Microplastiche “alimento” ormai stabile nella dieta umana
L'università di Pisa: almeno 2000 tonnellate di microplastiche invadono fiumi e spiagge italiani. E la Commissione Ue: sono entrate nella catena alimentare
Ce le ritroviamo in spiaggia, ma anche nell’acqua che beviamo. Come nel pesce, nel sale e nel miele, senza sapere ancora, esattamente, quale sarà nel medio e lungo termine l’impatto sulla nostra salute. Lo aveva già denunciato nel 2017 l’associazione non profit di giornalismo ORB Media. Lo conferma uno studio dell’Università di Pisa, curato dal dipartimento di Chimica e pubblicato su “Environmental Science and Technology”, la rivista dell’American Chemical Society. La presenza di microplastiche si è fatta sempre più pervasiva. Anche in Italia.
«Contaminazione onnipresente»
«Le nostre ricerche stanno mettendo in evidenza quanto questa forma di contaminazione ambientale possa essere pressoché onnipresente anche nelle zone di intensa frequentazione turistica» spiega a Valori Valter Castelvetro, docente di Chimica Industriale e coordinatore della ricerca. «Uno dei principali rischi, poi, è che le microplastiche agiscano da collettori di sostanze inquinanti anche altamente tossiche come pesticidi e idrocarburi policiclici aromatici».
Lo studio ha analizzato dei campioni di sabbia raccolti nei pressi delle foci dei fumi Arno e Serchio, in Toscana, per determinare la quantità e la natura dei frammenti di plastica inferiori ai 2 millimetri.
I risultati hanno evidenziato la presenza di notevoli quantità di materiale polimerico parzialmente degradato, fino a 5-10 grammi per metro quadro di spiaggia, derivante per lo più da imballaggi e da oggetti monouso abbandonati in loco, ma in prevalenza portati dal mare.
Risultati in linea con le analisi della Commissione Ue
A partire da questi primi dati raccolti nelle analisi a campione, i ricercatori stimano che la quantità di microplastiche sulle spiagge italiane sia tra le 1000 e le 2000 tonnellate. Stime che si sommano ai dati forniti da una recente pubblicazione della sezione scientifica della Commissione Europea.
“Queste piccole particelle di plastica possono essere ingerite da zooplancton, invertebrati e piccoli pesci, entrando così nella catena alimentare – si legge nel documento “Microplastics: Focus on Food and Health” pubblicato lo scorso marzo, a riprova di quanto denunciato anche dagli scienziati italiani.
Cosa sono e come hanno proliferato le microplastiche?
Ma cosa sono esattamente micro e nano plastiche e come si sono introdotte nell’ambiente? Intanto, la definizione concordata in ambito scientifico ci dice che sono particelle solide e insolubili in acqua, inferiore a 5 mm e includono anche plastiche di dimensioni nanometriche (nanoparticelle). Derivano dai polimeri di maggior uso, come polietilene, polipropilene, polistirene, poliammide (nylon), polietilene tereftalato, polivinilcloruro, acrilico, polimetilacrilato.
Secondo le stime della Commissione Europea, ogni anno, in tutto il mondo, vengono prodotti oltre 300 milioni di tonnellate di plastica, metà del quale è “usa e getta”, almeno 8 milioni di tonnellate finiscono nei nostri oceani. Sempre secondo la Commissione europea, tra il 69 e l’81% di microplastiche nell’ambiente marino proviene dalla degradazione incompleta di oggetti dai prodotti usa e getta, ai tessili, all’attrezzatura per la pesca. Mentre una seconda fonte di produzione, arriva dall’introduzione volontaria delle microsfere, o microbeads, in tutta una serie di prodotti di uso comune, come quelli per l’igiene personale e industriale, su cui la stessa Commissione ha promosso uno studio ad hoc. Ma anche semplicemente lavando i nostri indumenti sintetici in lavatrice.
Le materie plastiche contengono spesso additivi come stabilizzanti, plastificanti, ritardanti di fiamma e pigmenti che possono essere rilasciati in acqua.
