Notre Dame, perché molti piccoli Comuni stanno revocando le loro donazioni?
Molti enti locali si ritirano dalla ricostruzione. Una protesta contro le corporation che promettono maxidonazioni incentivate da enormi sgravi e sfruttano i paradisi fiscali
Morbecque è un villaggio francese di duemila anime, situato nella regione Alta Francia. A pochi chilometri dal confine con il Belgio. Da qui, per arrivare a Parigi ci vogliono tre ore. L’emozione e la tristezza per l’incendio della cattedrale di Notre Dame, il 15 aprile scorso, hanno però unito l’intera Francia. Anche quella rurale, lontanissima dallo scintillio della Ville Lumière. Tanto da convincere il sindaco del paesino, Jérôme Darques, a promettere una donazione di 2.600 euro. Una somma modesta, ma comunque importante per il bilancio del piccolo municipio.
PETITION ! 📧
Nous, citoyen·ne·s & associations demandons aux collectivités de #Toulouse, #HauteGaronne et #Occitanie d'annuler leur promesse de dons à #NotreDame et de dédier cet argent public aux secteurs sanitaires et sociaux dont elles ont la chargehttps://t.co/jD172Kosnj— DALToulouse31 (@DALToulouse31) May 2, 2019
Alcuni comuni francesi fanno retromarcia: «Scioccati»
A distanza di pochi giorni, tuttavia, il consiglio comunale ha deciso di fare retromarcia. E di votare contro lo stanziamento. Stessa scelta effettuata a Juigné-des-Moutiers, nella Loira Atlantica. E a Marck, vicino al Pas-de-Calais, sulla Manica. E anche la Comunità di Comuni delle Fiandre interne, che aveva promesso 100mila euro, potrebbe presto ripensarci.
La ragione? Molti cittadini francesi hanno trovato sproporzionato lo slancio di solidarietà che ha consentito di raggiungere in poche ore una cifra stratosferica. Un miliardo di euro, arrivato da mecenati, aziende e privati. «Molti di noi sono rimasti scioccati – ha spiegato Darques – da questa valanga di donazioni. Penso che sarebbe stato meglio non comunicare le cifre».
Face à la profusion de dons pour Notre-Dame, certaines associations alertent sur leur manque de moyens pic.twitter.com/HBjN532r5l
— BFMTV (@BFMTV) April 19, 2019
Il quotidiano Le Monde le ha passate invece in rassegna una per una il 19 aprile. Quando ancora si era arrivati ad un totale di “soli” 850 milioni di euro. Di cui 200 concessi da Arnaud Lagardère, a capo di un impero nel settore dell’editoria. Altrettanti dal gruppo Moët Hennessy Louis Vuitton (LVMH), numero uno mondiale dei prodotti di lusso, di proprietà di Bernard Arnault. Altri 100 dalla famiglia Pinault, anch’essa attiva nel settore dell’alta moda. Ma la mobilitazione ha coinvolto anche i fratelli Bouygues (magnati della telefonia). E ancora Total, Michelin, Orange, EDF e Air-France.
La Francia s’interroga: giusto defiscalizzare le donazioni delle corporation per Notre Dame?«Questa mole immensa di denaro ha provocato una serie di reazioni – ha evidenziato il quotidiano parigino – in particolare da parte delle associazioni umanitarie, che hanno invece constatato un calo delle donazioni negli ultimi anni». In Francia, infatti, ogni anno l’insieme di donazioni che vengono dedotte dalle imposte è pari a circa 2,6 miliardi di euro. Ma si tratta di denaro che finisce nelle casse di una moltitudine di Ong e organismi. Non per un’unica causa.
Per Notre Dame donato più di quanto ricevono le 10 più grandi associazioni umanitarie in un anno
Inoltre, mettendo assieme tutte le donazioni concesse alle dieci più grandi associazioni caritatevoli francesi in un anno intero, si arriva a 843 milioni. Cosa ha spinto dunque a lanciarsi in così breve tempo in promesse di stanziamenti così alte per la cattedrale di Notre Dame? Certamente un sincero scoramento di fronte ad un monumento di tale importanza. Così come la voglia di reagire, di recuperare un patrimonio e un simbolo. Ma non solo.
In Francia è in vigore dal 2003 una legge che porta il nome dell’ex ministro della Cultura, Jean-Jacques Aillagon. Membro del governo di Jean-Pierre Raffarin, sotto la presidenza di Jacques Chirac. La norma consente a tutte le donazioni effettuate da società di ottenere almeno il 60% di deduzione fiscale sulle imposte. «Così semplice che non esiste più una sola azienda del CAC 40 a non avere una propria fondazione», commenta il quotidiano Marianne.
Inoltre, il governo attuale di Edouard Philippe ha annunciato a due giorni dall’incendio la volontà di far approvare un progetto di legge per creare dei fondi ad hoc per Notre Dame. Con deduzioni fiscali tra il 66 e il 75%.
Il premier Philippe spiega le detrazioni fiscali per le donazioni delle società in favore di Notre Dame «Ormai tutte le aziende del CAC 40 possiedono una fondazione»
Il mecenatismo è così diventato in Francia una vetrina per le multinazionali che vogliono farsi passare come i Medici del XXI secolo.
Qualche esempio? Il restauro del Louvre l’ha pagato il gruppo Vinci. Il museo Picasso, il colosso delle costruzioni Eiffage. E così via: «Nel 2017, la deduzione fiscale realizzata da oltre 60mila imprese sfiora il miliardo di euro. Dieci anni prima era di appena 235 milioni», aggiunge Marianne.
