati alla transizione ecologica. Investimenti e riforme che possano dunque agevolare la riduzione delle emissioni climalteranti.
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Esatto. I governi dell’Unione europea e le istituzioni comunitarie hanno indicato che il 37% del denaro concesso dovrà essere utilizzato per progetti a tutela dell’ambiente e del clima.
Si tratta di un valore che è stato criticato aspramente dalle organizzazioni non governative, poiché giudicato troppo basso. E perciò incapace di rendere operativo l’Accordo di Parigi, che chiede di limitare la crescita della temperatura media globale ad un massimo di 2 gradi centigradi (ma rimanendo il più possibile vicini agli 1,5 gradi), entro il 2100, rispetto ai livelli pre-industriali. La stessa attivista svedese Greta Thunberg ha spiegato come a suo avviso il Green Deal sia decisamente troppo poco ambizioso.
D’altra parte, rovesciando la medaglia, la percentuale minima del 37% significa in effetti che il 63% (ovvero quasi i due terzi degli stanziamenti) potrà essere concesso a “qualunque cosa”. A società e progetti neutri dal punto di vista delle emissioni di CO2. Ma anche a settori che, con i loro business, non fanno altro che rendere più complessa la battaglia climatica. A partire dal comparto delle fonti fossili. In altri termini, che senso ha dedicare, ad esempio, il 10% delle risorse del Green Deal allo sviluppo delle energie rinnovabili se, al contempo, si dedica il 20% allo sfruttamento di petrolio, gas e carbone?
L’obiettivo del Green Recovery Tracker
Detto ciò, è fondamentale, per lo meno, che la quota minima del 37% venga rispettata. Il Green Recovery Tracker è stato ideato proprio a tale scopo.
Gli esperti che lavorano al progetto si occupano infatti di analizzare tutte le misure annunciate da ciascun governo europeo. Obiettivo: determinare se esse siano o meno positive per il clima. Ma come effettuare tale valutazione? L’E3G e l’Istituto Wuppertal hanno deciso di basarsi sulle stesse definizioni adottate dalla Commissione europea: ovvero la tassonomia delle attività economiche considerate “sostenibili”.
Quest’ultima è infatti ancora in divenire: le discussioni su gas e nucleare non sono ancora state concluse. Ma è comunque possibile utilizzare delle classificazioni. E i risultati forniti finora dal Green Recovery Tracker indicano quali sono i governi più virtuosi, e quelli invece che hanno destinato meno fondi alla transizione. In tale speciale classifica è la Finlandia la nazione che appare meglio piazzata, con il 44% dei circa 2,1 miliardi di euro ricevuti considerati “buoni” o “molto buoni” per il clima.
È vero che governi e istituzioni europee sono stati troppo spesso timidi nell’agire contro i cambiamenti climatici, ma hai ecceduto col pessimismo. Non è pari al 12% bensì al 37% la quota minima di denaro concesso che dovrà essere utilizzata per progetti a tutela dell’ambiente e del clima.
Si tratta di un valore che è stato criticato aspramente dalle organizzazioni non governative, poiché giudicato troppo basso. E perciò incapace di rendere operativo l’Accordo di Parigi, che chiede di limitare la crescita della temperatura media globale ad un massimo di 2 gradi centigradi (ma rimanendo il più possibile vicini agli 1,5 gradi), entro il 2100, rispetto ai livelli pre-industriali. La stessa attivista svedese Greta Thunberg ha spiegato come a suo avviso il Green Deal sia decisamente troppo poco ambizioso.
D’altra parte, rovesciando la medaglia, la percentuale minima del 37% significa in effetti che il 63% (ovvero quasi i due terzi degli stanziamenti) potrà essere concesso a “qualunque cosa”. A società e progetti neutri dal punto di vista delle emissioni di CO2. Ma anche a settori che, con i loro business, non fanno altro che rendere più complessa la battaglia climatica. A partire dal comparto delle fonti fossili. In altri termini, che senso ha dedicare, ad esempio, il 10% delle risorse del Green Deal allo sviluppo delle energie rinnovabili se, al contempo, si dedica il 20% allo sfruttamento di petrolio, gas e carbone?
L’obiettivo del Green Recovery Tracker
Detto ciò, è fondamentale, per lo meno, che la quota minima del 37% venga rispettata. Il Green Recovery Tracker è stato ideato proprio a tale scopo.
Gli esperti che lavorano al progetto si occupano infatti di analizzare tutte le misure annunciate da ciascun governo europeo. Obiettivo: determinare se esse siano o meno positive per il clima. Ma come effettuare tale valutazione? L’E3G e l’Istituto Wuppertal hanno deciso di basarsi sulle stesse definizioni adottate dalla Commissione europea: ovvero la tassonomia delle attività economiche considerate “sostenibili”.
Quest’ultima è infatti ancora in divenire: le discussioni su gas e nucleare non sono ancora state concluse. Ma è comunque possibile utilizzare delle classificazioni. E i risultati forniti finora dal Green Recovery Tracker indicano quali sono i governi più virtuosi, e quelli invece che hanno destinato meno fondi alla transizione. In tale speciale classifica è la Finlandia la nazione che appare meglio piazzata, con il 44% dei circa 2,1 miliardi di euro ricevuti considerati “buoni” o “molto buoni” per il clima.
