Un soffitto con vetro doppio, color arcobaleno
Economia e finanza, sostantivi femminili. Eppure c'è ancora troppo poco di femminile nel mondo dell'economia e della finanza. Ogni lunedì un nostro commento
Come ti sentiresti se dovessi nascondere ciò che sei e la tua vita personale a lavoro? Quando qualcosa di semplice, come mostrare delle fotografie di famiglia, disquisire sui programmi per il fine settimana o indossare una fede nuziale potrebbe rivelare un’identità “scomoda” ai tuoi datori di lavoro? Potrebbe sembrare bizzarro, ma questa è la scelta che devono affrontare molte donne e uomini LGBT+ in tutto il mondo. Nonostante i progressi nel campo della diversità di genere, questi devono ancora affrontare ciò che Claudia Brind-Woody di IBM ha descritto come «un soffitto di cristallo dal vetro doppio».
Una fiorente letteratura ha esaminato le disuguaglianze di reddito associate a un orientamento sessuale minoritario, ma sono molti meno gli studi sulle differenze nell’accesso al posto di lavoro. Alcune evidenze sono in ogni caso chiare: un recente esperimento ha testato l’appetibilità dei curriculum vitae degli appartenenti alla comunità LGBT+. Sono stati presentanti falsi CV di laureati per alcuni annunci di lavoro. Alcuni menzionavano l’appartenenza a un’organizzazione studentesca gay, o associazioni per i diritti degli omosessuali. Lo studio ha mostrato che i candidati LGBT+ hanno il 40% in meno di probabilità di ottenere un colloquio.
Ma non è la sola problematica che devono fronteggiare queste persone, quando si affronta il tema dell’inclusione nell’ambiente di lavoro. Gay, lesbiche e bisessuali hanno anche guadagni inferiori rispetto agli eterosessuali, ha dichiarato senza mezzi termini Lee Badgett, dell’University of Massachusetts di Amherst. E poi, un’analisi della Ong Human Rights Campaign ha rilevato che il 46% dei dipendenti LGBT+ non ha fatto outing sul lavoro, anche perché oltre la metà di loro ha ascoltato battute pesanti su persone gay o lesbiche. Dunque, l’ambizione professionale risulta spesso una priorità rispetto alla condivisione dell’orientamento sessuale e questo sentimento è più evidente in situazioni particolari. Quasi la metà dei dipendenti LGBT+ intervistati ha infatti dichiarato di mentire direttamente, o di omettere ai propri dirigenti il proprio orientamento sessuale durante le conversazioni informali. Allo stesso modo, il 13% ha dichiarato di aver accettato anche di lavorare (con riluttanza) su progetti in Paesi in cui l’omosessualità è criminalizzata.
Mobbing e discriminazioni, dunque, sono ancora un grosso freno per la carriera, e sono il primo grande, grandissimo, problema da risolvere. Ma non basta: le aziende devono mettersi nell’ottica di reclutare e far crescere talenti, al di là del proprio orientamento sessuale. Per attirare giovani menti “arcobaleno” non basta non discriminare. Per questi candidati, secondo lo studio, la cultura inclusiva (cioè LGBT+ friendly) è tra i tre criteri principali (addirittura il primo in Germania e Nord America) per accettare un’offerta di lavoro. Più importante – in media – del prestigio della realtà aziendale.
Ah, dimenticavo. In Italia, l’ambiente di lavoro ha un livello di maturità, riguardo questo aspetto, nettamente più basso rispetto agli altri Paesi analizzati.