Omnibus, al via il trilogo. Le proposte di modifica a rendicontazione (Csrd) e due diligence (Csddd)
È quasi fatta per il primo pacchetto Omnibus: le posizioni di Commissione europea, Consiglio ed Europarlamento nei negoziati su Csrd e Csddd
L’iter del primo pacchetto Omnibus, che semplifica (per non dire smonta) le normative europee sulla sostenibilità delle imprese, è al rush finale. Ha infatti preso il via martedì 18 novembre il trilogo, vale a dire il negoziato tra il Consiglio dell’Unione europea (espressione dei governi) e il Parlamento europeo (espressione diretta del voto popolare), con la mediazione della Commissione europea. L’obiettivo è quello di arrivare entro la fine dell’anno a un punto d’incontro, da sottoporre all’approvazione formale dei colegislatori.
La testata francese Novethic propone un utile schema delle posizioni di ciascuna delle tre istituzioni europee sui due testi in discussione: la direttiva sulla rendicontazione di sostenibilità (Csrd) e la direttiva sulla due diligence (Csddd). Nella sua proposta iniziale, presentata lo scorso 26 febbraio, la Commissione interveniva anche sulla tassonomia delle attività economiche eco-compatibili e sul meccanismo di adeguamento della CO2 alle frontiere. In questi due casi, però, le modifiche procedevano su binari differenti, più rapidi. Per questo, sono state già ufficializzate rispettivamente attraverso un atto delegato, adottato a inizio luglio, e un nuovo regolamento pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il 17 ottobre.
Csrd: le posizioni di Commissione, Consiglio e Parlamento
La Csrd è la direttiva europea che obbliga le imprese a rendicontare in modo dettagliato i propri impatti ambientali, sociali e di governance (Esg). Rispetto alla precedente Non-Financial Reporting Directive (Nfrd), coinvolge molte più imprese e introduce standard univoci, per far sì che i report di sostenibilità siano attendibili e comparabili tra loro.
Perimetro di applicazione
Per la Csrd il primo nodo da sciogliere è il perimetro di applicazione. Il testo attuale richiede di redigere la rendicontazione di sostenibilità alle aziende che soddisfano due di questi tre criteri: almeno 250 dipendenti, 40 milioni di euro di fatturato netto e un attivo di bilancio di 20 milioni di euro. La Commissione li porta a mille dipendenti e 50 milioni di euro di fatturato netto. Il totale delle imprese potenzialmente coinvolte scende quindi da 50mila a 10mila. Il Consiglio concorda sui mille dipendenti, ma sposta il limite minimo di fatturato netto a 450 milioni; il Parlamento europeo, nella sua posizione negoziale votata il 13 novembre, concorda sui 450 milioni ma passa a 1.750 dipendenti.
Richieste informative
Un po’ più tecnico, ma altrettanto rilevante, è il dibattito su quante informazioni vanno rendicontate e come. Le imprese soggette alla Csrd sono tenute a seguire una serie di standard univoci a livello europeo, chiamati Esrs (European Sustainability Reporting Standards). Commissione, Parlamento e Consiglio concordano però sul fatto che, quando devono chiedere informazioni ai soggetti che compongono la loro catena del valore, si debbano limitare soltanto a quanto previsto da altri standard volontari e semplificati per le microimprese (chiamati Vsme, Voluntary Standards for Micro Enterprises and Small Enterprises).
Standard settoriali
In questi mesi, inoltre, l’Efrag (European Financial Reporting Advisory Group) ha iniziato un percorso di sviluppo di norme Esrs specifiche per settore (dedicate quindi alla finanza, all’energia, all’agroalimentare e così via). Tutte e tre le istituzioni intendono eliminarle: discordano soltanto sulla modalità. La Commissione vuole cancellarle senza sostituzioni; il Consiglio intende rimpiazzarle con linee guida volontarie; il Parlamento chiede invece alla Commissione di elaborare comunque linee guida settoriali specifiche.