Attualmente, sui 150 milioni di tonnellate di plastica negli oceani sono stimati circa 23 milioni di tonnellate di additivi.
Eppure, sottolinea il documento divulgativo della Commissione UE, non sono ancora stati realizzati studi sistematici per valutare l’impatto delle micro e nano plastiche sulla nostra salute.
Il cerchiobottismo del documento della Commissione
«Secondo le attuali conoscenze, è improbabile che l’ingestione di microplastiche “di per sé” sia un rischio oggettivo per la salute umana» dice il documento. Intanto, però, si ribadisce che alcuni degli additivi o contaminanti organici, addizionati, possono essere tossici. Le microplastiche possono agire come un mezzo di trasporto per inquinanti, specie invasive e agenti patogeni come il bisfenolo (BPA), alcuni ftalati, pesticidi e sostanze chimiche dannose per il sistema endocrino. La potenziale migrazione di additivi polimerici in alimenti e bevande è considerata una delle principali vie di esposizione per la popolazione umana, come diversi studi confermano già.
Un pericoloso “gap di conoscenza”
EFSA, l’Agenzia per la Sicurezza Alimentare europea, ha posto un limite di migrazione totale di 10 mg / dm2 per additivi all’interno di materie plastiche destinate all’imballaggio, con un limite di migrazione più rigoroso di 0,01 mg / kg per determinate sostanze chimiche pericolose, come indicato dalla Direttiva 2007/19/CE. Ciò significa che per un adulto medio di 60 kg che consuma 3 kg di alimenti e liquidi al giorno, l’esposizione a singole sostanze dall’imballaggio alimentare potrebbe arrivare a 250 μg / kg di peso corporeo al giorno.
La verità è che, allo stato attuale, abbiamo quello che la stessa Commissione europea definisce un “gap di conoscenza”. Mancano informazioni affidabili sui livelli di microplastiche primarie che entrano nelle acque reflue europee o nelle acque superficiali. Sulla degradabilità naturale e il potenziale impatto ambientale di tutti i tipi di microplastiche e loro additivi associati in acqua dolce e marina. Non ci sono ancora sufficienti informazioni sull’assorbimento microplastico nell’uomo e l’effetto dell’accumulo dopo l’inalazione e l’ingestione. Esposizione che può avere potenziali effetti sulla salute umana con l’embolizzazione di piccoli vasi, infiammazione e reazioni inmmunitarie. «Le informazioni limitate disponibili mancano di comparabilità, a causa dell’assenza di metodi standardizzati per l’esecuzione del rischio valutazione dell’impatto sulla salute», riporta il documento della Commissione.
Anche EFSA chiede ricerche più approfondite
Intanto, su richiesta dell’Istituto federale tedesco per la valutazione dei rischi (BfR), il gruppo di esperti scientifici sui contaminanti nella catena alimentare delll’Agenzia per la Sicurezza Alimentare europea (EFSA), ha rilasciato una relazione sulla presenza di microplastiche e nanoplastiche negli alimenti, con particolare attenzione ai frutti di mare.
La relazione è stata redatta nel 2016. Le sue conclusioni? Non vi sono dati sufficienti sulla tossicità e il destino di questi materiali quando vengono ingeriti, per effettuare una valutazione completa del rischio. Ma – aggiungeva – le ricerche dovevano essere approfondite. «Alcuni studi indicano che le microplastiche, dopo il consumo negli alimenti, possono trasferirsi nei tessuti» hanno affermato i ricercatori di EFSA. «È quindi importante stimare l’assunzione media. Sappiamo che le nanoparticelle di sintesi (da diversi tipi di nanomateriali) possono penetrare nelle cellule umane, con potenziali conseguenze per la salute. Ma sono indispensabili ulteriori ricerche e maggiori dati».
Tutto questo ha portato, nel 2017, la stessa Agenzia per la Sicurezza Alimentare, a inserire come tema di ricerca prioritario, a tutela della salute dei cittadini europei, la presenza di micro e nanoplastiche nel cibo umano e animale. Le ricerche sono in corso.