Le macchine non ci sostituiranno
Ogni settimana il commento di Marta Fana su lavoro, diseguaglianze, diritti
Il discorso dominante sulla scarsa ripresa dell’occupazione e sulle crescenti disuguaglianze interne al mondo del lavoro si fonda da più di un secolo, ma con maggiore insistenza nell’ultimo decennio, sull’ineluttabilità di una sostituzione sempre più massiccia tra uomo-lavoratore e macchina. La Quarta Rivoluzione industriale è destinata – secondo molti – a metter fine al lavoro salariato. Un determinismo subdolo che rassicura e deresponsabilizza: ci sono i robot, non possiamo fare nulla per voi. Dove il «voi» è la maggioranza della popolazione, quella che ogni mattina si sveglia e sa che per campare deve vendere il proprio tempo come forza lavoro. A fine turno, di lavoro o di ricerca di lavoro, ci si guarda attorno e di robot neppure l’ombra: l’adozione di macchine completamente autonome, soprattutto nel nostro Paese, è esigua e concentrata in pochissimi settori. Poi un giorno ci si sveglia e sfogliando i giornali si scopre che sempre più robot sono utilizzati dagli eserciti in guerra. Li chiamano «automi da combattimento». Quanti sono, chi li produce, quanto spendono gli Stati per produrli o comprarli? Gli stessi Stati che durante una pandemia globale non hanno avuto il coraggio di produrre tutte le attrezzature necessarie per far fronte alla crisi sanitaria ed economica, dai ventilatori alle mascherine, dall’edilizia scolastica ai mezzi pubblici, hanno la capacità tecnica ed economica di produrre e commerciare armi sempre più sofisticate. Scelte politiche che mostrano quanto poco neutrale e deterministico sia il rapporto uomo-macchina, tecnologia e benessere.