OrtoCollettivo sperimenta la possibilità di vivere in città e godere della natura
Questa storia dal futuro parla di OrtoCollettivo, che ha voluto coniugare vita in città e cura della natura
La storia dal futuro di oggi parla di chi ha voluto costruire un futuro in cui stare in città e godere della natura, lavorare con essa, come se le due cose non fossero in contraddizione: è la storia di OrtoCollettivo a Genova.
Me l’ha raccontata Valentina Grasso Floris, la presidente dell’associazione. Laurea in architettura del paesaggio, ha impostato il suo percorso di ricerca sui contesti in cui bambine e bambini potessero crescere in un ambiente sano. «Alla fine sono arrivata alla conclusione che l’ambito naturale era sempre quello vincente», ha spiegato. Non stiamo parlando di ragioni ideologiche o retaggi da figlia dei fiori: Valentina viene da studi accademici di architettura tradizionale e poi del paesaggio. Quello che dice è frutto del lavoro di anni, di quasi un quinquennio di studio in Inghilterra. «Durante un workshop di architettura naturale ho scoperto la permacultura e il suo stile di vita. Quando ho deciso di tornare a Genova, ho conosciuto Orto Collettivo».
«Volevamo raccontare alla città il patrimonio che stavamo perdendo»
Il progetto OrtoCollettivo nasce da un grande progetto di recupero del territorio e di rifiuti zero creato dall’associazione Comitato4Valli. Allora si chiamava Cantiere Aperto. Il suo fondatore, Andrea Pescino, era convinto che si potesse contrastare l’abbandono delle campagne a partire dalle città. Ci pensava e lo praticava da tempo, insieme a un gruppo di circa 2mila persone provenienti da aziende agricole nell’entroterra genovese: «Li chiamavano gli urbanizzati, volevano raccontare alla città il patrimonio che stavamo perdendo», racconta Valentina.
Pescino era un ingegnere e aveva già sperimentato sul monte di Portofino nuove tecniche di terrazzamento senza tagliare gli alberi, ma solo riducendone l’altezza. «Prendemmo in comodato d’uso gratuito un terreno molto difficile, con una pendenza tra il 45 e il 60%. Volevamo dimostrare la forza del popolo genovese che, se si attiva, può gestire anche situazioni complesse». Ci sono riusciti: negli anni il terreno è stato terrazzato e, racconta Valentina, è stato coltivato anche il più piccolo fazzoletto di terra.
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«Questo non è un progetto che viene dal basso»
«Questo», spiega Valentina, «non è un progetto che viene dal basso: ci sono servite tantissime conoscenze per realizzarlo, tanta teoria e molta competenza». L’esperimento fu lanciato con un appello pubblico in cui si invitava la cittadinanza a presentarsi per coltivare nello spazio. Un bene privato, specifica la presidente, ma comune: era il terreno di un privato che l’ha messo a disposizione della cittadinanza.
La chiamata alla campagna ebbe una enorme eco mediatica, in centinaia si candidarono per partecipare. «A un certo punto – continua Valentina – il progetto è diventato così grande che per gestirlo ci sarebbero volute almeno trenta persone preparate e competenti. Abbiamo avuto la fortuna di incontrare una funzionaria del Comune che ci ha presentato i primi cinque richiedenti asilo, e da lì in pochi anni siamo cresciuti, arrivando ad avere anche 60 ragazzi al giorno a fare formazione sui terreni, a imparare le tecniche agricole che applicavamo al campo».
Chi si dedica alla natura è predisposto all’inclusione
Il campo fu trasformato e presto reso fruibile a tutti. «Ci lavorano insieme richiedenti asilo, cittadini e, cinque anni fa, è arrivata una convenzione con il Tribunale per cui sono affidate al bene persone che fanno percorsi di restituzione, messa alla prova o che beneficiano di sconti di pena». Il tutto, sottolinea Valentina, senza finanziamenti pubblici ma solo con il lavoro volontario di ogni parte coinvolta. La manodopera proviene tutta da progetti sociali e genera un meccanismo di integrazione molto efficace. «Credo – riflette – che dipenda molto dal nostro ambito di lavoro. Penso che chi decide di dedicarsi alla natura sia predisposto all’inclusione, all’apertura mentale, e questi anni lo hanno dimostrato».
