Nelle nostre case si nasconde un tesoro. Con la riqualificazione energetica degli edifici si salva il Pianeta
Gianni Silvestrini punta il dito sulla riqualificazione energetica degli edifici per ridurre le emissioni inquinanti. Più complesso ma più importante del parco auto
«Lo dico spesso come battuta: in Italia non abbiamo lo shale gas, ma abbiamo le case da riqualificare. Se vogliamo cercare un tesoro basta attingere al nostro patrimonio edilizio, obsoleto e inefficiente da un punto di vista energetico. La sua riqualificazione è la nostra ricchezza». È ironico Gianni Silvestrini, direttore scientifico di Kyoto club, ma neanche tanto. Le abitazioni, infatti, hanno un potenziale di riduzione di inquinamento e di sprechi di energia incredibile. Che si traduce in un ritorno economico senza eguali. «Se si riuscisse a mettere insieme il giusto mix di soluzioni architettoniche e tecnologiche efficienti, ingegneria finanziaria con la spinta iniziale del governo, otterremmo risultati impensabili, in termini di risparmio energetico e di riduzione delle emissioni inquinanti. Soluzioni per salvare il Pianeta».
Se si pensa al problema delle emissioni viene in mente la mobilità, in particolare le auto diesel. E il riscaldamento? Che impatto ha?
Per raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni indicati dall’accordo di Parigi è necessaria una politica ad ampio raggio, che comprenda interventi sia sulla mobilità che di riqualificazione edilizia. Ma paradossalmente agire sul comparto auto è più facile, seppur costoso. Intervenire in ambito edilizio è più complesso. Ci sono centinaia di migliaia di edifici diversi da riqualificare, con modalità e adempimenti molto complessi. È più complicato ma fondamentale. La riqualificazione energetica degli edifici, dall’isolamento agli impianti, è una priorità da affrontare urgentemente.
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Che tipo di interventi sono necessari?
Si dovrà progressivamente passare dagli incentivi fiscali per riqualificare singoli appartamenti, a quelli per riqualificare interi edifici e quartieri. Si potrebbe ottenere una riduzione dei consumi che dal 20-30% passerebbe al 70-80%. Interventi sia di maggiore isolamento con cappotti termici, che di sostituzione degli impianti obsoleti.
Per raggiungere gli obiettivi di Parigi, si dovrà passare da un 1% circa di superfici riqualificate a un 2-3%. Non in un colpo solo, ma aumentando la quota di edifici riqualificati anno per anno. Bisogna triplicare il risparmio energetico e triplicare le superfici riqualificate.
In 30 anni dobbiamo arrivare a un patrimonio edilizio a emissioni zero.
Come sarà possibile raggiungere questi obiettivi?
È necessario un mix tra soluzioni architettoniche, tecnologiche e finanziarie per garantire un cambiamento radicale dei nostri edifici. Ma sono interventi costosi, che richiederebbe incentivi elevati. Bisognerebbe trovare nuovi modelli che valorizzano le potenzialità della digitalizzazione e industrializzazione. Un esempio noto è quello olandese di “Energysprong”, che ha saputo ridurre drasticamente tempi e costi coinvolgendo aziende produttrici di sistemi di isolamento e di impiantistica per mettere in piedi un sistema di riqualificazione edilizia, il cui investimento si ripaghi con i minori costi in bolletta, grazie al risparmio energetico. Deve cambiare il modello economico, non solo quello tecnologico. È necessario attivare uno sche ma di ingegneria finanziaria in grado di catalizzare e coordinare investimenti per interventi tecnologici efficienti che non pesino sulle spalle degli utilizzatori finali.
In Italia è realizzabile un modello simile?
Sì, ci stiamo avvicinando a quella che in Europa viene chiama la deep renovation. Negli ultimi due anni sono stati introdotti incentivi specifici per la riqualificazione energetica “spinta”.La normativa italiana prevede già la possibilità che siano applicati a interventi su interi edifici e non solo al singolo appartamento. Ed esistono già meccanismi di cessione del credito ad altri soggetti, per esempio aziende che intervengono per eseguire gli interventi o ad utility. Si stanno creando le condizioni anche legislative perché aumentino interventi e diventino più “deep”.
Per l’Italia la deep renovation porterebbe anche indubbi vantaggi occupazionali. Permetterebbe di ridare un’occupazione di almeno una parte dei 600 mila addetti del comparto edilizio che hanno perso il lavoro a causa della crisi. L’Italia ha forti competenze per soluzioni innovative in campo edilizio, che devono essere solo messe a regime.