La nuova utopia di Cayalá in realtà è un antico incubo
Il fortino per ultraricchi nella capitale del Guatemala ci ricorda che povertà e diseguaglianza non si cancellano con i muri
Un quartiere situato in collina, nella parte est della capitale, che si estende per oltre 400mila metri quadri. Al suo interno duemila abitazioni e altrettanti uffici. Un’area commerciale con più di 260 negozi tra cui 36 ristoranti. E poi 12 scuole, 4 ospedali, 7 banche. Una colossale sala civica con colonne toscane. I viali lastricati in pietra e intervallati da fontane di marmo, le case hanno muri bianchi come il latte e tetti di tegole rosse. Il tutto è circondato da invalicabili recinti, e protetto 24/7 da guardie armate fino ai denti. Fuori dal quartiere, infatti, ci sono solo miseria e disperazione. In Guatemala oltre il 60% della popolazione vive sotto la soglia di povertà.
Benvenuti a Ciudad Cayalá, gated community per ultraricchi all’interno di Città del Guatemala. Per i pochi che se lo possono permettere. Gli abitanti sono infatti solo poche migliaia, anche se il parcheggio per i turisti che la vogliono visitare accoglie oltre 3.600 posti auto. Cosa c’è di meglio che andare in uno dei Paesi più poveri della terra, devastato da colpi di Stato e dittature militari in serie, per visitare Cayalá? E infatti basta aprire una trappola per turisti come Tripadvisor e leggere il primo commento: «Bellissimo! Sembra di stare in Italia o in Europa».
Il sogno di Utopia è sempre stato un incubo
A Cayalá il New York Times ha dedicato un lungo reportage dopo che in autunno era stato teatro di violenti scontri. Da una parte i manifestanti che protestavano perché fosse riconosciuta la legittimità della vittoria del presidente socialdemocratico Bernardo Arévalo. Dall’altra l’esercito e gruppi di mercenari che sparavano sulla folla. Perché il popolo non osasse insozzare i muri bianchi e i viali lastricati di pietre con le sue ridicole richieste democratiche. L’immagine è forte, ma è questo il ruolo delle gated communities. Proteggere la ricchezza, difendere il privilegio.
L’urbanizzazione di Cayalá comincia 20 anni fa, quando la potentissima famiglia Leal, latifondisti proprietari di aree urbane e di foreste in tutto il Paese, immagina di costruire la città dell’utopia. Un luogo che ha sempre affascinato la filosofia occidentale, da Platone a Thomas More. I Leal si affidano all’architetto e urbanista León Krier, che inizialmente immagina Cayalá come quartiere aperto, senza porte e cancelli. Ispirato alle città persiane, greche e romane dell’antichità. Una città del sole dove possono riunirsi persone di ogni ceto sociale. Ma tutte le utopie sono in realtà la maschera di una distopia. E ogni città pianificata si trasforma in una gated communuty.
Proteggere la ricchezza, con ogni mezzo necessario
Le prime gated communities, quartieri chiusi da muri e cancelli dove serve il permesso per entrare, e che al loro interno contengono tutto quanto è necessario per vivere – dalle scuole alle ospedali – nascono a inizio del Novecento. Ma è solo negli anni Settanta che sono progettate in serie per contenere i nuovi ricchi. Si trovano solitamente nelle periferie delle grandi città, o a ridosso di paesini al di fuori della cintura urbana. Solo in Italia tra le più famose abbiamo l’Olgiata, vicino a Roma, Borgo Vione, fuori Milano, e il quartiere di Borgo San Martino, nel cuore di Treviso. Caratteristica comune di tutti questi posti è proteggere il privilegio di chi vi abita all’interno.
E per farlo la prima cosa che serve è la sicurezza. Per vivere dentro – nel sogno delle porte sempre aperte e dei prati in fiore – serve che nessuno possa entrare dall’esterno. Perché la stessa società che ha permesso a una élite di rifugiarsi lì dentro produce violenza. E questa violenza bisogna tenerla fuori. Ecco quindi che la caratteristica principale di queste città del sole sono i muri invalicabili che le circondano, le telecamere che le sorvegliano e le guardie armate che le pattugliano.
Fingere che la povertà non esista è un «abominio»
L’apoteosi di questo concetto si trova a poche centinaia di km da Cayalá, nell’isola di Roatàn in Honduras. Qui alcuni miliardari, tra cui Patri Friedman, nipote dell’economista Milton, e Peter Thiel, cofondatore di PayPal, hanno creato addirittura una città completamente autonoma dal punto di vista economico e giuridico rispetto al Paese che la ospita. È stata disegnata dall’archistar Zaha Hadid e si chiama Próspera. Può esistere solo grazie a apposite modifiche alla Costituzione honduregna che hanno permesso la creazione delle Zede (Zone for Employment and Economic Development). Perché la ricchezza non prospera mai da sola, ha bisogno che le leggi siano piegate al suo interesse.
Ovviamente queste gated community sono dannose dal punto di vista economico per il territorio che le ospita, perché concentrano una ricchezza che poi non redistribuiscono. Sono letali dal punto di vista ambientale, perché a fronte di operazioni di greenwashing che le dipingono come ecologiche e autosufficienti, in realtà devastano l’ecosistema su cui poggiano. E spesso e volentieri si appropriano di beni comuni come acqua e terra, li sottraggono agli altri e li privatizzano.
Come ha spiegato il sociologo guatemalteco Javier Lainfiesta Rosales: «A Cayalá non ci sono senzatetto, bambini che chiedono l’elemosina, malnutrizione, venditori ambulanti, molestie, scontri, estorsioni, aggressioni, corruzione o disuguaglianze. Un pezzo del primo mondo nel cuore di una città pericolosamente vicina al quarto mondo […] Cayalá è un simbolo di concentrazione della ricchezza mai vista prima in questo Paese». E poi ha riassunto il suo punto di vista in una frase: «Cayalá es una abominación». Cayalá è un abominio.