La messa alla prova, mi spiega al telefono, è stato lo strumento più efficace. È la possibilità di tornare ad avere una fedina penale pulita destinata a chi ha compiuto reati minori o si è trovato in situazioni complicate. «Sono persone che hanno una gran voglia di tornare al punto di partenza, lavoratori instancabili che sono diventati parte essenziale della nostra associazione: hanno contribuito alla manutenzione del terreno e portato diverse competenze».
Il salto di tre anni fa
Circa tre anni è venuto a mancare Andrea Pescino e Valentina ha preso le redini del progetto, che è diventato l’associazione OrtoCollettivo. «Siamo ripartiti riflettendo su cosa potevamo conservare del vecchio progetto e cosa invece, visto quanto ormai eravamo cresciuti, doveva cambiare».
OrtoCollettivo oggi si dedica a un progetto di rete delle aziende agricole. Le aziende con cui lavora sono nell’entroterra e si tratta per lo più di ditte individuale o al massimo familiari. «L’incessante pioggia dell’inverno scorso – spiega – ha portato la crescita di molte erbe spontanee e quindi un profondo e impegnativo lavoro di pulizia costante. Vista la situazione, difficile per tutti, abbiamo preferito dare spazio ai progetti dell’entroterra, contribuendo ad aiutare chi fa presidio sul territorio lasciando in pausa il terreno di partenza. Ogni azienda agricola impiega molto tempo nella manutenzione del territorio, noi permettiamo loro di alleggerire il peso della cura del territorio potendosi dedicare alla parte produttiva».
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Attivatori territoriali
Adesso l’associazione è un “attivatore territoriale”. «Nel mio percorso di ricerca ho dedicato tanto spazio alla pianificazione territoriale e sono convinta dell’importanza di avere elementi cittadini che si dedichino alla gestione delle aree interne, al loro rilancio». Questo ha dato respiro a tutte le aziende che erano in forte sofferenza. «Noi entriamo negli enti agricoli, aziende o agriturismi, e inseriamo quello che, secondo la nostra analisi tecnica, è carente. Organizziamo eventi pubblici, laboratori formativi: un pacchetto di competenze e strumenti per risollevare o attivare energie latenti».
Oltre al supporto produttivo, OrtoCollettivo fa anche un gran lavoro di sensibilizzazione per la cittadinanza e soprattutto per i più piccoli. L’obiettivo è riavvicinare al mondo naturale. Questo lavoro ha creato una vasta rete che si estende su due diverse valli e coinvolge diversi soggetti tra cui Ortobee, Rete Agricola, con cui adesso si sta lavorando nella riconversione di un bosco abbandonato in bosco terapeutico.
Creare un’alternativa virtuosa senza far del male
«In questi anni siamo riusciti a creare un gioco di reciproco supporto tra imprese e associazione: ci dividiamo il lavoro e riusciamo a ottenere risultati che nel pubblico non sarebbe possibile raggiungere». L’obiettivo è creare circuiti economici interni che garantiscano alle aziende l’autosufficienza e al territorio il rilancio agricolo. «Vogliamo dimostrare che è possibile creare un’alternativa virtuosa senza far del male. Per sette anni ci siamo riusciti senza fondi. Negli ultimi due abbiamo scelto di trasformarci in associazione perché vogliamo essere un posto in cui chi viene a lavorare è ben pagato. In cui – continua – chi ha competenze e capacità può vivere di queste».
In questo senso, OrtoCollettivo è una storia dal futuro: «Quello che vogliamo trasmettere è che si possono creare ambiti di vita completa nel mondo naturale, in campagna, nell’entroterra, che siano un’alternativa alla vita ordinaria cittadina. Si può fare, è importante raccontarlo».
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