La plastica aumenta l’effetto serra come 189 centrali a carbone
Il dato, calcolato dallo studio legale americano CIEL, considera le emissioni causate da produzione e smaltimento. Ai ritmi attuali, l'impatto potrebbe triplicare entro metà secolo
La plastica contribuisce in maniera drammatica al cambiamento climatico e dispersa nell’ambiente continua a produrre gas serra. Solo nel 2019 la sua produzione, l’incenerimento e lo smaltimento, aggiungeranno in atmosfera più di 850 milioni di tonnellate di CO2. Una quantità enorme, pari all’inquinamento di 189 nuovi impianti a carbone da 500 megawatt.
Se la produzione e l’uso di plastica continueranno a crescere del 3,8% all’anno, come previsto dal World Economic Forum, entro il 2030 le emissioni potrebbero raggiungere 1,34 gigatoni (cioè miliardi di tonnellate) di CO2 in soli 12 mesi. Pari a quelle che potrebbero essere rilasciate da almeno 295 impianti a carbone da 500 megawatt. Entro il 2050, la produzione e lo smaltimento di plastica potrebbero generare, così, 56 gigatoni di anidride carbonica, pari al 14% dell’intero bilancio di carbonio rimanente della terra. Una minaccia che potrebbe ostacolare il controllo della temperatura planetaria sotto gli 1,5 °C.
Lo scenario è stato elaborato dal rapporto «Plastic & Climate: The Hidden Costs of a Plastic Planet» prodotto dal Center for International Environmental Law (CIEL), studio legale di interesse pubblico americano.
Stime allarmanti ma prudenti
La novità del rapporto Plastic & Climate, che elabora i dati provenienti da fonti pubbliche e dalle aziende del settore, è quella di valutare per la prima volta l’impatto climatico della plastica, utilizzando la medesima modalità di calcolo delle emissioni di gas serra usata dal quinto rapporto dell’ IPCC — Intergovernmental Panel on Climate Change.
Stime prudenti, ribadiscono gli autori, a causa delle limitazioni nella disponibilità dei dati ufficiali forniti dal National Emissions Inventory (NEI), l’inventario delle emissioni e dall’Environmental Protection Agency (EPA), l’agenzia per la protezione dell’ambiente americana.
La plastica nell’ambiente e nel mare emette gas serra e idrocarburi
Gli esperti di CIEL hanno analizzato e raccolto, in ogni caso, informazioni sull’intero ciclo di vita dei prodotti plastici provenienti da database pubblici: dall’estrazione dei combustibili fossili, alla loro raffinazione e produzione, fino allo smaltimento in discarica, negli inceneritori, al riciclo e alla dispersione nell’ambiente, nei fiumi e negli oceani. Proprio questi ultimi assorbono una quantità significativa dei gas serra prodotti sul pianeta: fino al 40% di tutta l’anidride carbonica, prodotta dall’uomo fin dall’inizio dell’era industriale.
Il rapporto Plastic & Climate documenta come l’enorme quantità di plastica e microplastica, dispersa in mare e sottoposta alle radiazioni solari, secondo lo studio dell’International Pacific Research Center, University of Hawaii at Manoa, emetta a sua volta metano ed etilene. Limitando la naturale capacità degli oceani di assorbire e catturare l’anidride carbonica. Il polietilene, che è il polimero sintetico più prodotto e scartato a livello globale, è anche il più prolifico emettitore di entrambi i gas.
Dall’estrazione di gas e petrolio alla gestione dei rifiuti plastici
Solo negli Stati Uniti nel 2015 le emissioni da estrazione e produzione di combustibili fossili, in gran parte gas da fracking, attribuite alla produzione di plastica, sono state almeno 9,5-10,5 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti (CO2e) all’anno. Al di fuori degli Stati Uniti, dove è il petrolio la materia prima principale per la produzione di plastica, sono invece circa 108 milioni di tonnellate di CO2e all’anno dovute principalmente all’estrazione e alla raffinazione.
