I giganti del junk food ora investono nella salute
Le stesse aziende che producono junk food, causando gravi danni alla salute, oggi cercano nuovi profitti nei prodotti di benessere
Oltre al danno, la beffa. Eh sì, perché i colossi del cosiddetto cibo spazzatura hanno trovato un altro modo per macinare soldi. Investire in integratori, prodotti dimagranti e per la salute. Come dire che offrono sia il male sia la cura. «L’obesità come modello di business» è infatti il titolo di una recente inchiesta realizzata dalla piattaforma indipendente di giornalismo investigativo The Investigation Desk, che ha messo nel mirino i produttori di alimenti ultra-processati: cibi che hanno subìto diversi processi di trasformazione industriale, ricchi di additivi e grassi, ma poveri di fibre e nutrienti. Sono cibi di solito molto dolci o molto salati, gustosi, invitanti e appaganti.
Vi rientrano ad esempio patatine, merendine, biscotti e dolci industriali. Ma anche cibi poveri di calorie come barrette ai cereali, pane confezionato e fette biscottate, sughi pronti, zuppe o minestre istantanee. Va premesso che non stiamo parlando di veleni. L’impatto sulla salute che questi cibi producono non è lo stesso per tutti i cibi. E si può ridurre tale impatto consumandoli in modo limitato. Ma è noto che i cibi ultra-processati possono risultare parecchio rischiosi per la salute: fra i principali effetti nocivi collegati al loro consumo figurano disfunzioni del sistema immunitario, malattie cardio-metaboliche, aumento del rischio di sviluppare due o più malattie croniche. Fino alla morte prematura.
Caccia aperta agli health brands
Secondo l’inchiesta, diversi fra i maggiori produttori di cibi ultra-processati attivi sul mercato europeo hanno cominciato da qualche anno a investire in farmaci e prodotti che aiutano a contrastare gli effetti di un’alimentazione non sana. Che magari è tale proprio perché sbilanciata sui prodotti che quelle stesse aziende commercializzano. Danone, ad esempio, attraverso il fondo d’investimento AF Ventures investe nei prodotti Wonderbelly. Contro digestione pesante, acidità e gonfiori di stomaco. Insieme al colosso francese, anche Nestlé, Mars, Unilever e Kraft Heinz sostengono prodotti per perdere peso, per trattare problemi digestivi, per la nutrizione medica per persone diabetiche. Mentre negli integratori alimentari investono anche PepsiCo e General Mills.
Unilever attraverso Unilever Ventures è fra i proprietari di Lemme. Un brand lanciato dalla star televisiva americana Kourtney Kardashian produttore di integratori e pillole che contro la fame. L’elenco degli health brands (marchi della salute) scovati dall’inchiesta che si possono ricondurre ai big del junk food è lungo. Importanti le cifre in ballo: in particolare nell’ultimo decennio. I big analizzati hanno investito in quasi un centinaio di aziende di health brands. A guidare il gruppo è Nestlé, con circa 50 investimenti per un valore complessivo di poco inferiore ai 3 miliardi di euro. Più di 20 le aziende del settore Health & Wellbeing in cui ha investito Unilever per oltre un miliardo di euro.
Un approccio «altamente riprovevole» e «cinico»
C’è chi, fra operatori medico-sanitari e nutrizionisti, ha dichiarato di essere rimasto scioccato. E di considerare «altamente riprovevole» il fatto che a sostenere questi brandvi siano aziende accusate di essere coi loro prodotti fra le principali cause della piaga dell’obesità. C’è chi bolla addirittura come «cinico» l’atteggiamento di chi da una parte stimola il consumatore ad alimentarsi come meglio crede. Senza cioè impegnarsi in diete piene di restrizioni e divieti. E dall’altra gli propone soluzioni semplici e veloci per rimettersi in linea e perdere peso, insomma per non pagare gli eccessi che si è voluto concedere.
Sull’obesità del resto i dati sono spaventosi. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ci sono circa un miliardo di persone obese nel mondo. Quindi a più alto rischio di malattie cardiache, ipertensione, ictus, diabete di tipo 2. E in Europa, sempre secondo l’OMS, l’obesità insieme al sovrappeso è fra le principali cause di morte. Più di un milione di decessi l’anno. A ciò contribuisce il fatto che, come hanno calcolato alcuni studi, i cibi ultra-processati sono responsabili di circa il 27% dell’apporto energetico giornaliero di un adulto in Europa. E del 60% negli Stati Uniti.
Junk food: un paradosso simile a tabacco e armi
Tutto ciò assomiglia molto a quanto si verifica anche in altri settori. Ad esempio con le multinazionali del tabacco. Fanno soldi sulla dipendenza che i fumatori sviluppano e poi si spendono in strategie cosiddette di farmaceuticalizzazione dei loro prodotti. Oppure chi investe nelle armi. E dopo che queste hanno portato devastazione e morte investe anche nella ricostruzione post-bellica. Fare con la sinistra, insomma, ciò che si disfa con la destra. Cercando sempre e comunque di estrarre il massimo profitto.
Chissà che in questo moto le aziende dei cibi ultra-processati non riescano anche a lucrare un guadagno in termini reputazionali. Non è detto, cioè, che proprio in virtù del nuovo ramo di business salutistico in cui investono, queste aziende non riescano a trovare chi arriva a considerarle persino più responsabili e sostenibili di prima. O chi decide per un upgrade del loro rating Esg (ambientale, sociale e di governance). Nel mondo di sottosopra a cui ci stiamo purtroppo abituando, potrebbe accadere anche questo.