Il greenwashing della Fifa per Qatar 2022

La Fifa annuncia i mondiali di Qatar 2022 come i primi carbon neutral della storia. Ma si sa, il greenwashing è il marketing della nostra epoca

I grandi eventi, sportivi e non solo, lasciano tracce indelebili del loro passaggio. Cattedrali nel deserto come la Vela di Calatrava costruita per i Mondiali di nuoto di Roma 2009 o la pista di bob di Cesana per le Olimpiadi di Torino 2006, un immenso cratere di cemento a deturpare le montagne che nemmeno Milano Cortina 2026 si è degnata di prendere in considerazione. Per non parlare dell’autostrada che si perde nella foresta amazzonica per i Mondiali di Brasile 2014 o degli abitanti dei quartieri dell’East End sfrattati per fare posto alle Olimpiadi di Londra 2012. Devastazioni naturali, paesaggistiche, sociali ed economiche che lasciano profonde ferite all’ecosistema del Pianeta.

Per questo, con grande dispiego di mezzi, l’organizzazione dei mondiali di Qatar 2022, insieme alla Fifa, ha pubblicato a settembre sensazionali e sensazionalisti report sul fatto che la competizione sarebbe stata “la prima carbon neutral dell’intera storia dei mondiali”.  Dopo gli oltre 2 milioni di tonnellate di diossido di carbonio prodotti dal mondiale di Russia 2018, le 450mila prodotte da Euro 2020 (anche se lì erano già entrate in gioco compensazioni ridicole come la promessa di piantare alberi a fronte della quantità inusitata di spostamenti aerei necessari per la competizione itinerante, poi limitati dalla pandemia), le prime ipotesi avvallate dalla Fifa la scorsa estate erano che Qatar 2022 avrebbe prodotto 3,2 milioni di tonnellate. Pochi mesi dopo, però, con sommo gaudio e sorpresa, la stessa Fifa firma un report per cui le emissioni sarebbero state zero. Tripudio generale.

Ma come scrive una recente inchiesta di Carbon Market Watch tutto questo non è vero. Come spiega Gilles Dufrasne, autore del report, il risultato carbon neutral non si ottiene con la drastica diminuzione delle emissioni ma con una complessa architettura logica e finanziaria. Innanzitutto nel conteggio mancherebbe l’inquinamento prodotto dalla costruzione delle infrastrutture, e non solo degli stadi. In secondo luogo il sistema di cessione dei crediti inquinanti, già di per sé molto poco stringente, sarebbe stato ulteriormente inficiato da una serie di permessi, agevolazioni e schemi finanziari costruiti appositamente per arrivare all’annuncio delle zero emissioni. Un meccanismo che, continua Dufranse, getta discredito non solo sugli organizzatori di Qatar 2022 ma anche su chi, come la Fifa e la stampa mondiale, si prestano a certificare queste operazioni.

D’altronde il greenwashing è il marketing del presente. Basti pensare alle nostre compagnie tecnologiche ed energetiche preferite, quelle che utilizziamo ogni giorno, che inquinano come non ci fosse un domani e poi sponsorizzano i grandi eventi (sempre loro) tingendo il loro nome di verde.