Perché l’affare tra KKR e Tim è la resa dei poteri pubblici alla finanza
KKR acquisisce un'infrastruttura strategica per l'Italia, in termini economici ma anche di sicurezza e di sovranità
Come si manifesta il potere finanziario. Il Consiglio di amministrazione di Tim, dopo un’istruttoria neppure troppo lunga, ha dato il via libera all’acquisto della rete fissa da parte del fondo KKE. Per capire cosa significa questa operazione sono necessarie alcune precisazioni.
Tim, proprietaria della rete, dunque di un elemento strategico della sovranità e della sicurezza italiane, era già nelle mani per il 44,2% di azionisti istituzionali esteri, mentre la società francese Vivendi deteneva – e tuttora detiene – il 23,75%. La rete, quindi, non era già più “italiana” perché era stata privatizzata a partire dal 1997 e, nel tempo, è passata nelle mani dei fondi americani e di Vivendi.
Un altro passo verso la totale finanziarizzazione
Ora, però, avviene l’ennesimo transito verso la totale finanziarizzazione. Ciò perché la proprietà della rete viene acquisita per una ventina di miliardi di euro da un solo fondo. Che è, a sua volta, nelle mani dei più grandi fondi finanziari del Pianeta, Vanguard e State Street in primis.
È opportuno tener presente poi che KKR già possiede il 35% di Fibercop, player decisivo nell’ambito cruciale della fibra, e che sta per acquisire anche la rete sottomarina, attraverso Sparkle. In sintesi, con un voto del Consiglio di amministrazione di Tim, senza neppure un passaggio nell’assemblea degli azionisti, con il ministero dell’Economia in posizione irrilevante nonostante l’impegno di acquisire fino al 20% della nuova società costituita da KKR, un fondo finanziario, noto per comprare e vendere subito di tutto, diventa di fatto l’unico proprietario di infrastrutture decisive del nostro Paese.
KKR, una storia di scalate fulminee, cessioni e remunerazione immediata degli azionisti
Occorre aggiungere ancora che questo fondo, con alle spalle una storia di scalate fulminee e di vari assalti finanziari, dispone di attivi per 460 miliardi di dollari. E si è mosso, storicamente, con modalità orientate alle remunerazione immediata dei propri “clienti” e dei propri azionisti. Senza troppe preoccupazioni per il medio e lungo periodo.
In Italia, il suo primo ingresso ha riguardato Selenia, acquisita e ceduta nel 2007, poi è intervenuto in Sistemia dal 2017 al 2019, in Argenta dal 2014 al 2017 e in Inaer dal 2010 al 2014. Ha manifestato, così, una evidente predilezione per acquisizioni e vendite immediate.
Oggi ha in portafoglio una quota di Fibercop acquisita nel 2020, per circa 1,8 miliardi pari al 37,5%, di CMC, produttore di soluzioni di packaging automatizzate, participata dal fondo sempre dal 2020, dell’Industria chimica emiliana Group dal 2019 e delle cartiere Fedrigoni sempre dal 2019. Anche Magneti Marelli è stata acquisita da KKR in quell’anno ed ora lo stesso fondo ha avviato il licenziamento di oltre 200 lavoratori.
La presenza pubblica è sempre più residuale e funzionale agli interessi della finanza
In estrema sintesi, ad una realtà decisamente finanziarizzata, con alle spalle i grandi fondi, viene venduta una delle principali infrastrutture del Paese. Con il benestare del governo. Ancora una volta in nome di un immaginario mercato, è reso possibile un monopolio di un settore vitale. Un mercato immaginario perché ormai i soggetti in grado di svolgere queste operazioni sono pochissimi e, di fatto, definiscono le regole del gioco. Rispetto alle quali la residuale presenza pubblica, con quote di ridotta minoranza, serve solo a garantire che non ci siano ostacoli di natura normativa. Se lo Stato azionista vuole intascare i dividendi finanziari, non deve creare alcun impaccio al grande azionista di maggioranza.
L’illusione della scelta
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Del resto, l’acquisizione da parte del fondo KKR della rete fissa di Tim è solo un pezzo di una strategia più vasta di controllo, posta in essere dai fondi finanziari, dei cruciali sistemi di telecomunicazione. KKR infatti ha acquisito partecipazioni rilevanti in Spagna, in India, nelle Filippine, in Colombia e in altre parti del mondo. Ma, soprattutto, i suoi azionisti, i tre grandi fondi, Vanguard, BlackRock e State street, possiedono oltre il 20 per cento dei colossi delle telecomunicazioni mondiali. A partire da T-Mobile, Verizon, Comcast e At&T.
In pratica un colossale monopolio possiede e gestisce le reti di gran parte del mondo “occidentale” e non solo. La grande finanza controlla di fatto le infrastrutture dove passano tutte le informazioni e i servizi.