Come calcolare un salario dignitoso nel settore della moda
Un rapporto della Clean Clothes Campaign presenta un nuovo metodo di calcolo per un salario di base più dignitoso: lo Europe Floor Wage
Un salario dignitoso è un diritto fondamentale. Eppure, quello che i lavoratori della filiera della fast fashion percepiscono è spesso di gran lunga inferiore a un livello che si possa considerare tale. In alcuni Paesi dell’Europa centrale, orientale e sudorientale, si colloca addirittura notevolmente al di sotto della soglia di povertà definita dall’Unione europea. Lo European Production Focus Group, un gruppo di ricerca al quale collaborano diverse sezioni nazionali della Clean Clothes Campaign ed altre organizzazioni, ha lavorato a un nuovo metodo di calcolo per definire quale sia un “salario di base dignitoso”. E transfrontaliero. Ne è scaturito lo Europe Floor Wage. Un sistema semplice e pratico per definire una remunerazione giusta.
Cos’è un salario dignitoso?
Per gli attivisti della Clean Clothes Campaign, un salario dignitoso è una giusta retribuzione di base netta per una settimana lavorativa regolare. Senza le maggiorazioni per gli straordinari, prima di incentivi e indennità, e dopo le tasse. In altre parole, è il denaro che il lavoratore si meriterebbe di mettere in tasca al termine di un mese di lavoro regolare.
Tale salario deve essere corrisposto in denaro e non sotto forma di compensi non monetari. Un lavoratore che riceve parte della sua paga in natura oppure in buoni d’acquisto si lega infatti molto più facilmente al suo datore di lavoro, o al suo posto di lavoro, in un rapporto di dipendenza scorretto. Una condizione che determina una notevole limitazione della libertà di disporre del proprio reddito e inficia il diritto all’autodeterminazione.
«Lo European Floor Wage assume una prospettiva di genere, ha una visione realistica della dimensione dei nuclei familiari e del costo della vita. Il salario dignitoso è quello che permette di garantire alla famiglia il diritto all’abitazione, all’istruzione, ad una alimentazione completa e sana. Nonché alla sicurezza di una quota discrezionale di reddito per sopperire ad un ipotetico imprevisto».
Deborah Lucchetti – Campagna Abiti Puliti
Perché un salario di base transfrontaliero?
L’industria della moda è il perfetto esempio di una catena del valore guidata dagli acquirenti (buyer-driven). Le aziende leader esercitano spesso un ampio controllo della catena produttiva: dove, come e secondo quali tempistiche si effettuerà l’attività manifatturiera. Imprese di questo tipo, che hanno la loro sede principalmente in Nord America e in Stati membri occidentali dell’Unione europea, ricorrono normalmente al trasferimento di fasi del processo produttivo in Paesi terzi. Dal momento che tali aziende controllano buona parte del mercato, i fornitori di secondo livello sono pronti a comprimere il costo della manodopera pur di ottenere ordini.
«Se la nostra bussola sono i diritti dei lavoratori, il modello di mercato basato sulla fast fashion deve essere rimesso in discussione. Serve una strategia per arrestare la concorrenza fra i paesi sul costo del lavoro, ma che per questo non annulli le loro differenze».
Clean Clothes Campaign
Si determina così una spirale competitiva senza fine, che si gioca sul costo del lavoro. E non solo le aziende, ma anche le realtà nazionali stesse sono assoggettate a questa logica competitiva di mercato. I produttori dell’Europa orientale e meridionale, e gli Stati stessi, sono uno contro l’altro e in concorrenza con il mercato asiatico. Un salario di base transfrontaliero potrebbe, quantomeno, far sì che gli effetti di questo circolo vizioso non ricadano su lavoratrici e lavoratori.
Europe Floor Wage: uno strumento concreto
In Europa, solo nell’industria della moda, lavorano più di 2,3 milioni di persone, con salari netti minimi legali inferiori alle soglie di povertà definite dall’Unione europea. Marchi e distributori continuano a realizzare ingenti profitti, usando la minaccia della delocalizzazione per beneficiare della concorrenza internazionale. In risposta a questa situazione inaccettabile, lo European Production Focus Group ha lavorato sei anni per sviluppare il nuovo metodo di calcolo dei salari dignitosi. Esso si basa sul costo della vita in 15 Paesi europei sede di produzione di abbigliamento. Un salario su cui la spesa alimentare (sana, autoctona e che apporti 3mila kcal a ogni membro del nucleo familiare) e incida al massimo per il 40% sul totale del reddito. Lanciando spazio per le spese di formazione, istruzione, alloggio, per l’abbigliamento e per i trasporti.
