Gli obiettivi climatici europei? «Inadeguati». E le ong sfidano la Commissione in tribunale

In caso di successo, la causa potrebbe obbligare l’Unione a rivedere i suoi obiettivi climatici al 2030: dal 55 al 65% di emissioni in meno

L'udienza della causa sugli obiettivi climatici europei si terrà presso la sede di Lussemburgo della Corte di Giustizia dell’Unione europea © Alexandros Michailidis/iStockphotos

Ursula von der Leyen, appena riconfermata alla guida della Commissione europea, ha fatto del clima la bandiera del suo primo mandato. Stando a varie organizzazioni non governative, però, il grande battage mediatico non è stato accompagnato da fatti altrettanto incisivi. CAN Europe e Global Legal Action Network lo vogliono dimostrare con un’iniziativa che ha il potenziale per cambiare volto alla strategia climatica europea: trascinare la Commissione dinnanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione europea per l’inadeguatezza dei suoi obiettivi climatici al 2030.

Cosa prevedono gli obiettivi climatici dell’Unione europea

Gli obiettivi climatici europei per il 2030 ruotano attorno a una percentuale: 55%. Nel suo insieme, infatti, l’Unione si è impegnata a ridurre le proprie emissioni nette di gas a effetto serra del 55% entro la fine del decennio, rispetto ai livelli del 1990. A partire da questo, che è un obbligo giuridico, ha dovuto poi sviluppare un pacchetto vasto e articolato – ribattezzato, appunto, “Fit for 55” (“Pronti per il 55%”) – che dice in sostanza come rivedere e aggiornare le normative di molteplici settori: edifici, aviazione, energia automotive e così via.

L’azione legale intentata dalle due ong si concentra su un atto legislativo cruciale per il successo delle politiche climatiche dell’Unione. Si tratta del regolamento sulla condivisione degli sforzi, noto con la sigla ESR. Il testo definisce i target di riduzione delle emissioni che ciascuno dei 27 Stati membri deve perseguire in una serie di settori: trasporto domestico (esclusa l’aviazione), edifici, agricoltura, piccola industria e rifiuti. Messi insieme, coprono il 57% delle emissioni totali dell’Unione.

Alcuni Stati, tra cui l’Italia, hanno un’opportunità in più: quella di compensare le emissioni dei settori interessati attraverso le quote ETS (cioè del sistema di scambio europeo), disponibili in una quantità limitata che cala di anno in anno. Nel 2023, anche gli obiettivi del regolamento sono stati rivisti per allinearli con il pacchetto “Fit for 55”. Ricalcolando anche le assegnazioni di emissioni messe a disposizione di questi Stati.

Quali sarebbero i punti deboli del piano europeo per il clima

È questo il punto contro il quale CAN Europe e Global Legal Action Network si scagliano, arrivando alle vie legali. Perché ritengono che queste assegnazioni di emissioni siano «gravemente inadeguate» nel limitare i gas serra e «contrarie al diritto ambientale». L’Unione europea, sostengono le ong, prima di adottare i suoi obiettivi climatici al 2030 sarebbe stata obbligata a fare una stima del percorso planetario di riduzione delle emissioni compatibile con un riscaldamento globale di 1,5 gradi. Ma non l’ha fatto. Sarebbe stata obbligata a calcolare la sua «giusta parte» (fair share) all’interno di questo percorso. Ma non l’ha fatto. Sarebbe stata obbligata a valutare se può puntare a un taglio anche superiore al 55%. Ma non l’ha fatto. Sarebbe stata obbligata anche a stimare le conseguenze dei cambiamenti climatici sui diritti umani fondamentali. Ma non l’ha fatto.

Questa è l’impalcatura sulla quale si regge la causa. Sebbene essa si concentri su un aspetto specifico, quello delle assegnazioni di emissioni, ha l’obiettivo dichiarato di dimostrare come il tanto celebrato piano per il clima della Commissione von der Leyen sia abbondantemente fuori strada rispetto alla traiettoria degli 1,5 gradi, chiaramente indicata dalla scienza come l’unica possibile per salvare il clima della Terra. Una eventuale vittoria, di fatto, potrebbe obbligare le istituzioni (e dunque gli Stati membri) a rivedere al rialzo il pacchetto “Fit for 55”. Mirando almeno a un -65% di emissioni entro il 2030.  

Le ong, a differenza degli Stati membri, non hanno accesso diretto alle Corti dell’Unione europea. Come primo passo, dunque, ad agosto del 2023 hanno avanzato una “richiesta di revisione interna”, respinta dalla Commissione europea a fine anno. A quel punto, dunque, hanno potuto impugnare la risposta di fronte alla Corte di Giustizia dell’Unione europea. Forti del fatto che il Tribunale dell’Ue, cioè la corte di prima istanza, gli abbia dato priorità rispetto ad altre azioni legali pendenti. Riconoscendone, evidentemente, il carattere di urgenza.

C’è anche un precedente che potrebbe giocare a loro favore. È la storica sentenza con cui la Corte europea per i diritti dell’uomo (CEDU) ha condannato la Svizzera per la sua inerzia nell’affrontare la crisi climatica, un’inerzia che viola i diritti umani delle donne più anziane (riunite nell’associazione Anziane per il clima). Anche questo caso parte da un tema specifico, la tutela della salute di una fascia della popolazione, per stabilire un principio generale: tutti i Paesi europei devono stabilire obiettivi climatici basati sulla scienza. In passato anche CAN Europe aveva tentato di far sancire il legame tra clima e diritti umani, unendosi al cosiddetto “People’s Climate Case”, ma senza successo.

In questo mese di settembre, la Commissione europea avrà l’ultima possibilità per presentare le proprie osservazioni scritte. Dopodiché, nella prima metà del 2025 si terrà l’udienza e la sentenza arriverà presumibilmente nell’arco di sei mesi. Questa la tabella di marcia consueta. Ma i tempi potrebbero essere anche più rapidi.