Inceneritori, costano tre volte il riciclo e danno lavoro a un quarto degli addetti
Rhode Island e Baltimora a gamba tesa sull'uso dei termocombustori. E un rapporto scientifico stronca la tecnologia: "un ossimoro considerarla rinnovabile"
Sono 23 gli Stati che ancora definiscono l’energia prodotta dagli inceneritori come rinnovabile. Uno “sporco segreto” che consente alla lobby della waste-to-energy (l’energia prodotta a partire dai rifiuti) di beneficiare di grossi contributi statali.
L’Ong di Washington: inceneritori? «Sporchi e costosi»
Gli inceneritori sono «sporchi e costosi». È chiara e precisa la definizione che l’Institute for Local Self-Reliance – ILSR (Istituto per l’Autosufficienza Locale), un’Organizzazione non governativa con sede a Washington DC, che, con la pubblicazione nello scorso dicembre del rapporto “Waste inceneration: a dirty secret in how states define renewable energy”, fa le pulci ai massivi contributi pubblici che vengono elargiti agli impianti che bruciano rifiuti.
La Ong statunitense, fondata nel 1974, è specializzata nello studio dello sviluppo delle comunità urbane senza dipendere da politiche di welfare ma realizzando soluzioni tecniche e intelligenti ai problemi, partendo dal recupero dei materiali, alla gestione efficiente dei rifiuti ed il compostaggio.
Il rapporto condanna gli stati che legalmente classificano l’incenerimento dei rifiuti come fonte “rinnovabile” nelle politiche di definizione degli obiettivi di sostenibilità energetica (Renewable Portfolio Standards – RPS) facendo un attento fact-checking su una tecnologia ormai obsoleta.
Negli Stati Uniti sono 76 gli inceneritori attivi che scambiano con la rete calore (5 impianti) ed elettricità (71). L’E.I.A. (Energy Information Administration) prevede che questi ultimi generino a piena capacità 2.3 gigawatt di elettricità, meno dell’1% della produzione federale totale. Il tutto attraverso impianti che, per la maggior parte sono stati realizzati tra gli anni ’70 e ’90 per rispondere all’espansione delle grandi città e alla crisi energetica dei primi anni ‘80.
Il confronto con le altre fonti “rinnovabili” ovviamente è perdente e vede il solare a 10.5 GW e 8.5 GW per l’eolico.
Continuando sull’analisi energetica, il direttore dell’Istituto Neil Seldman definisce l’incenerimento una tecnologia «wasted energy» (energia sprecata) piuttosto che «waste to energy» (energia dagli sprechi). Studiando, infatti, il ciclo di vita degli impianti, la quantità di energia usata per l’esercizio, il trasporto dei materiali, lo smaltimento degli scarti e ceneri, il bilancio è negativo.
Riciclare i rifiuti conviene
La Global Alliance for Incinerator Alternatives, che misura le performance ambientali di diverse tecnologie ambientali, calcola da tre a cinque volte il risparmio di energia realizzabile attraverso strategie sostenibili nella gestione dei rifiuti come prevenzione, riuso, riciclo e compostaggio rispetto all’incenerimento.
Per esempio l’incenerimento di una tonnellata di carta può generare circa 8.200 megajoule di energia mentre la stessa quantità riciclata può generare un risparmio totale di 35.200 megajoule (come dimostra il grafico qui sotto).
Anche dal punto di vista economico «l’incenerimento dei rifiuti solidi è il metodo più costoso di smaltimento con costi crescenti conosciuti e non, che imporrebbero oneri sostanziali e irragionevoli sui bilanci statali e municipali al punto da compromettere l’interesse del pubblico», si legge nella legge di Rhode Island (Senato act. 92-S 2502), uno dei primi stati a vietare la realizzazione di nuovi inceneritori.
