Il litio scatena la protesta in Argentina
Salari bassi, criminalizzazione della protesta e modello di sviluppo estrattivista. Una nuova riforma costituzionale scatena manifestazioni e proteste nel nord dell’Argentina
Una nuova riforma costituzionale locale è stata approvata a Jujuy, nel nord dell’Argentina al confine con Perù e Bolivia. Obiettivo: criminalizzare le proteste sociali e consegnare le terre delle popolazioni originarie alle multinazionali che estraggono il litio. A proporla è stato il Governatore Gerardo Morales, che a ottobre si candiderà alla vicepresidenza del Paese con il partito di centrodestra “Juntos por el Cambio“. Da giugno insegnanti, comunità indigene e attivisti per diritti umani e ambientali bloccano le strade della provincia e manifestano contro la riforma.
Cosa è successo
I primi a scendere in piazza a Jujuy sono stati, il 5 giugno scorso, i docenti. Nella provincia gli insegnati percepiscono un salario basso, il peggiore in Argentina. 34mila pesos al mese, circa 122 euro. Alla mobilitazione dei docenti Morales ha risposto, il 12 giugno, con una proposta di riforma della Costituzione locale della provincia, al fine di criminalizzare la protesta sociale e porre fine alle mobilitazioni. Il testo proposto, inoltre, include due articoli che mirano a riconfigurare la gestione della proprietà delle terre appartenenti ai popoli originari. L’obiettivo è quello di consegnare le terre alle multinazionali, per render loro più facile l’estrazione e lo sfruttamento del litio.
La richiesta di litio – presente, ad esempio, nelle batterie di cellulari e veicoli elettrici – a livello globale è in continuo aumento. Morales già nel 2022 annunciava che entro fine anno la provincia di Jujuy avrebbe dovuto produrre 82.500 tonnellate di litio. Con la riforma si prepara ad aumentarne la produzione. A questo punto le proteste si intensificano. Il 15 giugno una fiaccolata attraversa San Salvador de Jujuy, capitale della provincia. Nonostante ciò la riforma viene approvata il giorno seguente. Da questo momento le manifestazioni, definite “violente”, vengono represse dalla polizia tra percosse, pallottole di gomma, gas lacrimogeni e arresti. Comunità originarie, insegnati e attivisti continuano, tuttavia, a opporsi e blocchi stradali spuntano in ogni città della provincia.
Le rivendicazioni dei popoli originari
La riforma si basa su un progetto proposto dal governo locale lo scorso settembre, ma è stata approvata attraverso un procedimento “express” senza consultazioni anticipate e informate. I popoli originari ne hanno subito denunciato l’incostituzionalità. Questa non solo nega il loro diritto alle terre ancestrali, ma contravviene anche alla Convenzione dei popoli indigeni e tribali del 1989 (n.169) dell’Organizzazione internazionale per il lavoro (ILO). Stando all’articolo 15 della Convenzione, infatti, il governo deve consultare le popolazioni indigene prima di intraprendere o permettere qualsiasi programma di esplorazione o sfruttamento di risorse appartenenti alle loro terre.
Oltretutto il procedimento di estrazione del litio ha un forte impatto ambientale. Per filtrare ed estrarre il carbonato di litio ci vuole molta acqua dolce. Nel Salar de Atacama in Cile l’attività estrattiva ha causato la perdita del 65% di acqua dolce della regione, mettendo in crisi l’agricoltura locale. Inoltre durante il procedimento possono sprigionarsi nell’ambiente – inquinando suolo e aria – sostanze chimiche tossiche, utilizzate nella lavorazione del litio, e altri prodotti di scarto.
Il Tercer Malón de la Paz
Dall’inizio delle proteste, le comunità indigene si sono unite nel “Tercer Malón de la Paz”. Con Tercer Malón de la Paz si intende una marcia, – la terza, quella di quest’anno, nella storia dell’Argentina – verso la capitale Buenos Aires. Le prime due avvennero nel 1946 e nel 2006 quando popoli indigeni marciarono dal nord-ovest argentino alla capitale, chiedendo la restituzione dei loro territori.
Le comunità hanno annunciato, il 17 luglio, che il Malón partirà a nord della provincia di Jujuy verso Buenos Aires, per chiedere l’abrogazione della riforma della Costituzione locale alla Corte Suprema di Giustizia (CSJ). Il Tercer Malón de la Paz chiede, inoltre, l’archiviazione delle cause giudiziarie avviate contro le persone che hanno partecipato alle diverse mobilitazioni e le dimissioni del governatore Gerardo Morales e del capo della polizia, Horacio Herbas Mejía per abuso di forza nelle operazioni di repressione.
L’Argentina tra crisi economica, litio ed elezioni presidenziali
La situazione a Jujuy ha attirato l’attenzione dei partiti che si preparano alla sfida presidenziale. I politici si sono espressi sia contro che a favore della politica di repressione di Gerardo Morales. Su una cosa però sono stati tutti d’accordo: l’estrazione del litio a Jujuy, così come in tutta l’Argentina del nord, rappresenta una necessità per il Paese. Con una contrazione del Pil nel 2023 del 3,3% e un’inflazione annua che entro dicembre arriverà al 145%, le prospettive economiche del Paese nel breve periodo non sono rosee. A rendere lo scenario più ottimista nel lungo periodo sono alcuni settori come quello energetico e quello minerario di litio e rame.
Una questione centrale dunque quella del litio e del risollevamento economico del Paese, soprattutto in periodo di elezioni presidenziali. Il 22 ottobre la popolazione argentina sarà infatti chiamata a votare per il prossimo governo. La situazione è incerta. Il Frente de Todos – coalizione di sinistra attualmente al governo – sta perdendo consensi per via della situazione economica e sociale. L’opposizione di centrodestra – Juntos por el Cambio, con cui si candida Morales – viene data come favorita in molti sondaggi, ma potrebbe perdere voti a favore di Javier Milei, il candidato di estrema destra. Il 13 agosto si terranno le elezioni primarie in cui si decideranno i candidati per i partiti.