431 navi scomparse dai radar: così la Russia continua ad esportare petrolio
Il petrolio proveniente dalla Russia sfuggirebbe alle sanzioni imposte contro Mosca grazie ad una serie di stratagemmi
Fatta la sanzione, trovato l’inganno. Così si potrebbe riassumere la situazione delle esportazioni di combustibili fossili dalla Russia verso il resto del mondo. In particolare verso gli Stati europei che tanto faticano a staccare la spina dell’energia da Mosca.
L’Unione europea non ha ancora imposto un embargo sul petrolio russo (a causa principalmente dell’opposizione dell’Ungheria). A differenza di Australia, Canada, Regno Unito e Stati Uniti. Ma il greggio di Mosca continua a entrare nei porti di tutto il mondo. Sia che siano state introdotte delle sanzioni, sia in caso contrario.
Non è un caso il fatto che la Russia abbia aumentato le sue vendite di petrolio. Secondo il sito TankerTrackers.com, nel mese di aprile, le esportazioni di petrolio dai porti russi verso quelli europei hanno raggiunto una media di 1,6 milioni di barili al giorno, rispetto a un milione registrato a marzo. Così, dall’inizio dell’invasione in Ucraina, la Russia ha incassato dall’esportazione di gas, carbone, petrolio in Europa il doppio rispetto allo stesso periodo 2021.
Le 431 petroliere scomparse dai radar
Dietro questo flusso c’è un mercato poco trasparente. Le petroliere russe, infatti, hanno messo a punto una serie di “trucchi” per poter esportare il greggio. Il primo tra questi sistemi di aggiramento consiste nel trovare una bandiera di comodo. Secondo il Polish Economic Institute, infatti, le petroliere russe starebbero cercando di aggirare le restrizioni di mercato affidandosi ai paradisi fiscali.
Il think tank polacco ha denunciato la scomparsa dai radar, il 5 aprile, di ben 431 petroliere russe su 710 registrate in partenza dai porti. Addirittura, 140 navi di queste non avrebbero inviato segnali per un mese. Certo, potrebbe trattarsi di guasti. Oppure, come sostengono i ricercatori del Polish Economic Institute, di «una disconnessione deliberata dei sistemi di localizzazione».
Una volta sparite dai radar, le petroliere richiederebbero la procedura di trasferimento formale e una nuova registrazione nei paradisi fiscali che offrono le cosiddette “bandiere di comodo”. Delle circa 30mila petroliere registrate nel mondo, il 20% batte bandiere di Panama, isole Marshall, Liberia, Saint Vincent e Grenadine E ben il 43 per cento delle grandi petroliere mondiali risulta registrato nelle Isole Marshall (680), in Liberia (610) e a Panama (318).
Lo stratagemma della rotta ignota
Rendendo ignota la provenienza della nave verrebbe occultato anche il suo contenuto: così il petrolio russo potrebbe fare ingresso nell’Unione europea molto facilmente, anche se venissero introdotte nuove restrizioni. Come ipotizzato in un’inchiesta del Wall Street Journal – e qui passiamo al secondo trucco – molte consegne avvengono attraverso petroliere con destinazione ignota.
Una volta al largo, il petrolio viene trasferito su navi più grandi, dove il greggio russo verrebbe mischiato ad altro petrolio, confondendone l’origine. TankerTrackers sostiene che nella prima metà di aprile siano stati caricati più di 11,1 milioni di barili su petroliere senza rotta, mentre prima dell’invasione il fenomeno praticamente non esisteva.
Se la miscela è al 49,9 per cento russa va tutto bene
Secondo il WSJ, nelle ultime settimane le principali aziende petrolifere (tra cui Shell, Repsol, Exxon ed Eni) avrebbero noleggiato navi per trasportare il greggio dai terminal russi verso i porti europei. Questo nonostante le società stesse avessero scelto di non importare più petrolio dal Paese aggressore.
Shell, Exxon ed Eni sostengono di aver trasportato petrolio dal Kazakistan passando presso un porto russo. Inoltre, la Shell ha specificato che un prodotto viene considerato russo se le miscele contengono il 50% o più di materia prima russa. Il che equivale a sostenere che fino al 49,9% va tutto bene.