Non solo l’Amazzonia: anche l’Indonesia è in fiamme
Per tutelare clima e biodiversità dobbiamo salvare le foreste. Le multinazionali dietro agli incendi. La politica (anche europea) deve fare la sua parte
Mentre i riflettori sono puntati da settimane sull’Amazzonia, ci sono altre foreste, quelle indonesiane, che bruciano in silenzio, ettaro dopo ettaro: secondo il Ministero indonesiano dell’Ambiente e delle Foreste, dall’inizio dell’anno sono stati bruciati 328.722 ettari di foreste e torbiere. Questa massiccia distruzione ha prodotto una densa nube di ceneri e fumo che ha coperto non solo l’Indonesia, ma anche le vicine Malesia e Singapore, causando addirittura problemi diplomatici fra i Paesi.
A rischio la terza foresta tropicale del mondo
L’Indonesia è coperta dalla terza foresta tropicale più grande del mondo, ma è anche uno dei cinque Paesi che, a livello mondiale, emettono maggiori quantità di carbonio, proprio a causa di questa intensa deforestazione: vaste porzioni di foreste e torbiere indonesiane vengono date alle fiamme per lasciare spazio alla sempre crescente produzione di materie prime come l’olio di palma, destinato ad essere esportato in tutto il mondo.
Le foreste del Pianeta, dal Brasile alla Siberia fino al Borneo, stanno bruciando, aggravando la crisi climatica che stiamo vivendo. La distruzione delle foreste è una delle principali cause del cambiamento climatico e della massiccia estinzione delle specie a cui stiamo assistendo, oltre ad essere spesso associata alla violazione dei diritti umani. Secondo le Nazioni Unite, le foreste catturano circa un terzo dell’anidride carbonica rilasciata ogni anno a causa della combustione di gas, petrolio e carbone. Se vogliamo evitare l’aumento delle temperature oltre il grado e mezzo, dobbiamo quindi esigere che le foreste del mondo vengano preservate.
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I big dell’olio di palma dietro agli incendi
Oltre agli impatti sulla biodiversità e sul clima, i vastissimi incendi che stanno consumando l’Indonesia, per lo più di origine umana, hanno inciso negativamente sulla qualità dell’aria e soprattutto sulla salute umana (sono decine di migliaia i casi di infezioni acute del tratto respiratorio).
Gli incendi in alcuni casi possono essere collegati a Wilmar International, il più grande operatore mondiale di olio di palma (commercializza il 40 per cento di questa materia prima), ma anche alle multinazionali che da esso si riforniscono, come Mondelez (nota per il marchio Oreo) e Unilever. Nel dicembre 2018, dopo un’intensa campagna di Greenpeace, Wilmar aveva pubblicato un piano d’azione per eliminare la deforestazione dalla propria filiera.
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Durante i primi otto mesi del 2019, Greenpeace ha collaborato con Wilmar, Mondelez e Unilever con l’obiettivo di creare una piattaforma di monitoraggio della deforestazione che le multinazionali -ma anche ONG e governi- avrebbero potuto consultare per assicurarsi che la propria catena di approvvigionamento fosse trasparente e libera da deforestazione.
Purtroppo, nonostante alcuni progressi, non si è arrivati ad un accordo su alcuni elementi che Greenpeace ritiene fondamentali per avviare una piattaforma credibile di monitoraggio.
Di conseguenza, abbiamo recentemente deciso di ritirarci da questo processo: ne abbiamo abbastanza delle false promesse!
L’importanza della politica
Ma non tutto è perduto. Se le multinazionali del settore non collaborano, possiamo chiedere alla politica di fare la sua parte: se prodotti contenenti olio di palma e altre materie prime agricole la cui produzione ha gravi impatti sulle foreste e sui diritti umani continuano ad arrivare sulle nostre tavole, la responsabilità è anche dei governi. Non solo di quelli che avrebbero la responsabilità diretta di proteggere le foreste che coprono – come quello brasiliano, russo o indonesiano – ma anche di quei Paesi che importano quantità sempre crescenti di questi prodotti, come nel caso dell’Unione europea.
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Non solo le elezioni europee, ma anche la mobilitazione internazionale per il clima in corso, dimostrano che le persone vogliono che l’Unione europea affronti attivamente l’emergenza climatica attuale, di cui la deforestazione è una delle cause. La nuova Commissione Ue dovrà contribuire, con politiche adeguate: Greenpeace sta chiedendo una normativa in grado di garantire che i prodotti immessi sul mercato europeo non siano collegati alla deforestazione, al degrado delle foreste o alle violazioni dei diritti umani, e di assicurare che il settore finanziario non sostenga questa devastazione: oggi non è così.
* L’autrice è un’attivista, amante della natura e viaggiatrice. Per anni ha vissuto e lavorato in America Latina e Sudafrica, collaborando con associazioni contadine e indigene, occupandosi principalmente di clima, sovranità alimentare e diritto all’alimentazione. Oggi si occupa di foreste, ma anche di diversità e inclusione, per Greenpeace Italia. Questo articolo è stato pubblicato anche sul blog di Greenpeace.