Purtroppo no, il valore che hai indicato sarebbe stato certamente utile per tutelare ambiente e clima, ma i governi dell’Unione europea e le istituzioni comunitarie hanno scelto una strada diversa. È infatti pari al 37% la quota di denaro concesso che dovrà essere utilizzata per progetti a tutela dell’ambiente e del clima.
Si tratta di un valore che è stato criticato aspramente dalle organizzazioni non governative, poiché giudicato troppo basso. E perciò incapace di rendere operativo l’Accordo di Parigi, che chiede di limitare la crescita della temperatura media globale ad un massimo di 2 gradi centigradi (ma rimanendo il più possibile vicini agli 1,5 gradi), entro il 2100, rispetto ai livelli pre-industriali. La stessa attivista svedese Greta Thunberg ha spiegato come a suo avviso il Green Deal sia decisamente troppo poco ambizioso.
D’altra parte, rovesciando la medaglia, la percentuale minima del 37% significa in effetti che il 63% (ovvero quasi i due terzi degli stanziamenti) potrà essere concesso a “qualunque cosa”. A società e progetti neutri dal punto di vista delle emissioni di CO2. Ma anche a settori che, con i loro business, non fanno altro che rendere più complessa la battaglia climatica. A partire dal comparto delle fonti fossili. In altri termini, che senso ha dedicare, ad esempio, il 10% delle risorse del Green Deal allo sviluppo delle energie rinnovabili se, al contempo, si dedica il 20% allo sfruttamento di petrolio, gas e carbone?
L’obiettivo del Green Recovery Tracker
Detto ciò, è fondamentale, per lo meno, che la quota minima del 37% venga rispettata. Il Green Recovery Tracker è stato ideato proprio a tale scopo.
Gli esperti che lavorano al progetto si occupano infatti di analizzare tutte le misure annunciate da ciascun governo europeo. Obiettivo: determinare se esse siano o meno positive per il clima. Ma come effettuare tale valutazione? L’E3G e l’Istituto Wuppertal hanno deciso di basarsi sulle stesse definizioni adottate dalla Commissione europea: ovvero la tassonomia delle attività economiche considerate “sostenibili”.
Quest’ultima è infatti ancora in divenire: le discussioni su gas e nucleare non sono ancora state concluse. Ma è comunque possibile utilizzare delle classificazioni. E i risultati forniti finora dal Green Recovery Tracker indicano quali sono i governi più virtuosi, e quelli invece che hanno destinato meno fondi alla transizione. In tale speciale classifica è la Finlandia la nazione che appare meglio piazzata, con il 44% dei circa 2,1 miliardi di euro ricevuti considerati “buoni” o “molto buoni” per il clima.
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Purtroppo è proprio così: l’Italia figura all’ultimo posto, con soltanto il 16% del totale dei fondi concessi a progetti legati alla transizione ecologica. Una percentuale lontanissima dal minimo stabilito del 37%. Va detto, per dovere di cronaca, che per alcune nazioni i dati non sono disponibili. È il caso, ad esempio, della Grecia, per la quale il Green Recovery Tracker mette a disposizione solo un report principale.
How green is the Italian #PNRR?
— ECCØ (@eccoclimate) June 16, 2021
Italy has a tough task ahead on #climatechange, although it is getting more than any other EU country from the @EU_Commission.#greenrecoverytracker in the narrative of @TheEconomist @e3g @Wupperinst https://t.co/7QpJkR9c80
Ciò non toglie che la quota appare estremamente preoccupante. Così come lo è quella del Portogallo (17%). Meglio di noi fanno ad esempio la Francia (23%) e la Repubblica Ceca (25%). Per non parlare dei più virtuosi: Germania (38%), Belgio (35%) o Estonia (33%). E anche la Romania (24%) e la Bulgaria (27%), prendendo in considerazione anche gli altri fondi stanziati per la ripresa, e non solo il Green Deal. D’altra parte, considerando anche per l’Italia la totalità degli stanziamenti, la percentuale è ancora più bassa: pari al 13%.
Purtroppo no: è l’Italia a figurare all’ultimo posto, con soltanto il 16% del totale dei fondi concesso a progetti legati alla transizione ecologica. Una percentuale lontanissima dal minimo stabilito del 37%. Va detto, per dovere di cronaca, che per alcune nazioni i dati non sono disponibili. È il caso, ad esempio, della Grecia, per la quale il Green Recovery Tracker mette a disposizione solo un report principale.
How green is the Italian #PNRR?
— ECCØ (@eccoclimate) June 16, 2021
Italy has a tough task ahead on #climatechange, although it is getting more than any other EU country from the @EU_Commission.#greenrecoverytracker in the narrative of @TheEconomist @e3g @Wupperinst https://t.co/7QpJkR9c80
Ciò non toglie che la quota appare estremamente preoccupante. Così come lo è quella del Portogallo (17%). Meglio di noi fanno ad esempio la Francia (23%) e la Repubblica Ceca (25%). Per non parlare dei più virtuosi: Germania (38%), Belgio (35%) o Estonia (33%). E anche la Romania (24%) e la Bulgaria (27%), prendendo in considerazione anche gli altri fondi stanziati per la ripresa, e non solo il Green Deal. D’altra parte, considerando anche per l’Italia la totalità degli stanziamenti, la percentuale è ancora più bassa: pari al 13%.