Ora gli hedge fund scommettono anche contro le energie pulite
Il fallimento della transizione verso le energie pulite sarebbe una catastrofe per il Pianeta, ma un vero affare per gli hedge fund
Si sta rapidamente chiudendo la finestra che abbiamo a disposizione per far sì che il clima del Pianeta resti adatto alla nostra sopravvivenza. Con le attuali promesse di riduzione delle emissioni, la temperatura media globale aumenterà di almeno 2,6 gradi entro la fine del secolo. Ma potrebbe crescere addirittura di 3,1 gradi. Lo mette nero su bianco il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep) nell’ultimo Emissions Gap Report. Ma è sempre l’Unep a dire che è ancora tecnicamente possibile tagliare le emissioni, grazie all’energia del sole e del vento e all’assorbimento della CO2 da parte delle foreste. Agli hedge fund, però, tutto questo sembra non importare. Tant’è che continuano a scommettere contro le società che si occupano di energie pulite, batterie, idrogeno, veicoli elettrici. È quanto rivela un’analisi di Bloomberg.
Posizioni lunghe e corte: cosa significa
Per capire questi dati occorre fare un passo indietro per capire come fanno concretamente gli hedge fund, o fondi speculativi, a scommettere sull’andamento di un asset. Se il fondo ritiene che il valore di determinati titoli sia destinato ad aumentare nel tempo, assume posizioni lunghe (long): ciò significa che li acquista per poi rivenderli in un secondo momento, auspicabilmente a un prezzo più alto. La differenza tra il prezzo a cui li vende e quello a cui li aveva precedentemente acquistati rappresenta il suo guadagno.
Al contrario, se vuole scommettere sul fatto che quei titoli perdano valore, non li compra bensì li prende in prestito per venderli immediatamente al prezzo corrente. Se la previsione si rivela azzeccata, il fondo ricompra quei titoli a un prezzo più basso, per poi restituirli al proprietario originale e trattenere la differenza come profitto. Assumere posizioni corte (short) significa proprio questo. Si parla anche di vendita allo scoperto perché, di fatto, il fondo trae profitto da titoli che non possiede nemmeno.
Gli hedge fund puntano sul fallimento della transizione energetica
Per definizione, i fondi speculativi adottano strategie complesse e rischiose e, di norma, preferiscono mantenerle riservate. Bloomberg ha ottenuto i dati che circa cinquecento di loro hanno fornito alla società specializzata Hazeltree, per capire come si pongono nei confronti delle energie pulite da un lato e dei combustibili fossili dall’altro. Gli hedge fund sembrano compatti nella loro opinione: nonostante la grande attenzione politica e mediatica, nei mercati finanziari le società che si occupano di transizione energetica hanno ancora performance inferiori rispetto alle altre. I guadagni che possono garantire, dunque, sono più lenti e modesti rispetto al previsto. È molto più fruttuoso scommetterci contro.
Prendiamo come esempio l’exchange traded fund (ETF) Invesco Solar, che replica le performance del settore dell’energia solare. Nel complesso, le posizioni corte nette assunte dagli hedge fund hanno superato quelle lunghe per il 77% delle aziende comprese nel fondo. Contro il 33% del primo trimestre del 2021. Andare “corti” è un sintomo di un evidente calo di fiducia. Intervistati da Bloomberg, i manager degli hedge fund danno la colpa al predominio cinese che, per gli investitori statunitensi ed europei, rende molto più complesso esporsi.
Meno marcato, ma sempre netto, l’atteggiamento verso un ETF sulla mobilità elettrica: per il 77% delle società in portafoglio le posizioni corte hanno superato quelle lunghe, contro il 35% dell’inizio del 2021. In compenso, la maggior parte degli hedge fund continua a scommettere sul rialzo dei titoli delle compagnie petrolifere. È lapidario Barry Norris, numero uno del fondo britannico Argonaut Capital Partners: «La transizione energetica sta fallendo, e fallirà».
Ma per fermare la crisi climatica servono anche i mercati
A giudicare dall’andamento dei mercati, assumere posizioni corte sulle energie pulite sta pagando. Rispetto al picco registrato nel 2021, l’S&P Global Clean Energy Index (un indice borsistico che rappresenta il comparto) ha perso quasi il 60% del suo valore. Al contrario, l’S&P Global Oil Index (con le 120 maggiori compagnie petrolifere) ha visto un aumento superiore al 50%. Questa generale difficoltà del comparto delle tecnologie pulite si deve a varie ragioni. Da un lato c’è il rialzo dei tassi di interesse che ha aumentato i costi e compromesso la disponibilità di finanziamenti. Dall’altro lato c’è il clima politico dichiaratamente ostile negli Stati Uniti. A tutto questo si aggiunge il rischio di una guerra commerciale con la Cina, ormai leader incontrastata in materia di tecnologie verdi.
Il problema è che, senza la fiducia dei mercati, la strada verso la transizione energetica diventa ancora più in salita. Il New Energy Outlook di Bloomberg NEF fa un’accurata valutazione delle condizioni necessarie per azzerare le emissioni entro il 2050. Entro la fine del decennio, si legge, per ogni dollaro investito nei combustibili fossili, tre devono andare alle fonti di energia low-carbon. La piena decarbonizzazione del sistema energetico globale entro la metà del secolo avrà un costo di 215mila miliardi di dollari. È una cifra vertiginosa, certo. Ma è solo il 19% in più rispetto a quello di una transizione più lenta che porterebbe a un riscaldamento globale di 2,6 gradi. Insomma, la finanza privata ha un ruolo e delle responsabilità. Ma gli hedge fund, per ora, sembrano pensare solo alle proprie tasche.