Il lavoro che pretendiamo
Economia e finanza, sostantivi femminili. Eppure c'è ancora troppo poco di femminile nel mondo dell'economia e della finanza. Ogni lunedì un nostro commento
La sicurezza sul lavoro non è da prima pagina. Lo diventa solo davanti alla morte, che colpisce, senza differenza di genere. Anche la morte atroce di Luana D’Orazio, giovanissima operaia tessile e madre, stritolata dall’orditoio a cui lavorava, non ha riacceso per nulla, come invece avrebbe dovuto, i fari su qualità e quantità del lavoro, specie per le donne, nel nostro Paese.
Dall’inizio dell’anno sono morte 185 persone: 14 donne e 171 uomini, secondo Inail. Dati drammatici a cui vanno sommati gli infortuni sul lavoro dovuti a Covid-19, ambito in cui le donne sono state le più contagiate: ben il 69,3% su oltre centomila casi, perché più esposte nell’ambito professionale. Come sappiamo dagli studi epidemiologici, siamo parzialmente graziate, proprio “a causa” del nostro genere, dalla morte che può essere innescata dal virus, che nel caso del covid, statisticamente, colpisce più gli uomini.
Ma non ci sentiamo più “fortunate” per questo. La pandemia ci ha colpito in modo duro. Facciamo parlare i numeri, ancora una volta. Secondo Istat, le donne nel nostro Paese sono state quelle che più hanno perso il lavoro, nel 2020. I dati complessivi dicono che nello scorso anno sono rimaste disoccupate 312 mila lavoratrici su 444mila unità.
Come mai così tante? È facile a dirsi. Le donne in Italia hanno impieghi sempre più precari, stagionali e, in genere, sottopagati. Almeno il 20% in meno rispetto agli uomini. E la crisi da covid ha solo esasperato, come ha ricordato Linda Laura Sabbadini, direttrice dell’Istat, un problema enorme che già c’era. La mancanza di servizi, che fa ricadere il lavoro di cura sul genere femminile. «Nel 2019, alla vigilia della pandemia – ha dichiarato Linda Laura Sabbadini – eravamo con solo metà delle donne occupate. Penultimi in Europa, davanti soltanto alla Grecia».
Dopo un anno siamo scese ulteriormente, al 47,8%. E la doppia scure si abbatte con ancora più forza sulle giovani. Se anche il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza non investirà in modo congruo su di noi, con norme, servizi e agevolazioni per favorire la nostra ripresa lavorativa, occorrerà, sempre come suggerisce la direttrice di Istat, «pretendere ciò che meritiamo».
Dobbiamo pretendere un lavoro, che sia equamente retribuito e soprattutto sicuro. Oggi sappiamo che dovremo ottenerlo anche in memoria di chi non c’è più.