Restauro di Notre Dame: è corsa alle donazioni defiscalizzateIl giornale ha svelato anche che le prime dieci imprese donatrici raccolgono un terzo del “premio” fiscale. Ovvero 40 milioni di euro ciascuna, in media. E le 100 più grandi arrivano alla metà del totale. «Ormai il 99% delle imprese ha un credito d’imposta di poco meno di 4mila euro. La Fondazione LVMH arriva a 61,6 milioni».
Basti pensare che per la costruzione di un museo al “Bois de Boulogne”, nei pressi di Parigi, la Fondazione di Bernard Arnault «ha potuto pompare mezzo miliardo di euro di crediti dal 2007. Una somma gigantesca, che i magistrati della Corte dei Conti faticano a digerire. In un rapporto insistono sul fatto che mai si è visto un tale aumento dei costi nella costruzione di un edificio. Il preventivo era stato fissato inizialmente a 100 milioni di euro. Finirà per costarne 800».
Comme la cathédrale #NotreDame de Paris, des hommes attendent un toit
👉 Alors que les dons affluent pour reconstruire Notre-Dame de Paris, des associations appellent à un sursaut pour les plus vulnérables.https://t.co/igGa4fnZK0 pic.twitter.com/dJ2upJMl0O
— La Croix (@LaCroix) April 19, 2019
La legge concede sgravi fiscali fino al 90%
Così, donare diventa di fatto “facile” per le aziende. Quasi vantaggioso. Il che è di certo un bene per il mondo dell’arte. Ma pone anche alcuni dubbi morali. Tanto più che se la donazione riguarda un bene considerato “tesoro nazionale”, il credito d’imposta può arrivare al 90%. In pratica, la quasi totalità dell’onere è dunque – di fatto – a carico dello Stato. Ovvero della collettività.
«Non c’è alcun dubbio sul fatto che i poteri pubblici siano responsabili dei lavori di Notre Dame – ha commentato il quotidiano Mediapart – né sul fatto che alcuni mecenati possano partecipare al finanziamento. Ma che ciò debba accadere intaccando il principio di solidarietà della tassazione, è un altro paio di maniche. Se il movimento di generosità è davvero dettato dalla volontà di essere pronti di fronte ad una tragedia nazionale, allora questi donatori rinuncino ai vantaggi fiscali offerti dalla legge Aillagon».
Farlo è in effetti semplice: basta passare per una sottoscrizione diretta, senza l’intermediario delle imprese o delle fondazioni. «Per capirci, prendiamo il caso di Bernard Arnault. Il suo patrimonio è stimato a 95 miliardi di euro. I 200 milioni annunciati corrispondono dunque allo 0,02% del suo patrimonio». Dopo le polemiche, il ricco uomo d’affari ha annunciato la volontà di rinunciare al credito d’imposta. Esattamente come annunciato anche dalla famiglia Pinault.
Plutôt que des dons de milliardaires défiscalisés à 90% si Notre-Dame est déclarée trésor national, plutôt qu’une générosité dévoyée en privilège, @RomaricGodin défend un «ISF Notre-Dame» c’est-à-dire une justice fiscale pour une cause nationale @Mediapart https://t.co/dZRJrTsQY1
— Edwy Plenel (@edwyplenel) April 16, 2019
Il caso LVMH: dalle ottimizzazioni fiscali al mecenatismo
Anche perché c’è chi ha ricordato un’inchiesta di France Info del 2018. L’emittente, assieme ad una Ong, aveva ricostruito l’impero del gruppo LVMH. Che ha consentito ad Arnault di diventare il quarto uomo più ricco del mondo, secondo la classifica di Forbes dello scorso anno. La sua azienda controlla firme come Louis Vuitton, Guerlain, Christian Dior, TAG Heuer, Chaumet, Fendi. E i profumi Givenchy e Kenzo. Ma anche marchi meno prestigiosi come Sephora e Carrefour.
Ebbene, secondo l’inchiesta il gruppo sarebbe dedito ad una vasta operazione di ottimizzazione fiscale. Attraverso 202 filiali aperte in paradisi fiscali: «Bernard Arnault e LVMH moltiplicano le strutture per minimizzare il pagamento delle imposte. Lo yacht Symphony del miliardario, uno dei più grandi del mondo, è di proprietà di una società maltese. E batte bandiera delle Isole Cayman. Così, l’imbarcazione da 130 milioni di euro ha potuto evitare di entrare nel calcolo dell’Imposta di solidarietà sulla fortuna (ISF)».
"Selon une ONG, en 2014, le groupe LVMH comptait 202 filiales dans des paradis fiscaux. Bernard Arnault et LVMH multiplient les montages sophistiqués pour minimiser leurs impôts". Un non-sujet pour Emmanuel Macron ? https://t.co/poPoldsW2B via @franceinfo
— Économistes Atterrés (@atterres) April 19, 2018
«Come se un cittadino normale volesse defiscalizzare 3,65 euro»
L’ISF è la tassa che per anni è stata applicata sui grandi patrimoni. E che ora è stata riformata profondamente dal presidente Emmanuel Macron, che l’ha di fatto quasi cancellata.
Come termine di paragone, è utile ricordare che il patrimonio medio dei cittadini francesi è di 113.900 euro. Rispetto ai 200 milioni offerti da Arnault per Notre Dame, è come se ciascuno di loro avesse dunque proposto di donare 239,19 euro. Per una persona che percepisce il salario minimo (1.521 euro) il contributo corrisponderebbe a 3,19 euro. A chi verrebbe in mente di ingegnarsi per l’ottimizzazione fiscale poco più di 3 euro?