OPL 245, al via il processo che potrebbe far ballare i titoli Eni e Shell
I due colossi del petrolio alla sbarra per la mazzetta da 1,1 miliardi pagata in Nigeria per aggiudicarsi uno dei più grandi giacimenti offshore al mondo
Una lunga teoria di avvocati declama il nome dell’assistito, che come prevedibile non è invece presente in aula. Si apre così la seconda udienza del “processo del secolo”, come ribattezzato il procedimento per il presunto caso di corruzione OPL 245. Ovvero la mega-tangente da 1,1 miliardi di dollari che si suppone sia stata pagata da Eni e Shell per assicurarsi uno dei più grandi giacimenti offshore del mondo al largo delle coste nigeriane. Un bacino che si stima abbia riserve pari a 9,3 miliardi di barili di greggio.
Imputati eccellenti e principi del foro
Alla sbarra 15 imputati. Le due multinazionali petrolifere, i loro top manager, tra cui l’attuale ad del “Cane a Sei Zampe” Claudio Descalzi, politici nigeriani e intermediari di varie nazionalità. Tra loro spicca il nome del faccendiere Luigi Bisignani.
Non stupisce allora che a contestare le teorie accusatorie dei pm Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro ci sia un bel drappello di principi del foro. Dall’ex vicepresidente del CSM Carlo Federico Grosso, all’ex Guardasigilli Paola Severino.
La prima udienza, datata 5 marzo 2018, si era risolto in un nulla di fatto, con un “passaggio di consegne ad altro collegio giudicante”. La seconda segue più o meno lo stesso binario. Dopo una decina di minuti è tutto finito. Ci si aggiorna al 20 giugno. In attesa che il 12 la Corte di Cassazione decida sul ricorso dei legali della Shell su un errore formale, commesso dal giudice per l’udienza preliminare Giuseppina Barbara.
Nel dispositivo del rinvio a giudizio, il gup si era scordata di segnalare i capi di imputazione accanto ai nomi dei quattro manager della corporation anglo-olandese.
Un pasticcio che potrebbe costare un ulteriore allungamento dei tempi, visto che se si dovesse rifare l’udienza preliminare relativa ai quattro di Shell anche il filone Eni potrebbe finire nel congelatore.
Parti civili: Ong e nomi a sorpresa
Dovranno quindi aspettare ancora un po’ le potenziali parti civili: le organizzazioni britanniche Corner House e Global Witness, l’italiana Re:Common e la nigeriana Human and Environmental Development Agenda. Le prime tre sono quelle che nel 2013 presentarono l’esposto alla Procura della Repubblica di Milano che ha innescato le indagini.
Tra la sorpresa generale si è aggiunta una quinta “aspirante”. È l’Asso-Consum, di cui, lo ammettiamo, non avevamo mai sentito parlare prima. Ma che evidentemente ritiene che i suoi affiliati abbiano subito un pregiudizio dalla condotta dei vertici dell’Eni. Da chiarire però quanto questa associazione abbia davvero lavorato sull’indagine OPL 245 contrariamente alle altre, che invece hanno avuto un ruolo guida in Italia ed altre giurisdizioni dove indagini analoghe sono aperte.
Pro memoria: l’azienda fondata da Enrico Mattei non è più solo in mani pubbliche come fino agli anni Novanta, ma la presenza dello Stato rimane forte e condizionante. E infatti, con il 30% delle azioni, in pratica è il governo a decidere sia l’amministratore delegato sia il presidente.
Le interviste in apertura del processo a Eni e Shell
Anche la Nigeria si sente vittima
Allo stesso tempo la Repubblica Federale della Nigeria ha confermato con il suo legale italiano, assistito da altri avvocati internazionali, la sua richiesta, in qualità di vittima, di essere parte civile per chiedere i danni, probabilmente non solo ai singoli imputati, ma anche alle due società. In aula erano presenti a sostenere questa richiesta il capo dell’avvocatura generale della Nigeria assistito dal nuovo ambasciatore di Abuja a Roma.
Nei 10-minuti-10 dell’udienza ci sono state pure due notizie un pizzico confortanti. È stata in primo luogo autorizzata la ripresa audio-video dei lavori processuali. Inoltre, qui permettetetici di esultare, il presidente ha promesso che le udienze della fase dibattimentali saranno in “un’aula più grande”. Non quella dello scorso 20 maggio. Lì l’udienza era andata in scena in una stanza che traboccava di persone. Parecchie costrette a stare in piedi, pigiate nelle retrovie. Insomma, per molti presenti la durata così esigua non è stata poi tutta questa sciagura. Anche perché pure l’acustica – e perdonateci se siamo troppo criticoni – non era della migliori.