I miliardari più ricchi del mondo hanno un segreto: i monopoli
Uno studio mostra l'origine dei patrimoni delle 20 imprese più grandi al mondo: la loro posizione di monopolio
«I miliardari più ricchi del mondo hanno un segreto comune che si nasconde in bella vista: i monopoli». Si apre così Taken, not earned: How monopolists drive the world’s power and wealth divide, il rapporto di Balanced Economy Project, SOMO, Global Justice Now, LobbyControl e dell’Observatoire des multinationales. Lo studio sul patrimonio delle 20 aziende più grandi del mondo è stato presentato in occasione del Forum di Davos 2024.
Secondo l’indagine, all’origine dei patrimoni da capogiro che dominano l’economia mondiale ci sono posizioni di dominio strategico. I loro monopoli hanno reso le aziende in questione «troppo grandi per fallire, troppo grandi per fidarsi e troppo grandi per preoccuparsi». Le conseguenze non si riflettono soltanto sul numero esponenziale di zeri alla fine dei conti in banca di chi le possiede. Esse si ripercuotono innanzitutto sulle imprese più piccole, incapaci di reggere il confronto. E sui consumatori finali, che si impoveriscono mentre una sparuta manciata di multinazionali continua a crescere.
«Taken, not earned»
Come fanno i miliardari a guadagnare tanti soldi? Non li guadagnano, al massimo «li prendono». Grazie alle loro posizioni monopolistiche, nel quinquennio 2018-2022 il margine medio di profitto delle 20 più grandi aziende miliardarie è cresciuto del 50%. Si tratta del doppio di quanto è riuscita a crescere la metà delle aziende del campione, composto da 34mila società quotate in Borsa.
Le 20 imprese più ricche prese in esame sono possedute o controllate dai primi 20 miliardari della lista di Forbes. 14 di esse sono partner ufficiali del World Economic Forum di Davos. Gli uomini e le donne che le possiedono sono miliardari che utilizzano la propria ricchezza per sponsorizzare l’evento, orientarne le discussioni ed estendere la propria sfera di influenza nel dibattito pubblico internazionale. E lo fanno praticamente da sempre. Secondo lo studio, dal 1995 le 100 società più grandi del mondo hanno avuto margini di profitto del 43% (in media). Se guardiamo al 50% di imprese più piccole, non si va oltre il 24%.
Cosa determina, materialmente, la loro sfera di influenza? Gli autori del rapporto sottolineano come i monopoli abbiano un effetto distruttivo sulle economie imponendo i prezzi, danneggiando le piccole imprese, influenzando i processi democratici e ledendo i diritti dei cittadini. Secondo i ricercatori «alcuni dei miliardari più ricchi del mondo hanno accumulato ricchezza attraverso industrie così dominanti e influenti che possono sfruttare il loro potere per risucchiare la ricchezza dalle nostre società». E in effetti i conti tornano. Tra il 2018 e il 2022, il markup medio per queste imprese (la differenza tra il prezzo di vendita di un bene e il suo costo) è arrivato al 50%, doppiando quello delle più piccole, fermo al 25%.
Tra gli approfondimenti tematici dello studio, ampio spazio è dedicato alle attività di lobbying. Sono 236 le organizzazioni, federazioni, associazioni professionali e i think thank che, in Europa, supportano le multinazionali prese in esame. Gli investimenti per acquistare il proprio spazio di influenza sono da capogiro. Negli Stati Uniti ogni anno vengono spesi 118,3 milioni di euro, in Europa 36,9 milioni. I più impegnati a sovvenzionare attività lobbistica sono i giganti del digitale. Da soli raggiungono l’82% degli investimenti europei nel settore (30,3 milioni di euro) e il 58% di quelli statunitensi (61,1 milioni di euro). In generale, tanti soldi consentono di acquisire grande potere politico che, a sua volta, consente di conservare e, addirittura, accrescere la propria ricchezza. Anche senza azioni di lobbying, il potere dei miliardari, grazie ai loro monopoli, consegna loro un margine elevatissimo di influenza politica su chi governa.
Serve un intervento deciso delle autorità di regolamentazione
Lo studio denuncia un’allarmante concentrazione di capitali e, di conseguenza, di potere, ma non ritiene che questa situazione sia permanente. Pur sottolineando la «scarsa propensione» delle autorità pubbliche ad affrontare il problema, i ricercatori sollecitano a più riprese l’intervento delle autorità di regolamentazione. «Le leggi, come per esempio quelle sulla concorrenza – scrivono – possono essere utilizzate per contrastare il dannoso potere monopolistico, smantellando le imprese dominanti o imponendo controlli più severi sulle fusioni».
Tra il 2005 e il 2023 la Commissione europea è riuscita a impedire solo lo 0,7% di fusioni tra imprese, ma forme di intervento restano possibili. I ricercatori sollecitano i governi a tutelare gli interessi del pubblico, riservando alle imprese che forniscono servizi essenziali lo stesso trattamento di quelle di pubblica utilità, o spingendo addirittura per renderle pubbliche. Tra gli interventi auspicati ci sono quelli volti a ridurre le concentrazioni eccessive di potere delle imprese proprietà di miliardari, limitare l’influenza lobbistica dei monopoli intervenendo con leggi efficaci sul conflitto di interessi e sulla trasparenza delle istituzioni politiche.