Piani di transizione climatica
Più incerto il destino dei piani di transizione climatica che le aziende devono integrare nella Csrd, come previsto dallo standard Esrs E1. Commissione e Parlamento vogliono mantenerli così come sono, cioè “compatibili” con l’Accordo di Parigi. Ciò significa che devono essere coerenti con la traiettoria per limitare il riscaldamento globale entro gli 1,5 gradi centigradi rispetto ai livelli preindustriali. Il Consiglio non parla più di “compatibilità” ma di “contribuzione”. Sembra una sfumatura lessicale, ma ne cambia profondamente il senso. Perché, sulla carta, qualsiasi intervento per la decarbonizzazione (anche minimo) contribuisce all’Accordo di Parigi. Non per questo è automaticamente in linea con le richieste della scienza.
Csddd: le posizioni di Commissione, Consiglio e Parlamento
La direttiva sul dovere di vigilanza (Csddd) impone alle grandi aziende di prevenire e gestire i rischi legati all’ambiente e ai diritti umani non solo nelle operazioni che controllano direttamente, ma anche nella propria catena del valore.
Perimetro di applicazione
Quando ha proposto il primo pacchetto Omnibus, la Commissione ha toccato le soglie di applicazione della Csrd ma non quelle della Csddd, mantenendole a mille dipendenti e 450 milioni di euro di fatturato. Di per sé, infatti, sono già piuttosto alte. Derivano infatti dal lungo negoziato che era stato necessario per arrivare all’approvazione della direttiva e che si era concluso, nella primavera 2024, con parecchi compromessi. Consiglio e Parlamento le vogliono comunque alzare a 5mila dipendenti e 1,5 miliardi di euro di fatturato netto. Se dovesse prevalere questa linea, pochissimi grandi gruppi sarebbero tenuti a esercitare il dovere di vigilanza sulla loro filiera.
Sfera di applicazione del dovere di vigilanza
Nella sua forma precedente al pacchetto Omnibus, la Csddd impone alle grandi imprese di identificare e gestire gli impatti (potenziali e attuali) sull’ambiente e sui diritti umani «derivanti dalle operazioni proprie dell’impresa, dalle sue società controllate e, quando collegati alle sue catene del valore, da quelli dei suoi partner commerciali». Commissione e Consiglio restringono il campo ai partner commerciali diretti. Aprendo la porta a una valutazione dei partner indiretti soltanto in presenza di informazioni “plausibili” su possibili violazioni. Considerato che le catene di fornitura sono lunghe e disseminate da un capo all’altro del Pianeta, ciò limita molto la portata del dovere di vigilanza. Secondo l’Europarlamento, infine, «invece di richiedere sistematicamente informazioni ai loro partner commerciali più piccoli, le imprese dovrebbero fare affidamento sulle informazioni già disponibili e potrebbero chiedere informazioni aggiuntive ai partner commerciali più piccoli soltanto come ultima risorsa».
Responsabilità civile
La Csddd, nella sua forma approvata nella primavera 2024, introduce un regime minimo di responsabilità civile armonizzata a livello europeo. Tutti gli Stati membri erano infatti tenuti a garantire un meccanismo che permettesse alle vittime di fare causa alle imprese e ottenere un risarcimento per le violazioni collegate alla catena del valore, indipendentemente dal Paese in cui si verificano. Su questo tema, Commissione, Consiglio e Parlamento sono della stessa opinione: cancellare il sistema armonizzato. Ogni Stato potrà quindi decidere in autonomia se e come introdurre la responsabilità civile, il che indebolisce enormemente l’efficacia della Csddd.
Piani di transizione climatica
Anche la direttiva sulla due diligence parla di piani di transizione climatica. A differenza della Csrd, che chiede di rendicontarli, la Csddd li considera come parte degli obblighi di condotta dell’impresa. Commissione e Consiglio ribadiscono che, anche dopo la proposta Omnibus, le imprese dovranno presentare piani con azioni concrete. Il Consiglio, però, rispetto alla Commissione li annacqua visibilmente, perché parla di semplice “contribuzione” alla legge europea sul clima e all’Accordo di Parigi (e non di “compatibilità”) e di “sforzi ragionevoli” (e non dei “migliori sforzi”). Il Parlamento europeo, più drastico, elimina completamente l’obbligo.




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