L’Europa dice basta ai finanziamenti agli inceneritori

Il Fondo europeo di sviluppo regionale, da cui arrivavano i finanziamenti agli inceneritori, sarà invece destinato alla crescita intelligente e all'economia verde

Rosy Battaglia
Rosy Battaglia
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Stop agli investimenti di fondi strutturali europei per finanziare inceneritori e il ciclo indifferenziato per i rifiuti. Il no arriva dalla Commissione regionale per i fondi (REGI), presieduta dall’europarlamentare Andrea Cozzolino  (S&D, IT), che ha messo nero su bianco come impianti di incenerimento, discariche e altre strutture per lo smaltimento di rifiuti indifferenziati, non dovrebbero più essere sostenuti, né con il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) né con il Fondo di coesione (CF).

Gli inceneritori in Europa

Un fondo dedicato all’economia verde

Le norme aggiornate si applicheranno al periodo 2021-2027 e riguarderanno tutti gli Stati membri, con particolare attenzione alle comunità meno sviluppate, alle regioni urbane e ultraperiferiche. Una svolta nella gestione del più grande fondo pubblico dell’UE che, stando alla commissione REGI, dovrebbe essere destinato alla crescita intelligente e all’economia verde. Mentre Il Fondo di coesione (CF) dovrebbe continuare a concentrarsi sugli investimenti nelle infrastrutture ambientali e dei trasporti. Ogni regione europea dovrebbe investire così almeno il 30% dei fondi ricevuti per la lotta contro il cambiamento climatico e per l’economia circolare.

Una finestra aperta per i combustibili fossili

La relazione dovrà essere adottata dal parlamento europeo, con la possibilità di eventuali emendamenti, in sessione plenaria, il mese prossimo. Una decisione importante che va a sostenere in parte l’economia circolare, in previsione dei prossimi piani di spesa dell’Unione Europea post 2020, ma che scontenta Climate Action Network (CAN) Europe e CEE Bankwatch Network perché «apre le possibilità di continuare a finanziare i combustibili fossili, nonostante gli obblighi dell’UE di ridurre i gas a effetto serra previsti dall’accordo di Parigi», sostengono gli ambientalisti.

Un colpo al cerchio e una alla botte, quindi, ma che prosegue sul solco delle misure della Commissione Europea per disincentivare l’incenerimento, iniziate con la “Circulary Economy” nel 2015, ribadite nel 2017 «impegnandosi a garantire che finanziamenti pubblici siano destinati a opzioni di trattamento dei rifiuti in linea con la gerarchia dei rifiuti e che sia data priorità alla prevenzione, al riutilizzo, raccolta differenziata e riciclaggio, fino alla modifica della direttiva rifiuti del 2008 con la risoluzione legislativa del Parlamento europeo del 18 aprile 2018».

La lobby degli inceneritori tenuta di difendersi

Iniziativa certamente “indigesta” per la Confederazione degli impianti europei Waste-to-Energy (CEWEP), preoccupata che il mercato del “Waste to Energy” sia stato dichiarato nocivo per l’ambiente dalle definizioni comunitarie, proposte per gli investimenti sostenibili. «Per i rifiuti che contengono sostanze pericolose e che quindi non possono essere riciclati in modo ecocompatibile, l’incenerimento è l’unica opzione sostenibile» sostiene la CEWEP e i suoi alleati.

A cui controbatte ZeroWaste Europe:  «L’esclusione del sostegno finanziario a queste tecnologie obsolete, nell’ambito del Fondo di coesione dopo il 2020, consentirà di liberare risorse a sostegno della prevenzione, del riutilizzo e del riciclaggio dei rifiuti e aiuterà gli Stati membri a raggiungere gli obiettivi dell’economia circolare del 2035».

E l’Italia?

Secondo i dati della stessa Cewep, è una delle regioni europee con il numero maggiore di inceneritori (41), la quarta dopo Germania, Francia, Gran Bretagna, Ma scarseggia, invece, di impianti di riciclo e recupero, per il compostaggio e il recupero di biogas.

Gli italiani probabilmente ignorano che chi ha prodotto energia attraverso i rifiuti abbia ricevuto per anni, oltre che le agevolazioni economiche derivanti dai cosiddetto incentivo CIP6, destinate a chi produce energia elettrica da fonti rinnovabili o “assimilate” rivendendola al Gestore dei Servizi Energetici (GSE) a un prezzo superiore a quello di mercato, anche fondi europei per lo sviluppo. Così è avvenuto per gli impianti del sud, come per l’inceneritore di Acerra, il secondo più grande d’Italia, già ora a corto di finanziamenti.