Agritech e acqua: la controversa alleanza tra Italia e Israele

Nonostante le violazioni del diritto umanitario in corso a Gaza, continua la collaborazione tra Italia e Israele

Nonostante le violazioni del diritto umanitario in corso a Gaza, continua la collaborazione tra Italia e Israele © Claudia Vago

Nonostante i crimini e le violazioni del diritto umanitario in corso a Gaza a opera dell’esercito israeliano, continua imperterrita la collaborazione tra Italia e Israele. Poche settimane fa il ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale (Maeci) e la Israel Innovation Authority (Iia) hanno lanciato la ventunesima edizione del bando congiunto per progetti di ricerca, sviluppo e innovazione (R&S). Ciò sulla base dell’Accordo di cooperazione industriale, scientifica e tecnologica tra Italia e Israele che va avanti dal 2000 (ratificato con la legge n. 154 dell’11 luglio 2002) e che si aggiunge al Memorandum di intesa, la collaborazione militare che ci lega a Israele dal 2005. 

Agritech e ambiente: il bando Italia-Israele tra greenwashing e distruzione a Gaza

Il bando scade il 12 agosto 2025 e quest’anno si concentra sul tema «tecnologie sostenibili per affrontare le sfide del cambiamento climatico nella regione del Mediterraneo». Promuovendo «soluzioni scientifiche e industriali di impatto concreto». Il bando si occupa «di progetti sulla gestione e tecnologie dell’acqua, tecnologie agroalimentari, transizione energetica e energie pulite, scienze della vita, biotecnologie e tecnologie mediche».

Un titolo che suona amaramente beffardo, alla luce della distruzione sistematica dell’ambiente che si sta compiendo a Gaza. Un recente studio ha valutato che l’impatto climalterante delle azioni militari a Gaza e in Libano (dall’ottobre 2023 fino al gennaio 2025) corrisponde a circa 1,9 milioni di tonnellate di anidride carbonica. E supera le emissioni annuali prodotte da dieci nazioni a basso impatto ambientale.

Israel Innovation Authority: chi finanzia la ricerca congiunta Italia-Israele

Per l’Italia possono candidarsi enti non profit (università, centri di ricerca, ecc.), in partenariato con aziende. Mentre per Israele il proponente deve essere un’azienda di ricerca e sviluppo, assistita da un ente accademico in qualità di subcontractor. I progetti avranno una durata di 24 mesi. Il contributo massimo previsto per ciascun progetto è di 300mila euro per parte. L’autorità italiana che selezionerà i progetti sarà come sempre il Maeci. Mentre l’autorità israeliana sarà la Israel Innovation Authority (Iia), ente pubblico di supporto all’innovazione militare industriale. Tanto per fare un esempio, nel 2021 l’Iia ha siglato un accordo per la creazione di un consorzio guidato dal colosso militare Elbit Systems per lo sviluppo di tecnologie di interazione uomo-robot, utili in contesti di guerra.

Lo scorso anno le università italiane erano state travolte dalle proteste studentesche. La richiesta era che non partecipassero al bando Maeci che prevedeva progetti di ricerca congiunti negli ambiti della tecnologia del suolo, dell’acqua e dell’ottica di precisione. Quindi utilizzabili anche in campo dual use e militare. Le proteste hanno spinto alcuni senati accademici (come quelli di Torino e Pisa) a votare mozioni in cui annunciavano di non partecipare al bando. Quello attuale, nell’intento di evitare le proteste, specifica che saranno selezionate solo ricerche civili, escludendo quelle militari o dual use. Viene quindi tolta “l’ottica di precisione”. Ormai però è palese che non solo con le armi viene oppresso il popolo palestinese, ma anche sottraendo sistematicamente l’acqua ai suoi territori. Ed è proprio nell’ambito della gestione dell’acqua che questo nuovo bando si concentra.

