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Finanza etica

Finanza sostenibile: l’arma segreta scelta dall’Europa per salvare il Pianeta

17:59

Supponi di avere qualche risparmio da parte, piccolo o grande che sia. E supponi di volerlo investire. Che cosa vorresti da questo investimento?

Guadagnare, certo, cioè avere un rendimento, possibilmente elevato. Non rischiare di perdere parte o tutti i soldi che hai investito, cioè un rischio basso o nullo. Ma ti chiedi anche come vengono usati i tuoi soldi dalle società finanziarie a cui li hai affidati? Dove investano i tuoi risparmi? Per finanziare quali imprese?

E se scoprissi che vengono usati per sostenere aziende che producono armi o che inquinano, che fanno lavorare i bambini, che non tutelano i diritti dei lavoratori o magari elargiscono paghe da capogiro ai top manager e “nascondono” i propri profitti nei paradisi fiscali?

Se ti sei già posto queste domande e se ti rifiuti di dare i tuoi soldi a chi rientra in uno dei casi elencati poco fa, allora sappi che stai “facendo” finanza sostenibile.

La finanza sostenibile esce dalla nicchia

Fino a qualche anno fa eravamo in pochi. La finanza sostenibile per decenni è rimasta una scelta di nicchia, di pochi investitori responsabili. Poi è arrivata la crisi climatica. E il mondo si è accorto della finanza sostenibile e di come possa aiutare a salvare il Pianeta.

Da qualche anno i cambiamenti climatici sono diventati evidenti per tutti, nelle immagini degli incendi in California, degli alluvioni nel Sudest asiatico, delle frane anche in Italia e di tutti i disastri naturali che negli ultimi anni sono diventati all’ordine del giorno. Due anni fa, poi, l’emergenza è stata messa nero su bianco dall’IPCC, il Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici che nell’ottobre 2018 ha pubblicato un rapporto che spiega come si debba cambiare rotta. Subito. Altrimenti il Pianeta verrà stravolto.

Le istituzioni europee, la Commissione in primis, si sono accorte che l’economia deve cambiare e diventare a impatto zero. Cioè deve ridurre pesantemente le proprie emissioni inquinanti. Ripulire l’economia, convertirla verso un futuro a emissioni inquinanti vicine allo zero, costa caro. Per la Commissione europea servono 180 miliardi di euro in più all’anno fino al 2030, solo per l’Europa. I finanziamenti pubblici da soli non saranno sufficienti. Bisogna attingere a capitali privati, gli investimenti dei risparmiatori, che devono essere orientati verso aziende sostenibili.

La Commissione europea ha lavorato a lungo sulle definizioni di “finanza sostenibile”

Chi decide cosa è sostenibile e cosa non lo è?

Per questo diventa fondamentale stabilire i confini della finanza sostenibile. In quali aziende possa investire una finanza che si definisce sostenibile. Perché quello che è sostenibile per me, non è detto che lo sia per te.

La posta in gioco è alta, e parliamo sia della salvezza del Pianeta, sia del valore economico degli investimenti responsabili: circa 31 mila miliardi di dollari, oltre un terzo del Pil mondiale. C’è bisogno di capire che cose si possa definire sostenibile e cosa no. In modo univoco per tutti.

Il lavoro della Commissione europea per mettere ordine nella finanza sostenibile è stato accolto con grande entusiasmo dalle autorità italiane ed europee, dai gestori di investimenti responsabili, da tutto il mondo della finanza sostenibile.

«Abbiamo fatto la storia!», era stato il commento entusiasta su twitter di Valdis Dombrovskis, vicepresidente della Commissione europea a dicembre 2019, il giorno in cui Parlamento, Consiglio e Commissione Ue hanno raggiunto un compromesso sul testo del regolamento europeo sulla tassonomia delle attività economiche sostenibili.

«È una vera rivoluzione – gli aveva fatto eco Francesco Bicciato, Segretario Generale del Forum per la Finanza Sostenibile – non solo la finanza sostenibile è entrata nei documenti ufficiali delle istituzioni europee, ma il concetto della sostenibilità viene posto al centro delle politiche economiche della Commissione europea».

La tassonomia: il dizionario della finanza sostenibile

Ma perché è così importante questa tassonomia? E, in generale, perché la Commissione europea sta dedicando tante risorse per cercare di definire norme chiare e univoche sulla finanza sostenibile? Si potrebbe rispondere: perché al momento c’è una gran confusione! Sì, “confusione”. E davvero non stiamo esagerando. Il termine lo ha utilizzato il prestigioso MIT, il Massachusetts Institute of Technology in una ricerca intitolata Confusione aggregata: la divergenza dei rating Esg.

ESG significa Environmental, Social, Governance. Sono i 3 pilastri dell’economia e della finanza sostenibili. Per definirsi sostenibile un’impresa deve integrare nella propria strategia il rispetto dell’ambiente, dei diritti sociali e deve adottare una gestione aziendale equa.

Cosa significa in concreto ESG? Quali standard devono essere rispettati?

