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La speculazione fa venire fame e sete

28:13

Grano, soia, mais, colza… i prezzi delle materie prime agricole sono aumentati vertiginosamente nel 2020. E l’incremento non accenna a fermarsi nel 2021. Le ragioni sono molteplici. Da un lato la pandemia provocata dal Covid-19 sta destabilizzando il sistema alimentare mondiale. Dall’altro, la Cina sta ricostruendo le sue scorte dopo gli scarsi raccolti degli scorsi anni. Con l’obiettivo di ricostruire i propri allevamenti, in particolare di maiali, decimati dalla peste suina. La stessa Cina ha importato più di 100 milioni di tonnellate di soia e 11,3 milioni di tonnellate di mais: un’esplosione del 57% in un solo anno. La nazione asiatica cerca così di assicurarsi il cibo in caso di recidive epidemiche e per questo acquista a caro prezzo. Pagato, soprattutto, dagli altri Paesi importatori che si ritrovano costretti ad acquistare anche loro a costi più alti.

E, fino qui, abbiamo di fronte le classiche dinamiche della domanda e dell’offerta che determinano i prezzi dei beni. Ma cosa succede quando interviene la finanza?

La speculazione finanziaria sulle materie prime alimentari

La “speculazione” è uno dei meccanismi più collaudati attraverso i quali “fare i soldi dai soldi”. La parola viene dal termine specula. Era la vedetta romana che scrutava l’orizzonte per scorgere in anticipo eventuali nemici. Speculare significa dunque anche osservare.

Quando la finanza, attraverso strumenti come i derivati, inizia a occuparsi di materie prime agricole gli impatti sulla vita delle persone possono essere devastanti. L’Unione europea si è dotata di norme per contenere la speculazione sul cibo, anche se le organizzazioni della società civile ne denunciano la debolezza. E perfino l’acqua, il più importante tra i beni essenziali per l’umanità, sta diventando (per ora negli Stati Uniti) un asset finanziario.

Crisi climatica, una minaccia alla sicurezza alimentare

La speculazione finanziaria sul cibo rischia di avere effetti ancor più devastanti nel contesto della crisi climatica. I lunghi periodi di siccità, le inondazioni, gli incendi minacciano sempre più concretamente l’accesso al cibo e all’acqua per milioni di persone.

Servirebbe una finanza nuova, che non alimenta la crisi climatica finanziando le fonti fossili, e che, al contrario, investe nella transizione ecologica. Una finanza che non specula sui prezzi del cibo e che torna alla sua funzione originaria di punto di incontro tra chi possiede capitali e chi ha bisogno credito per sviluppare un’attività. Una finanza che smetta di essere parte del problema e diventi parte della soluzione.

Ne abbiamo parlato con Andrea Baranes, vicepresidente di Banca Etica, e Andrea Barolini, giornalista di Valori.it.

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