Il loro grido è la mia voce: poesie da Gaza che raccontano l’umanità sotto le bombe

Poesie scritte sotto i bombardamenti a Gaza diventano atto di resistenza e testimonianza. Un grido che chiede di essere ascoltato

Se io dovessi morire
tu devi vivere
per raccontare
la mia storia
per vendere tutte le mie cose
comprare un po’ di stoffa
e qualche filo,
per farne un aquilone
(magari bianco con una lunga coda)
in modo che un bambino,
da qualche parte a Gaza
fissando negli occhi il cielo
nell’attesa che suo padre
morto all’improvviso, senza dire addio
a nessuno
né al suo corpo
né a se stesso
veda l’aquilone, il mio
aquilone che hai fatto tu,
volare là in alto
e pensi per un attimo
che ci sia un angelo lì
a riportare amore
Se dovessi morire
che porti allora una speranza
che la mia fine sia una storia!

Refaat Alareer – Poeta, scrittore e professore universitario di letteratura comparata ucciso, nella notte tra il 6 e il 7 dicembre 2023, in un raid israeliano a Gaza

La storia del futuro di questa settimana comincia con una poesia, perché è la storia di un futuro sognato. Poco prima di morire nel bombardamento del 6 dicembre 2023, Refaat Alareer ha postato sui social network questa sua vecchia opera. Nel suo testamento poetico il poeta di Gaza ha chiesto che la sua morte non fosse vana, che portasse speranza e fosse una storia. E proprio dal suo invito è nata la storia dal futuro che voglio raccontarvi.

Poesie da Gaza: la voce di un’umanità oscurata, ma viva

La riporta Antonio Bocchifuso, curatore, insieme a Mario Soldaini e Leonardo Tosti della raccolta di poesie Il loro grido è la mia voce. Poesie da Gaza. Il volume raccoglie una selezione di poesie di dieci autori e autrici palestinesi, tradotte dall’arabo da Nabil Bey Salameh.

«Gran parte delle poesie – mi ha spiegato Antonio – è stata scritta a Gaza dopo il 7 ottobre. Sono testi scritti in condizioni estreme, sotto i bombardamenti e in campi profughi dove si muore di freddo, di fuoco e di bombe, di indifferenza o di fame. Oppure sono state scritte da persone in fuga». A Gaza, racconta Antonio, sono davvero tante le persone che, ogni giorno, scrivono poesie. «Abbiamo preso contatti con le autrici e gli autori, intercettati a partire da traduzioni inglesi e francesi, le cui voci volevamo fossero ascoltate. In alcuni casi ci hanno mandato loro stessi poesie che ritenevano attinenti alla nostra idea». 

La raccolta che ne deriva è la preziosa testimonianza di uno sterminio di massa, un documento storico che però va oltre, racconta di un’umanità oscurata, dimenticata. E che sarebbe molto facile non dimenticare. «Noi ci siamo limitati a contattare gli autori sui social network», riporta Antonio. «Sono lì a disposizione di tutti, sono ben contenti di sapere che là fuori qualcuno si cura di loro e di quello che scrivono». 

il loro grido è la mia voce poesie da gaza
Per ogni copia venduta, l’editore dona 5€ alle attività di Emergency nella Striscia di Gaza

Quando la poesia diventa resistenza: attivazione e solidarietà da Gaza

Ma questa non è solo un’operazione di testimonianza. “Il loro grido è la mia voce” è anche uno strumento concreto. Per ogni copia venduta, al costo di 12 euro, l’editore Fazi destina 5 euro alle attività di assistenza sanitaria di Emergency nella Striscia di Gaza. «La poesia è un linguaggio molto potente», mi ha detto al telefono Antonio. «Smuove gli animi, tocca corde che i discorsi razionali, le foto, i video non raggiungono. Negli ultimi tre mesi, da quando viaggiamo per presentare il libro, siamo contenti di vedere che abbiamo individuato una lingua che sembra superare i pregiudizi e può animare piazze, spingere all’azione». 

«Abbiamo sempre seguito – spiega – quello che accadeva in Palestina. Abbiamo provato a parlare di colonialismo, apartheid, pulizia etnica, orientalismo ad amici, professori o all’università. Ma quando provi a fare certi discorsi incontri sempre molta opposizione. Quando invece parli degli stessi temi a partire dalle parole di un ragazzo di vent’anni che scrive “Voglio nutrire i passeri sulle strade e non ho altro che la mia carne sul marciapiede” la gente capisce. Capiscono di cosa parli. Nessuno si sogna di chiedergli, o di chiedere a te che riporti la sua voce, se però condanni Hamas».