Acqua e apartheid: lo strumento di controllo israeliano sui territori occupati

Se da una parte Israele è leader mondiale nello sviluppo di soluzioni tecnologiche per la gestione dell’acqua, dall’altra queste sono applicate e sperimentate negli insediamenti illegali in Cisgiordania. Dove Israele da decenni pone in atto politiche e pratiche coloniali contro i palestinesi, il furto continuo di terre e risorse, lo sfollamento forzato, la negazione sistematica di un adeguato accesso dei palestinesi all’acqua

Tante sono le aziende che in Italia stanno collaborando nel campo idrico, in particolare in Emilia-Romagna. Mekorot, come sottolineano i rapporti di Who Profits e Bds, è uno dei colossi che lucrano sul saccheggio delle risorse idriche ai palestinesi e fino allo scorso anno aveva in campo collaborazioni con Iren. Un’altra grande azienda israeliana molto attiva in Italia è Netafim, leader mondiale di soluzioni per l’irrigazione di precisione. Che nel 2021 ha stretto un accordo di collaborazione e ricerca con Melinda per l’irrigazione dei meleti.

Agritech e business nei territori palestinesi occupati: le collaborazioni in corso

Secondo l’attivista per i diritti umani Cosimo Pederzoli, «negli anni passati anche il Centro ricerca produzioni animali (Crpa) del Tecnopolo di Reggio Emilia, società consortile con quota pubblica del Comune e della provincia di Reggio Emilia, ha collaborato con la multinazionale israeliana Netafim, prima realtà agroindustriale per fornitura di impianti d’irrigazione negli insediamenti agricoli illegali israeliani. L’azienda ha sviluppato un sistema per la distribuzione della frazione liquida del digestato, il sistema NetBeat, collaborando con una sussidiaria di Rafael Advanced Defence Systems, l’azienda militare statale israeliana. L’azienda ha partecipato a molti esperimenti negli insediamenti nella Valle del Giordano, nella Cisgiordania occupata, favorendo il furto di terra palestinese e l’utilizzo di risorse idriche a favore delle colonie illegali».

Non solo Netafim: sono tante le aziende agritech israeliane che fanno affari con i coloni e che quindi potrebbero partecipare al bando Maeci. Nel Piano generale del settore idrico, il governo israeliano nel 2020 aveva previsto un’espansione degli impianti idrici e il raddoppio della fornitura d’acqua alle colonie nella Cisgiordania occupata. Anche a fine maggio 2025 Israele ha annunciato la costruzione di 22 nuovi insediamenti illegali in Cisgiordania occupata.

Come Israele distrugge l’agricoltura palestinese: bombe, pesticidi e embargo dell’acqua

Secondo il rapporto “Non lasceremo loro nulla” del Palestinian Centre for Human Rights (maggio 2025), «l’occupazione priva i palestinesi delle risorse idriche sequestrando sorgenti d’acqua e serbatoi di acque sotterranee, rubando acqua dal fiume Giordano e usando l’acqua come arma nel sistema di apartheid israeliano». Il rapporto documenta peraltro la distruzione del settore agricolo e delle strutture legate alla produzione alimentare sia in Cisgiordania sia sulla Striscia di Gaza. «Ciò include bombardamenti e razzie di terreni agricoli, sradicamento e bruciatura di alberi da frutto e colture alimentari, nonché demolizione di serre e infrastrutture agricole. Tra gli obiettivi dei bombardamenti, anche le strutture per il bestiame, la pesca e l’acquacoltura».

Non solo. Nel corso dell’ultimo decennio, Israele ha continuato a distruggere il settore agricolo nella parte orientale di Gaza, vicino al confine, irrorando dal cielo migliaia di ettari di colture con pesticidi chimici mortali al fine di rendere la terra sterile per permettere «visibilità e lasciare il terreno scoperto». Una contaminazione che pervade il suolo e le risorse idriche. La stessa strategia degli americani in Vietnam con i defoglianti. Ciò ovviamente ha causato notevoli danni alle colture, degradato il suolo, contaminato le acque e fatto ammalare i contadini. Il tutto per impedire alla popolazione di autosostenersi, costringerla alla fame e perseguire il crimine di genocidio. Per questo ogni collaborazione con Israele nel campo agricolo, ambientale e di gestione dall’acqua non può essere che un sostegno alla sua politica di oppressione e apartheid ai danni dei palestinesi.

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