Guerra in Ucraina e crisi alimentare: l’Africa può rispondere con l’agricoltura locale

Numerose nazioni africane puntano a rilanciare l'agricoltura locale anziché dipendere dalle importazioni di materie prime alimentari

Un agricoltore nel Burkina Faso © Luca Prestia/iStockPhoto

Un intero continente sta facendo i conti con le ricadute socio economiche della guerra in Ucraina. È l’Africa, che rischia di vivere una carestia. A confermare l’allarme è stato fin dallo scorso maggio il Fondo Monetario Internazionale (FMI), il quale ha snocciolato dati preoccupanti per un insieme di Paesi che già prima della pandemia contava 280 milioni di persone denutrite.

Oggi, a quattro mesi dallo scoppio del conflitto, i prezzi del carburante, dei fertilizzanti e del cibo stanno schizzando alle stelle. Le proiezioni del FMI mostrano che l’impatto della guerra sta minacciando le economie del continente. La previsione è di una crescita dell’Africa sub-sahariana che nel 2022 si abbasserà al 3,8%. Con una decisa frenata rispetto al 4,5% dello scorso anno. Inoltre, quest’anno l’inflazione dovrebbe toccare il 12,2%, mentre l’anno scorso si fermava al 9,6%.

L’Africa alla ricerca di una nuova indipendenza

L’unica risposta possibile è rendersi il più possibile indipendenti. Per far fronte a questa ennesima crisi, gli africani stanno investendo infatti in misura crescente nell’agricoltura locale.

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L’Africa cerca una nuova via per rifondare la propria agricoltura © no one cares/Unsplash

Il quotidiano francese Le Monde racconta che, negli ultimi anni, i Paesi africani hanno acquistato all’estero una quantità di grano quasi doppia rispetto a quella prodotta internamente. Secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), sono ben diciotto i Paesi africani importatori netti di grano proprio dalla Russia e dall’Ucraina. 

A eccezione dei Paesi del Nord Africa, tuttavia, il consumo di grano rimane marginale nella maggior parte del continente, ed è legato soprattutto alle abitudini di consumo nelle grandi città. Nonostante il ridotto consumo di grano, la crisi ucraina può rappresentare per l’Africa un’occasione per ripensare il proprio modello agricolo. Per rispondere al meglio alle esigenze del mercato locale, come spiega David Laborde, studioso del centro di ricerca americano International Food Policy Research Institute, gli Stati dovrebbero investire su colture locali come il miglio e il sorgo. Più adatte al clima e al territorio. Cereali come questi rappresentano già la principale fonte di cibo per oltre il 50% della popolazione del Sahel. E, assieme allo stesso grano, a riso, mais, fagioli, igname e manioca, rientrano tra le otto colture prioritarie identificate dalla Banca Africana di Sviluppo nella sua strategia per trasformare l’agricoltura del continente entro il 2025.

Il continente si mobilita

Nello scorso aprile, più di cinquanta ministri africani hanno partecipato alla Conferenza Regionale della Fao. Al fine di discutere su come far fronte alla crisi con «sistemi agroalimentari efficienti, inclusivi, resilienti e sostenibili. Per una migliore produzione, una migliore nutrizione, un ambiente migliore e una vita migliore, senza lasciare indietro nessuno». E molti Paesi hanno già iniziato a lavorare per raggiungere gli obiettivi prefissati con la Fao.

Come racconta Rivista Africa, nello scorso maggio l’Egitto ha inaugurato il primo di una serie di progetti volti a raddoppiare la produzione agricola locale. Bonificando una parte del deserto. L’obiettivo del presidente Abdel-Fattah al-Sisi è arrivare a produrre un milione di tonnellate di grano nel 2023 per ridurre la dipendenza dalle importazioni, per la quale nel 2021 il suo Paese deteneva il primato al mondo. Allo stesso tempo, in Nigeria, la ministra delle Finanze, del Bilancio e della Pianificazione Nazionale Zainab Ahmed ha annunciato ingenti investimenti nell’agricoltura, settore che rappresenta il 25% dell’economia e impiega più del 50% della forza lavoro nazionale.

La Fao: servono approcci produttivi alternativi e innovativi

A metà giugno, infine, i funzionari di dieci Paesi dell’Africa meridionale si sono riuniti a Lusaka. Obiettivo: discutere lo sviluppo dell’agricoltura conservativa, un sistema di produzione agricola sostenibile basata su tre concetti fondamentali. Il minimo disturbo meccanico del suolo, la protezione permanente del suolo da erosione e degrado, e la diversificazione delle colture.

Come ha spiegato Suze Percy Filippini, rappresentante della Fao in Zambia, «diventa fondamentale che tutti noi lavoriamo insieme per mettere in scala approcci produttivi alternativi, innovativi e trasformativi. Che offrano ai nostri piccoli agricoltori la tenacia e la resilienza necessarie per mantenere una produzione e una produttività vitali. Nonostante il previsto difficile contesto socio-economico».

Il summit di Lusaka ha offerto l’occasione di esplorare possibilità di investimento nell’agricoltura conservativa nel continente. La macchina è stata messa in moto. L’obiettivo è raggiungere quanto prefissato in occasione del Comprehensive Africa Agriculture Development Programme firmato dai capi di Stato del continente nel 2021. Ovvero arrivare a 25 milioni di agricoltori africani che lavorino con sistemi di produzione resilienti al clima entro il 2025.