Una storia dal futuro: da Gaza, un invito a immaginare altri futuri possibili

Quando ho chiesto ad Antonio perché, secondo lui, questa è una storia dal futuro, mi ha dato una risposta molto articolata, che però vale la pena riportare per intero. 

«Questa è una storia dal futuro – mi ha detto – perché è da questa umanità che dovremmo ripartire. Quello che sta accadendo a Gaza, che queste poesie raccontano, è disumano. Non solo dal punto di vista etico, perché è in atto una barbarie. Accade qualcosa di disumano perché stiamo assistendo a un genocidio serializzato, automatizzato, spersonalizzato. Basta informarsi. Interi palazzi sono rasi al suolo, ammazzando tutte le persone che ci vivono, perché forse ospitano un terrorista. Che poi magari è un poeta, come è successo a Refaat Alareer. Questi obiettivi sono individuati da intelligenze artificiali, e gli operatori umani che devono convalidare queste indicazioni devono farlo in pochi attimi: hanno 20 secondi di tempo per decidere se confermare o meno quell’obiettivo». 

«A Gaza è in atto un genocidio supersonico – prosegue Antonio –. Corre a velocità inimmaginabili sulla testa dei palestinesi. Le madri hanno imparato a rassicurare i propri figli terrorizzati dai bombardamenti. Dicono loro che, se hai il tempo di sentire il suono di un missile supersonico, vuol dire che non ti ammazzerà. Perché è già andato via: va più veloce del suono che avverti. Ha scritto la poetessa Heba Abu Nada “Il suono che sentiamo è il suono della morte che ci ha superato per scegliere altri […] Siamo ancora vivi fino a nuovo avviso”. Qualche giorno dopo non ha fatto in tempo a sentire il suo razzo».

«In questo genocidio stiamo mettendo in campo il peggio del peggio del progresso tecnico della nostra epoca – sottolinea Antonio –. Il pochissimo cibo viene assegnato alle persone in base al riconoscimento facciale. Stiamo mettendo in scena quello che sarà la nostra rovina, in futuro. Tutte le derive distopiche della nostra idea di progresso. Tutte queste cose lo Stato di Israele le sta in qualche modo anticipando per noi. Pensiamo che i sistemi di sorveglianza digitale prodotti dall’esercito israeliano, nonché le armi collaudate sulla pelle dei palestinesi, o per sorvegliare i palestinesi, poi vengono vendute agli eserciti e ai servizi segreti occidentali. Basti pensare al sistema di sorveglianza spyware Pegasus, che per altro è un fatto vecchio e superato».

«Sotto le macerie c’è un’umanità che resiste»: la forza della poesia a Gaza

Ma per fortuna è una storia dal futuro anche in positivo. «Queste poesie sono la testimonianza del livello di disumanità a cui andiamo incontro, ma anche del fatto che ci sono persone che non fanno proprio quel linguaggio. Non reagiscono adottandolo. Persone che si preoccupano di testimoniare che sotto le macerie resiste un’umanità più autentica, più diretta. Che viene proprio da chi ha l’impressione di star vivendo un mondo completamente disumano. Dove raramente vede esseri umani, ma perlopiù razzi che arrivano e piovono da chissà dove, droni che non smettono mai di ronzare per il cielo e che si insinuano fin dentro le case».

«La cosa interessante – nota Antonio – è che, per quanto in questi testi si trovino anche feroci critiche politiche, discorsi fortemente infervorati contro lo Stato di Israele, contro l’occidente a volte, contro il silenzio del mondo arabo, nei momenti peggiori, quando la situazione degenera, sembra non si abbia neanche il tempo di pensare a tutto questo. Le poesie scritte nei momenti di massima tensione pensano solo ad affermare, a consegnare ai posteri la propria umanità. È questo, forse, il valore altissimo della loro testimonianza. Pensano a dire: “Qui c’è” o, se dovessi morire, “c’è stata umanità”». 

«Per questo – conclude Antonio, e non merita aggiunte di sorta – queste poesie dovremo ricordarle non solo per ricostruire Gaza ma anche quando, e ci toccherà, dovremo ricostruire la nostra umanità. Il nostro sistema di convivenza con altri popoli è palesemente crollato. Dovremo trovare un nuovo modo di stare al mondo, con noi stessi e con gli altri. Queste voci ci saranno indispensabili». 


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