La crisi sta tornando? Questi segnali dicono di sì

Rialzo dei tassi, crediti insolventi, "curve inverse" dei bond Usa: per Morgan Stanley è questione di mesi. Bank of America: "Il mercato è come nel 2007”

Matteo Cavallito
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Matteo Cavallito
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«Il fattore chiave è la stretta sulla liquidità a livello globale, un processo turbolento di cui i mercati stanno prendendo coscienza». Parola di Morgan Stanley, in una nota ripresa dal portale specializzato Zero Hedge. È la solita storia, verrebbe da dire. L’elefante nella stanza che appare e scompare dalla vista degli analisti per lo meno dal lontano 2014. Fu quello l’ultimo anno delle grandi iniezioni di liquidità della FED che hanno “drogato” il mercato borsistico. Solo che adesso le percezioni sono più vivide che mai. E non è un bel percepire. Anzi.

Il ciclo del credito

Semplificando: le eccezionali condizioni monetarie post crisi hanno creato come noto un ciclo creditizio fuori dal comune. Tutte le principali economie del Pianeta hanno sperimentato contemporaneamente un ambiente di tassi bassi, risibili o addirittura nulli. Il quantitative easing (QE) – ovvero il riacquisto di massa dei titoli di Stato – ha fatto il resto. Ha infatti garantito una pioggia di liquidità destinata ad accumularsi nelle anse più redditizie del mercato: le borse e, a fasi alterne, i mercati emergenti. L’espansione, insomma, è diventata la regola. Ma nulla, in ogni caso, può durare per sempre. E infatti…

Il rischio di un ambiente ostile

E infatti sta finendo tutto, con conseguenze più o meno annunciate. Quando il mercato è bullish – ovvero tende al rialzo – il leverage – cioè il ricorso all’indebitamento – cresce in continuazione visto che le condizioni in essere rendono questa strategia particolarmente conveniente. Ma con l’arrivo della correzione al ribasso, il rischio per gli operatori è di ritrovarsi a fronteggiare non solo le perdite ma anche un ambiente ostile fatto di tassi più alti e di scarsa qualità del credito (leggi debiti a maggior rischio insolvenza).

Sono questi i fattori che «costituiscono gli ingredienti per la seconda fase del ciclo» scrive Zero Hedge: quella del “default e dei declassamenti (di rating, ndr)” di cui si iniziano a cogliere i segnali. Morgan Stanley, parla di “ciclo creditizio alle sue ultime fasi” e individua sintomi di debolezza nei corporate bond, nell’immobiliare commerciale e nei finanziamenti al consumo in diversi comparti, come settore auto, debiti studenteschi e carte di credito, dove si registra un aumento delle insolvenze. La resa dei conti? «Tempo 6 o 12 mesi» sentenzia la banca.

Analogie con il 2007

E poi ci sono alcune somiglianze inquietanti, come quelle individuate da Michael Hartnett, Chief Investment Strategist di Bank of America. Hartnett, in particolare, ha confrontato i rendimenti annualizzati misurati dall’inizio dell’anno classificando alcuni settori chiave in ordine di rendimento: le commodities (+23%) precedono azioni (+5%) e obbligazioni (+4%), unitamente agli investimenti sulla liquidità (+1%) e sul dollaro USA (-9%). Per ritrovare una classifica simile, rileva, bisogna tornare al 2007, all’inizio della grande crisi.

La fine della festa?

Le analogie con la crisi che fa ancora tremare i polsi, però, non finiscono qui. Morgan Stanley, ad esempio, punta il dito sulla cosiddetta recessionary yield curve, la curva dei rendimenti sui titoli di Stato americani che si starebbe appiattendo da tempo. Il 29 ottobre 2014, la data in cui la FED annunciò ufficialmente lo stop agli acquisti dei Treasuries e la fine del QE, lo spread tra il rendimento del bond Usa a 12 mesi e il suo omologo decennale viaggiava a 223 punti base (2,23 punti percentuali). Oggi, il differenziale di rendimento vale appena 74 punti. Una conferma del trend, a rigor di logica, potrebbe anche aprire la strada a un contesto da inverted curve, ovvero una situazione in cui gli interessi sui titoli a breve termine sono più elevati di quelli sui bond a lunga scadenza.

Ebbene: negli ultimi 41 anni, nota Zero Hedge, il mercato americano ha sperimentato una curva inversa in sette occasioni e in ognuna di queste, puntualmente, l’evento ha preceduto di non più di 12 mesi una discesa dell’indice della produzione manifatturiera ISM sotto quota 50, la soglia che separa l’espansione dalla contrazione. Ogni volta che i rendimenti si sono comportati in questo modo, in altre parole, l’economia americana è entrata in recessione. Tecnicamente, la fine della festa.