Lavoratori migranti, una sanatoria non basta: servono diritti

I lavoratori migranti sono una risorsa. Eppure, per loro il percorso - lavorativo, burocratico e sociale - è ancora colmo di ostacoli

Oiza Q. Obasuyi
La questione dei lavoratori migranti deve essere affrontata a cominciare dal superamento di leggi inutili © Francisco Anzola/Flickr
Oiza Q. Obasuyi
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Lo scorso anno, nel Decreto Rilancio, è stata inserita la “sanatoria”. Ossia la regolarizzazione che permette ad alcune categorie di lavoratori e lavoratrici stranieri con permesso di soggiorno scaduto – attivi principalmente nei settori di agricoltura e allevamento, assistenza agli anziani e cura della casa – di emergere dal lavoro nero. Ottenendo un contratto di lavoro e un permesso di soggiorno temporaneo di sei mesi. Ciò al fine di cercare un nuovo impiego in determinati settori stabiliti.

Il numero di regolarizzazioni di lavoratori migranti è molto basso

Sebbene questa iniziativa sia stata sbandierata come soluzione contro lo sfruttamento di donne e uomini stranieri, i dati evidenziano la sua scarsa efficacia. Non solo il numero di regolarizzazioni è molto basso, ma lavoratori e lavoratrici stranieri continuano a vivere nel limbo dell’irregolarità, della vulnerabilità e dello sfruttamento. Principalmente a causa delle leggi attuali che governano l’immigrazione in Italia.

Migranti
I migranti che arrivano in Italia per lavorare spesso si trovano ad affrontare un percorso ad ostacoli © izanbar/iStockPhoto

Il 1 giugno è stato pubblicato un rapporto, della campagna Ero Straniero – L’umanità che fa bene, che evidenzia i dati allarmanti di una regolarizzazione che rischia di essere un fallimento. Delle 220mila persone che hanno fatto richiesta, solo 11mila (il 5%) hanno ottenuto il permesso di soggiorno per lavoro. Mentre circa 20mila sono i permessi in via di rilascio.

Non mancano gli ostacoli burocratici che impediscono di velocizzare le procedure di regolarizzazione. Nel rapporto è stata sottolineata la mancanza di personale aggiuntivo destinato alle prefetture per l’analisi delle pratiche sulla regolarizzazione. Non bisogna poi dimenticare che essere privi di documenti non implica solamente essere maggiormente soggetti a vulnerabilità e sfruttamento. Ma anche avere scarso accesso al Servizio sanitario nazionale (Ssn).

I migranti senza documenti rischiano di non potersi vaccinare

Secondo le stime di febbraio di quest’anno, si parla infatti di circa 500mila persone che rischiano di non accedere alla campagna vaccinale, tra cui vi sono i senza dimora sia italiani che stranieri. In particolare una parte della popolazione di etnia rom e sinti. Ma anche richiedenti asilo e lavoratori e lavoratrici stranieri senza permesso di soggiorno. Come ha spiegato l’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (Asgi), una delle maggiori difficoltà è la mancanza di documenti per poter accedere di fatto alle prestazioni offerte dal Ssn. Tra i quali, in questa fase, è cruciale appunto la vaccinazione anti Covid-19

Tutte queste difficoltà sono generate dal modo sistematicamente razzista di concepire le migrazioni e il ruolo ricoperto da lavoratrici e lavoratori stranieri. Ovvero utili, ma senza diritti. Secondo la ricerca “Protecting migrant workers from exploitation in the EU: workers’ perspectives” (2019) dell’Agenzia dell’Unione europea per i Diritti fondamentali, condotta in otto Paesi europei –  Belgio, Italia, Germania, Polonia, Francia, Paesi Bassi, Portogallo e Regno Unitosono molte le violazioni commesse dai datori di lavoro.

Stipendi da fame alloggi insalubri e violazioni dei diritti

Primo fra tutti lo stipendio, che risulta troppo spesso al di sotto del salario minimo. La maggior parte dei lavoratori e delle lavoratrici migranti lavora un numero di ore eccessivo. Senza pause o ferie. E senza gli strumenti di protezione giusti per svolgere i lavori più pericolosi. Ai lavoratori e alle lavoratrici migranti viene chiesto poi di svolgere attività illegali. I contratti spesso non esistono. Negli alloggi spesso mancano i letti e le condizioni sanitarie sono precarie.

Nel caso italiano la legge Bossi-Fini, che vincola l’ottenimento del permesso di soggiorno al contratto di lavoro – tramite il paradossale concetto di far incrociare domanda e offerta quando la persona straniera si trova ancora nel Paese di origine –  ha di fatto creato maggior irregolarità e conseguentemente vulnerabilità tra le persone straniere. Si pensi a quelle sfruttate nelle campagne e vittime di caporalato in Italia. Come ha evidenziato l’attivista Yvan Sagnet nel documentario “Slaves in Italy?” realizzato dall’agenzia di stampa Deutsche Welle, non si tratta semplicemente di sfruttamento. Si tratta di schiavitù. Con il caporale che maltratta lavoratori e lavoratrici. Sapendo che senza documenti né contratto non possono essere tutelati in alcun modo.

Il documentario “Slaves in Italy?”

Il caso di Soumaila Sacko è ancora d’attualità

Inoltre, il caso di Soumaila Sacko, bracciante maliano e sindacalista ucciso nel ghetto di San Ferdinando nel 2018, è la prova lampante che anche nel caso in cui la persona abbia i documenti – Sacko era infatti “in regola” – non è detto che automaticamente abbia la possibilità di condurre una vita migliore. 

Tra le soluzioni proposte, l’Asgi afferma che occorre svincolare l’ottenimento del permesso di soggiorno dal contratto di lavoro. Mentre il collettivo Coordinamento Migranti di Bologna punta alla realizzazione di un permesso di soggiorno incondizionato ed europeo, libero da requisiti stringenti. Occorre quindi non solo smantellare leggi obsolete e inutili che discriminano in modo sistematico le persone straniere, inevitabilmente soggette a violazioni dei diritti umani. Ma anche sanare le fratture e le disuguaglianze sociali che continuano a schiacciare le persone più vulnerabili.