Povertà energetica. Perché la via del gas in Africa è piena di rischi

Il gas è proposto da alcuni come una chiave per superare la povertà energetica in Africa. Ma il continente è ricchissimo di fonti rinnovabili

Nadia Addezio
L'Africa è ricchissima di sole e vento, le rinnovabili possono essere il presente e il futuro © Biserka Stojanovic/iStockPhoto
Nadia Addezio
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Il 2022 ha mostrato il futuro che attende il Pianeta se il riscaldamento globale supererà 1,5 gradi centigradi rispetto ai livelli preindustriali e se non vi sarà una riduzione di almeno il 55%, rispetto al 1990, delle emissioni globali di gas serra: obiettivi che andrebbero raggiunti entro il 2030 in base a quanto previsto dall’Accordo di Parigi del 2015. Lo scorso anno si sono registrati infatti 421 disastri naturali che, secondo il report 2023 Weather, Climate and Catastrophe Insight della multinazionale per la gestione del rischio AON, hanno causato 31.300 morti e 313 miliardi di dollari di perdite economiche.

I disastri naturali dovuti al clima già provocano danni materiali e umani catastrofici

In particolare, le inondazioni hanno provocato 1.739 vittime e più di 7 milioni di sfollati in Pakistan; oltre 600 vittime e 1,3 milioni di sfollati in Camerun, Mali, Niger e Nigeria; più di 400 morti e oltre 40mila persone sfollate in Sudafrica. L’ultimo che ha mietuto vittime – più di 400 per il momento accertate – è il ciclone Freddy abbattutosi tra febbraio e marzo sull’Africa australe, in modo particolarmente violento in Malawi e Mozambico, costringendo complessivamente 345mila persone ad abbandonare le proprie case.

Si tratta di dati che lasciano immaginare situazioni ancor più catastrofiche qualora si realizzasse l’innalzamento della temperatura globale oltre il limite stabilito a Parigi, ipotesi che già nel 2018 l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) aveva mosso, indicando le popolazioni economicamente svantaggiate e le regioni più aride e/o isolate dei Paesi in via di sviluppo come le più a rischio.

Come contrastare la povertà economica e energetica

Nel Climate inequality report 2023 messo a punto dai ricercatori Philipp Bothe, Lucas Chancel e Tancrède Voituriez sotto il coordinamento dell’economista Thomas Piketty, viene evidenziato che le politiche di mitigazione e adattamento, puntando a prevenire e/o limitare gli effetti dei cambiamenti climatici, non distinguono le emissioni per bisogni essenziali della popolazione economicamente più povera da quelle dei più ricchi. A fronte di ciò, lo studio ritiene necessaria una distribuzione equa delle emissioni tra Paesi e tra le persone di ciascun Paese, affinché la causa climatica sia fronteggiata senza aggravare i livelli di povertà economica: in aumento per via dei disastri ambientali nell’86% dei Paesi con economie dipendenti dall’agricoltura

La centrale solare Noor in Marocco
La centrale solare Noor in Marocco © Overflightstock Ltd/iStockPhoto

Un’equa distribuzione delle emissioni aiuterebbe inoltre a contrastare la povertà energetica aggravatasi in seguito alla pandemia e, ancor di più, con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, nel febbraio 2022. Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia (IEA), sono 2 miliardi le persone che vivono nello stato di povertà energetica; 75 milioni quelle che rischiano di perdere l’accesso all’elettricità in quanto impossibilitate a pagarla, riporta il World Energy Outlook (WE) prodotto dall’Agenzia.

Nel continente africano le cifre aumentano vertiginosamente, tale che secondo l’Africa Energy Outlook 2022, su una popolazione di 1,4 miliardi di persone, oltre 600 milioni vivono – specie nella regione subsahariana – senza accesso all’elettricità; 970 milioni di persone non hanno la possibilità di utilizzare fonti energetiche pulite, sicure, salutari per la vita e l’ambiente. Vedendosi costrette a ricorrere alla “cucina sporca”, cioè a fonti energetiche altamente inquinanti come il carbone, il legno, il cherosene. Responsabili della morte in media di 4 milioni di persone all’anno nel mondo, secondo la Clean Cooking Alliance.

La strada del gas naturale in Africa è perseguibile?

Per ottemperare a tali difficoltà, il report Gas For Africa – Assessing the potential for energising Africa, pubblicato lo scorso febbraio, elaborato dall’International Gas Union (IGU) e dall’agenzia panafricana di ricerca sugli investimenti Hawilti, elenca una serie di benefici che lo sfruttamento interno dei giacimenti di gas naturale apporterebbe al continente. Nello specifico, l’Africa detiene l’8,8% delle riserve mondiali di gas naturale, il cui utilizzo è stato da sempre  destinato perlopiù al mercato delle esportazioni. Lasciando che le industrie africane si servissero di fonti energetiche costose e inquinanti, inaccessibili a milioni di famiglie.