Nel 2015, 24 stabilimenti di produzione di etilene negli USA hanno prodotto 17,5 milioni di tonnellate di CO2e, emettendo una quantità di anidride carbonica pari a quella emessa da 3,8 milioni di veicoli passeggeri. Nel mondo, sempre nel 2015, le emissioni da cracking a produzione di etilene sono state tra le 184,3-213,0 milioni di tonnellate di CO2e, equivalenti a quelle emesse da 45 milioni di auto circolanti in un anno.
Non esiste una “fine vita” per la plastica
“End of life is not end of impact”. L’impatto della plastica non termina con la fine del suo utilizzo. I curatori di Plastic & Climate lo scrivono chiaro. La plastica continua ad inquinare a lungo, dopo che la sua “vita” utile è finita. La soluzione non può essere certo lo smaltimento in discarica: le ricadute ambientali sono ormai note. Secondo i calcoli degli esperti, solo il riciclo, se sostituisce la plastica vergine, potrebbe essere un processo vantaggioso sotto il profilo delle emissioni di gas serra. Viene, invece, preferito l’incenerimento, il processo di smaltimento più gravoso per l’ambiente e per il riscaldamento globale.
Solo negli USA nel 2015 sono state stimate 5,9 milioni di tonnellate di CO2e, mentre le emissioni globali derivanti dall’incenerimento di questo particolare tipo di rifiuti di plastica hanno totalizzato 16 milioni di tonnellate di CO2e.
In America petrolio e gas a basso costo con fracking e cracking
Se in Europa è stata definitivamente varata la messa al bando definitiva dei prodotti di plastica monouso, l’espansione delle industrie petrolchimiche verso la produzione di materiali plastici è invece in aumento in tutto il pianeta. Almeno per il prossimo decennio, si conferma il trend previsto dal World Economic Forum, e quanto aveva denunciato da Valori un anno fa.
Proprio negli Stati Uniti, le multinazionali del petrolio stanno vivendo un nuovo Eldorado. È in atto, infatti, un fortissimo sviluppo legato al basso costo del gas naturale e alla sua estrazione tramite fratturazione idraulica (fracking), sia sulla Costa del Golfo che nella valle del fiume Ohio. Come documentano i legali di CIEL, sono oltre 300 i progetti di petrolchimici in costruzione, destinati principalmente alla produzione di additivi e plastiche.
Nella Pennsylvania occidentale è previsto un nuovo impianto della Shell, di produzione di gas naturale, per materie plastiche, attraverso lo “steam cracking”. Impianto che potrebbe emettere fino a 2,25 milioni di tonnellate di gas serra ogni anno. Lungo la costa del Golfo del Texas è, invece, in via di installazione, nella raffineria di Baytown delle ExxonMobil, una nuova linea di produzione di etilene che ne rilascerà fino a 1,4 milioni di tonnellate. Secondo Plastic & Climate solo le emissioni annuali di queste due nuove strutture equivarrebbero mettere in strada 800mila nuove auto.
Che cosa succederà se non si ferma la produzione di plastica
Secondo il rapporto Plastic & Climate, se la crescita della produzione di plastica e dell’incenerimento continuerà come previsto dal Wef, le emissioni cumulative di gas serra entro il 2050 saranno superiori a 56 gigatoni di CO2e, il 10-13% del bilancio totale di carbonio residuo.
Non restano molte alternative per salvare il pianeta, l’ambiente e la salute dei cittadini. Ben vengano, quindi, i divieti nazionali e globali, a partire da quelli che colpiscono l’usa e getta, come accaduto in Europa. Ma secondi i giuristi e le ONG americani, la raccomandazione più efficace è semplice: ridurre immediatamente la produzione e l’uso della plastica. Fermare l’espansione della produzione petrolchimica e lasciare i combustibili fossili sotto terra.