Moda e lavoro: cosa prevede il nuovo Accordo per il Bangladesh
Nuovo Accordo coi marchi della moda in Bangladesh. Aspettando le firme dei ritardatari, si lavora per l'applicazione anche in Pakistan, ricordando la tragedia di Karachi
La buona notizia è che già più di 100 marchi globali della moda hanno sottoscritto il nuovo Accordo internazionale sulla sicurezza delle fabbriche tessili in Bangladesh, entrato in vigore il primo settembre 2021. Un impegno decisivo, che è la prosecuzione del precedente Accord on fire and building safety. La cattiva è che questo nuovo patto, ideato per garantire una minima serenità del lavoro nel Paese asiatico, certifica anche la necessità di progredire in questa direzione.
L’Accordo precedente, assicurando ristrutturazioni e riparazioni critiche in 1.600 fabbriche che impiegano 2,5 milioni di lavoratori, ha salvato innumerevoli vite in Bangladesh. Nonché la credibilità e redditività della filiera della moda all’indomani del drammatico – anche mediaticamente – crollo del Rana Plaza di Dacca. Ma una cronologia pubblicata proprio in questi giorni dai cosiddetti testimoni firmatari dell’Accordo registra la quantità e gravità di numerosi incidenti avvenuti al di fuori del Bangladesh dall’inizio del 2021.
Il 2021 per i lavoratori del tessile © Gentile concessione della Clean Clothes Campaign
Clean Clothes Campaign, Global Labour Justice – International Labour Rights Forum, Maquila Solidarity Network e Worker Rights Consortium testimoniano così un debito di vittime e infortuni (e annesso sfruttamento del lavoro). “Danni collaterali” al profitto che, al rutilante pubblico delle passerelle e ai consumatori di fast fashion, non vengono frequentemente raccontati. Eppure riguardano centinaia di persone e famiglie, di operaie – soprattutto – e operai impiegati nella confezione dei capi di abbigliamento in tutto il mondo. Anche in Pakistan, Marocco, Egitto, Cina, India, Cambogia, Cile, Turchia… E senza dimenticare l’Europa.
Chi ha già firmato e chi no: la lavagna dei marchi della moda
Da qui l’importanza del nuovo Accordo e l’utilità di diffonderne il messaggio e il modello. Anche tra i brand di casa nostra. Tant’è che la Campagna Abiti Puliti, emanazione italiana della Clean Clothes Campaign internazionale, ha già contattato alcune delle imprese italiane. Benetton ha già firmato il nuovo accordo. Mentre OVS e Artsana hanno assicurato alla portavoce Deborah Lucchetti che lo faranno in breve tempo. E sono impegnate nell’iter burocratico per arrivare alla sottoscrizione.
«Chi aveva già firmato il precedente accordo – specifica Lucchetti – è chiamato a firmare il nuovo, confermando il proprio impegno. Le imprese che non erano già inserite nella precedente lista dei firmatari, sono invitate a sottoscrivere il nuovo accordo, naturalmente se clienti delle fabbriche in Bangladesh o di Paesi verso cui potrebbe avvenire l’estensione del nuovo programma internazionale». Il vecchio Accordo si è infatti esaurito il 31 maggio del 2021, e quello appena presentato lo sostituisce e ne prosegue gli intenti e l’azione per 28 mesi, essendo valido fino al 31 dicembre del 2023.
Modello da esportare: obiettivo Pakistan
Non solo. Il nuovo accordo si distingue dal precedente per una caratteristica importantissima e peculiare, richiesta dalle organizzazioni sindacali e dagli attivisti per i diritti umani. Prevede la possibilità di un’estensione dell’applicazione ad altri Paesi oltre al Bangladesh.
«Adesso – conclude Lucchetti – l’importante è che si avvii presto questo processo di estensione».
Il primo proposto è il Pakistan, anch’esso sede di numerose imprese tessili al servizio dei marchi della moda internazionali. E teatro, nel 2012, della strage di 250 lavoratori, vittime nell’incendio della fabbrica Ali Enterprises di Karachi. Tragedia di cui proprio in questi giorni cade l’anniversario. In occasione del quale proteste e appelli dei sindacati locali hanno riacceso i riflettori sul tema sicurezza.
Pakistan
RINA Italy certificò la fabbrica bruciata con 250 operai. Senza averci mai messo piede
Lo denuncia la Campagna Abiti Puliti: l’impresa genovese garantì la sicurezza della pakistana Ali Enterprises. Un colpo alla credibilità dei sistemi di certificazione
Va detto, tuttavia, che la prospettiva di estendere il nuovo accordo al Pakistan – e ad altre nazioni eventuali – non è questione semplice. Comporta una articolata procedura di valutazione della fattibilità. L’applicazione estesa continuerà ad essere sottoposta a un organismo generale di supervisione internazionale. Dal quale deve però derivare un capitolo nazionale con un organismo operativo locale. Perché ciò avvenga è necessaria l’elaborazione di uno specifico programma per la sicurezza sul Pakistan che declini l’applicabilità del accordo in questo Paese.