Il fascino discreto dei mega-miliardari per il bunker

Zuckerberg, Bezos, Thiel e Musk vivono nei bunker non solo per salvarsi dall’apocalisse climatica. Ma perché stanno male, e sono pericolosi

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Forse dovremmo renderci conto che il problema è più che altro psicologico. Non c’è alcun piano criminale, progetto o disegno, nelle menti contorte dei mega-miliardari che stanno devastando il Pianeta. C’è solo un enorme senso di tristezza. Per questo scappano dagli esseri umani. Verso nuovi pianeti, oppure chiudendosi per sempre nei loro inespugnabili bunker. Perché stanno male.

L’ultimo in ordine di tempo è Mark Zuckerberg, il padrone di Meta (ovvero Facebook, Instagram, Whatsapp, ma anche droni, realtà virtuale, intelligenza artificiale, server stracolmi di big data). Era stato tra i primi a pensarci, poi aveva abbandonato l’idea, poi l’ha ripresa. E adesso l’ha quasi portata a compimento.

Prima ha comprato un terreno da oltre cinquecento ettari nell’isola di Kauai, nord-est dell’arcipelago delle Hawaii, e ci ha costruito un compound con una dozzina di edifici, decine di stanze e camere da letto. Poi lì sotto ha costruito un mega bunker di oltre quattrocento metri quadrati, completamente autosufficiente. Il tutto al modico prezzo di 270 milioni di dollari. Ecco il senso dei mega-miliardari per la fine del mondo: il bunker.

Chiusi a tripla mandata sotto il paradiso

Il primo era stato Peter Thiel, cofondatore di PayPal: un terreno da sogno di 200 ettari sul Lago Wanaka, in Nuova Zelanda, per costruirci sotto il suo bunker. Poi Elon Musk, quello di Tesla. E poi Jeff Bezos, quello di Amazon, e così via. Sempre in luoghi paradisiaci, sempre sottoterra. I nuovi padroni del mondo, gli ex smanettoni che sulla tecnologia hanno costruito imperi, e che adesso spendono parecchi dei loro soldi immaginando esplorazioni e viaggi spaziali, sulla Terra bramano il bunker.

E uno giustamente può pensare che si stiano parando la schiena. Che è ovvio che siamo in pieno “Don’t Look Up“, l’impatto con il meteorite dell’apocalisse climatica è imminente, ma se ce lo diciamo il mondo impazzisce. E allora si salvi chi può. E siccome loro possono, lo fanno, costruendosi dei bunker capaci di resistere a qualsiasi guerra, carestia, inondazione, aumento devastante delle temperature.

E sicuramente è così. E però c’è un altro aspetto da prendere in considerazione. Questi ex smanettoni sono persone cresciute male in pieni anni Ottanta, quando l’immaginario catastrofista esplodeva nei film e nei libri. Quando un finto edonismo neoliberale dove tutto pareva permesso e incoraggiato li vedeva invece chiusi nella loro cameretta a sognare viaggi spaziali. E intanto a chiudere la porta della stanza, a tripla mandata.

Nascondersi dalla vita

E così, quando questi sfigatissimi esempi di maschi bianchi – oggi si chiamerebbero cringe, o incel, o non so cosa – sono improvvisamente diventati i padroni del mondo, non hanno saputo esprimere altro sogno che chiudersi di nuovo a tripla mandata nella loro cameretta. Ed ecco tornare prepotente il sogno del bunker. Un posto in cui nascondersi per sempre dalla vita.

D’altronde lo scriveva James G. Ballard in “High Rise” nel 1975: il bunker viene presentato come inespugnabile perché nessuno (umano o animale) e nulla (la catastrofe) potranno mai penetrarci. Ma la sua potenza risiede nel percorso opposto. Non è tanto che nel bunker non si può entrare. È che dal bunker non si può uscire.

Quindi è vero. Questi mega-miliardari con il bunker hanno la possibilità economica di proteggersi dal disastro climatico che loro stessi con le loro aziende stanno perpetuando. Ma c’è una ragione più profonda. Una ragione psicologica. Queste persone sono cresciute male, e stanno ancora male. E per questo sono pericolose. E allora dobbiamo aiutarli. E per farlo, come prima cosa, dobbiamo portargli via i soldi.