Olio di palma: il gigante Wilmar accetta di mappare i fornitori
Wilmar, che vale il 40% del mercato dell'olio di palma, mapperà i fornitori e caccerà chi fa deforestazione. Greenpeace esulta e punta già le concorrenti
«Dopo un’intensa campagna di Greenpeace, Wilmar International, il più grande operatore mondiale di olio di palma (commercializza il 40 per cento di questa materia prima), ha pubblicato nelle ultime ore un piano d’azione dettagliato per mappare e monitorare i propri fornitori».
Così l’organizzazione ambientalista internazionale apre un comunicato in cui canta vittoria per la “capitolazione” del gigante mondiale dell’olio di palma. La multinazionale sembra infatti finalmente rispondere in modo concreto alle campagne di pressione che da anni la individuano come soggetto motore di devastazione ambientale. Ma anche, per questo, di potenziale cambiamento per tutta la filiera.
24 milioni di ettari di foresta pluviale, poco meno della superficie dell’intero Regno Unito, sono stati rasi al suolo tra il 1990 e il 2015 (dati ufficiali del Governo indonesiano riportati dal rapporto Final Countdown). E ancora dalla fine del 2015 altri «130 mila ettari di foresta pluviale sono stati distrutti, il 40% dei quali in Papua, una delle regioni più ricche di biodiversità del Pianeta».
Wilmar, impegni e accordi nero su bianco
Nella sua comunicazione, datata 10 dicembre 2018, la corporation dichiara infatti di avviare un nuovo «programma di monitoraggio e coinvolgimento dei fornitori» per «accelerare i suoi sforzi verso un’industria di olio di palma libera dalla deforestazione. Il programma è stato sviluppato per potenziare l’efficacia della sua attuale policy No Deforestation, no Peat, no Exploitation (NDPE), mentre si prevede anche di fornire rimedi per la deforestazione passata compiuta da parte dei suoi fornitori terzi».
Un impegno che quindi fa riferimento al futuro, ma prende impegni anche verso i danni del passato, e che Wilmar dovrebbe attuare sulla base di un accordo dettagliato firmato con il gruppo per la sostenibilità ambientale Aidenvironment ha tra i suoi partner anche Chain Reaction Research, organizzazione autrice di numerosi rapporti di denuncia sulle pratiche di greenwashing e sui lati più oscuri dei principali players del settore, operanti soprattutto nel sudest asiatico.
Società ombra e prestanomi: come ti rendo sostenibile l’olio di palma insostenibile
Il piano d’azione appena definito da Wilmar prevede che siano mappati entro la fine del 2019 tutti i terreni appartenenti ai fornitori. E un monitoraggio, svolto anche attraverso l’uso di satelliti ad alta risoluzione, di quanto accade nelle piantagioni. Ma non solo. Perché la prova del nove della serietà di Wilmar si avrà nel verificare se, in caso di violazioni della sua policy, la compagnia applicherà fino in fondo quanto scritto. Sospendendo perciò immediatamente le relazioni commerciali con i fornitori collegati a pratiche di distruzione della foresta.
Chi è Wilmar
Wilmar International è una compagnia quotata alla Borsa di Singapore. Membro della RSPO(cioè la tavola rotonda per l’olio di palma sostenibile) dal 2005. Alla fine del 2017 aveva una superficie totale coltivata a palma da olio di quasi 240mila ettari (68% in Indonesia, 24% nel Borneo malese, 8% in Africa).
E benché la compagnia si fosse impegnata proprio con Greenpeace ad applicare i principi per una filiera NDPE (cioè esente da pratiche di deforestazione, di distruzione delle torbiere e di sfruttamento della manodopera), per anni non ha preteso lo stesso standard dai suoi fornitori terzi. Un problema molto serio, visto che questi ultimi coprono l’80% del suo approvvigionamento di olio.
Greenpeace all’incasso. Ma ora nel mirino i concorrenti
«Ci aspettiamo che l’annuncio di Wilmar sproni Golden Agri Resources, Musim Mas e gli altri operatori internazionali di olio di palma ad adottare impegni simili. Perché ciò avvenga, è fondamentale che multinazionali come Mondelēz, Nestlé e Unilever, che acquistano olio di palma da diversi fornitori, si impegnino nella stessa direzione».
Così scrive Martina Borghi, responsabile Campagna Foreste di Greenpeace Italia, dopo aver chiarito che sull’attuazione degli impegni di Wilmar sarà adottata ogni verifica. Parole che mettono immediatamente in chiaro chi saranno i prossimi bersagli di una campagna di pressione che continua. Mirando a chi produce ma anche a chi acquista olio di palma non sostenibile sul piano sociale e dell’ambiente.
La “svolta” di Wilmar – seppure ancora tutta da dimostrare – è giunta, del resto, dopo il recente intensificarsi delle azioni di protesta degli attivisti nei suoi confronti. Dopo l’occupazione di una sua raffineria in Indonesia, e il disturbo alle operazioni di trasporto e attracco di una nave cisterna diretta in Europa nel porto di Rotterdam. Dopo più di un milione di firme della petizione di Greenpeace per dire «basta all’olio di palma prodotto a discapito delle foreste».
Mentre «In Italia l’associazione ambientalista ha protestato per sette ore davanti allo stabilimento di Mondelēz, uno dei principali clienti di Wilmar (che nella sede produce per il mercato italiano snack contenenti olio di palma come i cracker Ritz e le patatine Cipster)».
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