Non esiste una risposta univoca. E non esiste uno standard unico. Esistono diverse agenzie di rating ESG, istituti privati che raccolgono le informazioni che le stesse aziende divulgano e, ciascuna sulla base di propri criteri, attribuiscono dei voti alla sostenibilità delle imprese.

Ogni gestore finanziario, poi, crea il portafoglio di imprese sostenibili su cui investire, selezionandole sulla base delle informazioni e talvolta dei voti delle agenzie di rating, della propria attività di dialogo con le imprese e della propria metodologia di definizione dell’investimento responsabile.

Quindi può tranquillamente capitare che un’impresa considerata sostenibile da un fondo di investimento responsabile non lo sia per un altro. E questa, per il Massachusetts Institute of Technology, non è una buona cosa. È una situazione che, causa notevoli problemi: «L’ambiguità attorno ai rating Esg è un ostacolo a un processo decisionale prudente che contribuirebbe a un’economia sostenibile».

La sete di chiarezza attorno agli investimenti responsabili è ormai condivisa da tutti gli attori del settore. E non solo. Lo aveva detto chiaramente Steven Maijoor, presidente dell’ESMA, l’Autorità di vigilanza europea sui mercati finanziari, a febbraio del 2020.

Se manca chiarezza si fa spazio al greenwashing

Quello del greenwashing è uno dei rischi principali dell’attuale mancanza di chiarezza riguardo cosa possa essere definito sostenibile e possa quindi rientrare in un investimento responsabile. 

Come detto, la posta in gioco è alta. I miliardi di dollari degli investimenti responsabili fanno gola a molti. E anche aziende che non sono proprio sostenibili possono sfruttare le debolezze normative per accaparrarseli. Magari puntando su qualche attività green di facciata per nascondere invece una gestione che di sostenibile non ha proprio niente. 

In gioco ci sono forti interessi economici e politici. Che sono emersi in modo evidente quando i 3 organismi decisionali europei, commissione, consiglio e Parlamento, hanno dovuto mettersi attorno a un tavolo e votare le proposte legislative della commissione. 

Carbone e nucleare sono sostenibili?

Gli scontri più accesi si sono visti attorno ad alcuni punti caldi: come il carbone o il nucleare. Settori che, per gli esperti della commissione, non avrebbero dovuto essere inseriti tra quelli che possono ambire ad essere sostenibili, ma che per alcuni Paesi, come la Francia per il nucleare, o la Germania per il carbone, sono di vitale importanza a livello economico.  

Ed ecco che gli interessi di singoli Stati hanno rischiato di avere il sopravvento su quelli dell’intero Pianeta. 

Lo stesso è avvenuto al momenti di definire i criteri tecnici per stabilire a quali condizioni un’attività possa essere definita sostenibile. La piattaforma per la finanza sostenibile li ha scritti all’interno della bozza di atti delegati che ha sottoposto a una consultazione pubblica che si è chiusa il 18 dicembre. Avrebbero dovuto essere pubblicati a fine 2020, ma non è stato possibile. Sono stati affossati da una marea di commenti e migliaia di pagine di feedback. E una decina di Stati (Bulgaria, Croazia, Cipro, Repubblica Ceca, Grecia, Ungheria, Malta, Polonia, Romania e Slovacchia) ne hanno ottenuto il rinvio. A data da destinarsi.

Le lobby che rappresentano i settori che resterebbero esclusi dalla tassonomia si sono messe di traverso. Contestati in particolare l’esclusione del gas come combustibile “di transizione”, ma anche le norme riguardo l’uso delle foreste. E il fatto che anche le compagnie petrolifere a certe condizioni possano entrare in un investimento responsabile non è piaciuto affatto a molti ambientalisti. 

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Una diga è un progetto sostenibile? Da un punto di vista ambientale, può esserlo. Ma cosa succede se la sua costruzione impatta sulle popolazioni locali? © Riccardo_Mojana/iStockPhoto

La tassonomia dimentica gli aspetti sociali

Ma la questione dei settori che possono ambire a essere green non è l’unico punto del lavoro di definizione della finanza sostenibile che sta ricevendo critiche. La Commissione ha infatti trascurato alcuni tasselli fondamentali per parlare di sostenibilità. Innanzitutto quello sociale. Solo adesso la nuova piattaforma di esperti della commissione sta iniziando a parlare del fattore sociale, finora assente dalla definizione delle attività sostenibili. Per cui ci si potrebbe trovare nella condizione in cui un’azienda che inquina poco ma sfrutta il lavoro minorile sia considerata sostenibile. 

Siamo quindi a un momento cruciale. Storico per l’importanza che in pochi anni ha assunto la finanza sostenibile e per l’attenzione che sta ricevendo questo tema. Delicato per gli interessi in gioco e per la difficoltà di definire un concetto così cruciale coma la sostenibilità. 

Ma ci siamo. La Commissione riuscirà a fornire tutti gli elementi per stabilire se un’attività, quindi un’azienda, possa fregiarsi della definizione di “sostenibile”. Almeno si spera, perché da questi apparenti tecnicismi dipenderà il futuro nostro e del nostro Pianeta.

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