Ciò ha determinato l’inasprirsi della povertà energetica, che si rileva dal basso consumo di energia primaria pro-capite che si registra nel continente, pari ad appena 14,6 gigajoule, ovvero 5 volte inferiore alla media mondiale (75,6 GJ), 7 volte inferiore alla Cina (109,1 GJ), quasi 20 volte inferiore agli Stati Uniti (279,9 GJ). E dal consumo di energia elettrica per abitante «inferiore a quello di un frigorifero americano».

I rischi legati alle fossili e la campagna “Don’t gas Africa”

Il report segnala dunque che l’utilizzo del gas naturale potrebbe aiutare l’Africa ad affrancarsi dalla povertà energetica ed economica, mediante «la creazione di posti di lavoro; la diversificazione dell’economia con l’aumento di industrie ad alta intensità energetica; generando elettricità di base per i Paesi che non possono avvalersi dell’energia idroelettrica a causa della siccità; il rafforzamento dei sistemi energetici nazionali e regionali per consentire l’integrazione delle energie rinnovabili eolico e solare; fornire energia più pulita e accessibile; la conversione delle centrali elettriche a carbone e diesel per iniziare la decarbonizzazione del mix elettrico».

Si tratta di una visione già contrastata da Don’t gas Africa, una campagna promossa da diverse organizzazioni della società civile che chiedeva ai leader africani di porre «fine all’apartheid energetica indotta dai combustibili fossili in Africa». Opponendosi alla “posizione comune africana sull’accesso all’energia e la transizione energetica giusta” adottata dal Consiglio esecutivo dell’Unione Africana (UA) nel luglio 2022. Una dichiarazione che mirava all’uso di risorse energetiche rinnovabili e non, e che riconosceva – tra gli altri – al gas naturale «un ruolo cruciale nell’ampliamento dell’accesso moderno all’energia a breve e medio termine».

L’Africa ha emesso meno del 3% delle emissioni globali di gas ad effetto serra

Un interesse emerso anche nel corso della 27esima Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite (Cop27) tenuta a Sharm el-Sheikh lo scorso novembre, durante la quale si sono susseguiti gli interventi di alcuni negoziatori che rivendicavano la scelta di investire nel gas naturale. Come quello di Tosi Mpanu-Mpanu, economista, capo negoziatore per la Repubblica democratica del Congo (RDC), che – riporta la BBC – affermava: «La priorità degli Stati africani ora è ridurre la povertà e non salvare il Pianeta. […] Quando solo il 10% della nostra popolazione ha accesso all’elettricità, quale transizione energetica si pretende che facciano? Prima dobbiamo rendere l’elettricità accessibile al 90-100% della nostra gente, poi possiamo pensare all’efficienza energetica, all’energia verde e alla transizione verso le rinnovabili».

D’altra parte, l’Africa ha contribuito al cambiamento climatico con appena il 2-3% delle emissioni di gas serra a livello globale. Il gruppo indipendente di ricerca scientifica Climate Action Tracker, a sua volta, nel maggio 2022 aveva illustrato una prospettiva opposta. Nel report Natural Gas in Africa – Why fossil fuels cannot sustainably meet the continent’s growing energy demand segnalava, infatti, che se le politiche economiche e ambientali africane non si atterranno al limite di 1,5°C del riscaldamento globale previsto dall’Accordo di Parigi, vi sarà un aumento del 70% delle emissioni di CO2 entro il 2030. Proprio a causa del gas naturale.

Con il gas in Africa si rischia un aumento delle emissioni di CO2 del 70% di qui al 2030

Per quanto concerne la crescita di posti di lavoro che la produzione di gas naturale potrebbe generare, Climate Action Tracker stima che l’occupazione nell’industria dei combustibili fossili diminuirà di circa il 75% entro il 2050. Il rapporto suggerisce quindi di investire in fonti energetiche rinnovabili, dal momento che l’Africa ne dispone in abbondanza, riconoscendo l’energia eolica e solare come le fonti più economiche che potrebbero soddisfare la domanda interna ed esterna di energia.

Infine, per comprendere il peso del gas naturale, è bene ricordare che il metano, principale suo componente, è il secondo gas ad effetto serra responsabile dopo la CO2 del riscaldamento globale e dei cambiamenti climatici. Pur avendo un tempo di permanenza nell’atmosfera (12 anni) inferiore all’anidride carbonica, i suoi effetti sono 28 volte maggiori rispetto a quelli della CO2 in un intervallo di tempo di 100 anni, e 86 volte superiori in 20 anni.

Sulla base di tali evidenze, la Valutazione integrata dell’inquinamento atmosferico e dei cambiamenti climatici per lo sviluppo sostenibile in Africa della Climate and Clean Air Coalition (CCAC), in collaborazione con la Commissione dell’Unione Africana e il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP), supporta l’adozione delle energie rinnovabili per il perseguimento degli obiettivi per lo sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 nel continente e per l’aumento dell’efficienza energetica. Attraverso la riduzione delle cosiddette “emissioni fuggitive”: emissioni che “fuggono” nei processi di produzione, stoccaggio e trasporto del gas naturale, oltre che dagli impianti industriali. Secondo i ricercatori, resta indispensabile e urgente l’impegno di tutti i Paesi del mondo non africani nel ridurre le emissioni climalteranti affinché l’Africa non continui a pagare il conto più salato della crisi climatica.