Il risparmio economico tra riciclo e incenerimento è stato calcolato a Baltimora dove una tonnellata di rifiuti avviata al riciclo costa 18 dollari mentre all’incenerimento oltre 50. Dal punto di vista occupazionale non ci sono paragoni: per trattare 10.000 tonnellate di rifiuti organici occorrono 4,1 occupati full time mentre per l’incenerimento solo 1,2.
Per quanto riguarda i danni all’ambientale è noto che gli inceneritori generano inquinamento e sono un rischio per la salute dei cittadini che vivono in prossimità degli impianti. I rifiuti brucianti rilasciano diossina, piombo e mercurio, emissioni di gas serra e ceneri pericolose.
Anche l’utilizzo di combustibili fossili produce notevoli emissioni di inquinanti ma è stato misurato che l’incenerimento di rifiuti può produrre emissioni più dannose del carbone.
In un anno gli inceneritori a New York hanno emesso 14 volte più mercurio per unità di energia generata rispetto alle centrali a carbone dello stato, mentre un altro studio nel Maryland gli impianti di incenerimento hanno emesso quasi 6 volte più mercurio rispetto alle centrali a carbone.
Il rifiuto “rinnovabile” è un ossimoro legale
Sebbene l’incenerimento sia ormai una tecnologia destinata a fallire per demeriti ambientali e finanziari, spesso persiste grazie alle legislazioni statali che definendo il “waste to energy” come “rinnovabile” sostengono economicamente e legalmente una tecnologia ormai obsoleta.
Oggi, 23 stati consentono che l’energia generata dalla combustione di rifiuti solidi urbani sia classificata come “rinnovabile” nella pianificazione energetica sostenibile (Renewable Portfolio Standards – RPS). Due di questi (California e Wisconsin) hanno inserito solo gli impianti di incenerimento esistenti nella loro classificazione di energia rinnovabile escludendo i nuovi insediamenti; altri quattro (Arizona, Colorado, Missouri e Ohio, che non hanno inceneritori operativi) consentono l’inserimento solo a determinate condizioni.
Legislazioni fuorvianti, quindi, stanno supportando l’incenerimento fornendo sussidi diretti ed indiretti ad una “sporca” pratica. I finanziamenti, ovviamente, vengono erogati a discapito di investimenti per lo sviluppo di opzioni più sostenibili. «Pochi legislatori potrebbero rendersi conto che consentire agli inceneritori di mascherarsi come impianti di produzione di energie rinnovabili comporta pesanti costi ambientali e finanziari per le comunità, specialmente per i residenti nelle vicinanze a questi impianti», afferma l’autrice del rapporto Marie Donahue. «Le comunità hanno opzioni più ecologiche e meno costose per lo smaltimento dei rifiuti e la generazione di energia pulita e tuttavia 76 comunità ospitano ancora impianti di inceneritori di rifiuti solidi urbani».
La strada da percorrere
Le soluzioni sono semplici e facilmente praticabili. Innanzitutto si dovrebbero rafforzare le definizioni legali di energia rinnovabile e sostenere le controversie locali per la chiusura definitiva degli inceneritori.
I governi locali possono adottare una serie di strategie che trasformano i “rifiuti in ricchezza” e creano un sistema energetico locale più inclusivo e sostenibile, attraverso l’avvio di strumenti di tassazione puntuale come il “Pay As You Throw” (paga per quello che butti), che consente ai cittadini di ridurre i costi di gestione buttando via meno, si tradurrebbe in una riduzione dei costi di smaltimento comunali; attivare sistemi di compostaggio comunitario; implementare sistemi di riciclaggio; incrementare le energie rinnovabili “pulite” per affrontare il fabbisogno energetico locale, le città possono utilizzare i risparmi iniziali derivanti dall’eliminazione dell’energia elettrica o del vapore prodotto dall’incenerimento dei rifiuti per costruire impianti solari sui beni comunali, ridurre le bollette energetiche delle città, generare elettricità più pulita e creare ulteriori risparmi nel tempo. In questo modo si possono liberare risorse per supportare altri programmi di sostenibilità o ridurre le tasse.