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Dietro la plastica, affari d’oro per le corporation del petrolio

Il mercato globale è dominato da una manciata di multinazionali miliardarie della chimica. Le vendite delle loro materie prime è in crescita nonostante tutto

Quanto durerà ancora la plastic economy? Una cosa è certa: nel mondo non è per niente in crisi. Così come è cresciuto l’uso della plastica nell’ultimo decennio, così come è aumentato il suo impatto ambientale sul globo terrestre, così aumentano i fatturati delle multinazionali che producono le materie plastiche primarie.

Il processo parte dalla raffinazione del petrolio greggio, per arrivare alla produzione di monomeri che vengono poi polimerizzati e miscelati dalle aziende che producono i vari manufatti dal packaging ai materiali per le auto, le case, la stessa industria. E la produzione di plastica da fonti fossili consuma decisamente più energia rispetto alla plastica riciclata.

Plastica vergine: produrla consuma 5 volte più energia della plastica riciclata. FONTE: OECD

Come emerge dal rapporto OECD Improving Markets for Recycled Plasticsil mercato globale è dominato da una manciata di multinazionali dai fatturati miliardari. C’è la tedesca BASF (63,7 miliardi di dollari); l’italiana ENI (61,6 miliardi di dollari); Dow Chemical (49 miliardi di dollari); Lyondell Basell (33 miliardi di dollari); Exxon Mobil (236 miliardi di dollari); SABIC (35,4 miliardi di dollari); INEOS (40 miliardi di dollari); LG Chem (16,8 miliardi di dollari); Chevron Phillips (13,4 miliardi di dollari); e Lanxess (7,9 miliardi di dollari).

Greggio, chimica, plastica

Analizzando i dati a bilancio di Exxon e Shell – principali compagnie petrolifere – negli ultimi 5 anni le vendite di materie prime chimiche sono continuamente e gradualmente salite per entrambe le società. E buona parte di esse sono state destinate all’industria della plastica. Volumi certo molto più bassi rispetto a 10 anni fa, prima della crisi petrolifera, ma significativi rispetto ad un sistema che sembra tutt’altro che sostenibile per il pianeta.

Siamo passati infatti da 24 milioni di tonnellate prodotte nel 2013 ad oltre 25 milioni nel 2017 per Exxon. Per Shell, 17 milioni l’anno scorso contro i 16 milioni prodotti nel 2013.

Mentre un gruppo di 288 grandi investitori mondiali ha chiesto al G7 uno stop alle sovvenzioni che ancora sostengono l’uso di fonti fossili, la Commissione Europea spinge per una “Strategia europea per la plastica nell’economia circolare” . Ma sulla ricerca e la tecnologia per il riciclo e per ridurre l’impatto sulle nostre vite si investe ancora troppo poco. Le multinazionali del petrolio si preparano così ad un futuro in crescita.

Le mosse per ampliare gli usi della plastica

Le strategie in campo per il “big business” sono invece rivolte a produrre sempre più manufatti in plastica e prodotti derivati dal petrolio. Dai materassi in schiuma ai materiali per l’isolamento energetico delle abitazioni. Nel mondo si sono prodotti 335 milioni di tonnellate di materiali plastici nel 2016, dai poliuretani termoplastici agli adesivi e ai rivestimenti, secondo Plastics Europe.

Comunque, gli interventi che puntano a limitare l’uso dei prodotti plastici impensieriscono ben poco i big della chimica. Anche “se fosse stata eliminata solo una volta le materie plastiche a livello mondiale, la domanda di sostanze chimiche sarebbe stata ridotta solo del 3-4%” ha dichiarato al Financial Times John Abbott, direttore della Shell, che supervisiona le divisioni di raffinazione, marketing e petrolchimica della società. “La domanda di prodotti chimici è in realtà guidata dalla transizione energetica”.

Consumo di petrolio, previsioni in crescita

Come riportato sempre dal Financial Times citando dati dell’Agenzia internazionale per l’Energia, l’industria e la petrolchimica hanno utilizzato 17,4 milioni di barili di petrolio al giorno nel 2016. Se i governi continueranno le loro attuali politiche energetiche, si prevede che il numero di barili aumenterà del 35% entro il 2040.

Sulla stessa linea la multinazione BP. Come riportato dal Guardian, i suoi analisti prevedono che la domanda globale di petrolio non raggiungerà il picco fino alla fine degli anni 2030.

Esce dalla porta, rientra dalla finestra

Un trend dettato anche dal fatto che, fuori dall’Europa, il tema della sostenibilità ambientale passa in secondo piano. Un esempio eclatante arriva dall’Arabia Saudita, dove è nata una joint-venture tra Saudi Aramco e Dow Chemical. L’Aramco ha le riserve petrolifere più grandi al mondo e più accessibili. Ma sta puntando ad un futuro di plastica, lubrificanti, film e gas. Ci si prepara alla transizione energetica, quindi con il petrolio non più carburante principale per i trasporti, ma fonte primaria per produrre plastiche per ogni uso quotidiano. Che ancora non sappiamo come riciclare.