Uno strumento concreto per mostrare a marchi e governi quale sia il salario necessario per vivere dignitosamente. Utile, sia alle organizzazioni del lavoro, sia ai sindacati, per rafforzare il loro potere contrattuale. Affinché ogni individuo che lavora possa contare su una remunerazione equa e soddisfacente, che assicuri a sé stesso e alla sua famiglia un’esistenza conforme alla dignità umana. Una novità rivoluzionaria, se verrà riconosciuta e applicata.
Qual è la situazione, oggi, in Europa
Sono già diversi anni che la Campagna Abiti Puliti documenta casi sistematici di sfruttamento nelle fabbriche che producono per grandi marchi in Paesi europei come Serbia, Ungheria, Ucraina e Slovacchia e Romania. Il periodo di recessione che è seguito alla crisi economica del 2008 – e, a seguire, l’emergenza Covid – hanno avuto un notevole impatto sulle retribuzioni in quasi tutti gli Stati europei (e sulle loro scelte di politica economica). I salari minimi legali netti nelle singole nazioni si collocano oggi ben al di sotto della soglia di povertà definita dall’Unione.
La situazione è peggiorata dal fatto che non vi è uniformità rispetto alle modalità di fissazione dei livelli salariali che è demandata ai governi nazionali, i quali operano come “marionette”, impegnate a rendersi sempre più business friendly agli occhi degli investitori stranieri. Il risultato? In media, il salario minimo legale rappresenta, in rapporto, solo due terzi della soglia di povertà. E i lavoratori che percepiscono il minimo legale (come pressoché tutti gli occupati del settore moda) sono estremamente poveri, soprattutto rispetto ai parametri definiti da Bruxelles per il calcolo della soglia di povertà.
Gli scandali sono arrivati anche nel ricco Regno Unito
La stessa Clean Clothes Campaign, già nel 2014, aveva spiegato che, ad esempio, in Bulgaria il salario minimo netto legale era di 139 euro. Mentre per un livello di sussistenza dignitoso, una famiglia di quattro persone necessitava di 867 euro. In Moldavia ne servivano 316, a fronte di un minimo legale di 71. Mentre in Turchia la legge impone almeno 252 euro, contro gli oltre mille necessari ad un nucleo familiare per vivere decentemente.
Ma problemi analoghi si verificano ormai anche nell’Europa più ricca. Lo dimostra lo scandalo esploso nel luglio del 2020 nel Regno Unito. Un articolo pubblicato dal Sunday Times aveva puntato il dito contro il colosso dell’ultra-fast fashion Boohoo. Un giornalista si era finto operaio e aveva lavorato due giorni presso la fabbrica Jaswal Fashions di Leicester. A 3,50 sterline l’ora, quando da oltre 25 anni il salario minimo nel Regno Unito è di 8,72 sterline. L’azienda si era detta «inorridita» e aveva affermato di ignorare le condizioni di lavoro cui erano sottoposti gli operai, promettendo al contempo un’inchiesta.
È anche una questione di genere
Un quadro inquietante, dunque. Condito da un ulteriore problema. Il nuovo report della Clean Clothes Campaign sottolinea infine come, in Europa e non solo, il fenomeno dello sfruttamento del lavoro nella filiera dell’abbigliamento sia anche una questione di genere. Il fatto che la stragrande maggioranza dei lavoratori della moda sia rappresentata da donne crea delle situazioni di gravi disparità e sfruttamento. Così finisce che siano loro a sopportare il peso di questi abusi e non solo: in molti casi il loro è l’unico stipendio che permette il sostentamento familiare.
In queste zone d’Europa c’è un altissimo tasso di disoccupazione maschile, oltre ad altri problemi sociali, che porta spesso alla necessità di emigrare. Proprio per questo, un salario che possa essere considerato dignitoso deve poter coprire le necessità essenziali di una famiglia.