Cos’è la Niña e quali sono i suoi effetti sull’Africa

La Niña è una delle oscillazioni oceaniche cicliche che più hanno impatto sul clima di tutto il mondo. Tre anni consecutivi sono una rarità

Cinque anni di siccità, tre anni di La Niña e sei mesi di guerra russa in Ucraina sono stati la ricetta per mettere oggi 50 milioni di persone nel Corno d'Africa in condizioni di insicurezza alimentare acuta siccità corno d'africa nina etiopia © Silvya Bolliger/Flickr

«Mi addolora dover essere portatore di cattive notizie per una regione che sta già soffrendo la peggiore siccità degli ultimi quarant’anni», ha detto Guleid Artan, direttore del centro regionale di riferimento per l’Africa orientale della World Meteorological Organization (WMO, Organizzazione meteorologica mondiale). «Ma purtroppo i nostri modelli mostrano che stiamo entrando nel quinto anno consecutivo di mancanza di pioggia nel Corno d’Africa».

Quella di Etiopia (Paese devastato da tre anni di guerra civile), Somalia (che è di fatto uno Stato fallito) e Kenya (in piena crisi istituzionale e politica dopo le elezioni) è una delle peggiori catastrofi umanitarie in corso nel mondo. Un laboratorio per gli effetti sistemici della crisi climatica. La guerra dei combustibili fossili in Ucraina ha bloccato le forniture alimentari, l’aumento delle temperature e lo sconvolgimento delle precipitazioni hanno tolto ogni barriera tra la maggior parte della popolazione e la malnutrizione

Gli effetti disastrosi de La Niña

Al cocktail si è aggiunto un altro elemento, forse il più pericoloso. La WMO ha comunicato a fine agosto che questo sarà quasi sicuramente il terzo inverno consecutivo di presenza de La Niña. Una delle oscillazioni oceaniche cicliche che più hanno impatto sul clima di tutto il mondo. La Niña e il suo opposto, El Niño, si abbattono su un clima più fragile e su società meno resilienti. L’effetto è, appunto, disastroso: a questo punto l’Africa orientale non ha più risorse per reggere alla crisi.

Tre anni consecutivi di Niña sono, peraltro, una prima volta per questo secolo. In teoria, questo fenomeno – all’opposto e speculare di El Niño – porta a un raffreddamento su larga scala della superficie dell’Oceano Pacifico. La conseguenza più associata a La Niña è un abbassamento generale delle temperature. Che però nel contesto attuale viene assorbito e si perde nel loro aumento generale a causa del riscaldamento globale causato principalmente dai combustibili fossili. Gli effetti «virtuosi» della Niña sono così stati neutralizzati. Il 2021 è stato tra i sette anni più caldi di sempre e il 2022 è stato pieno di ondate di caldo prolungate e intense.

Gli effetti sistemici ed estremi de La Niña

Ma il problema vero è che gli effetti della Niña sono molto più sistemici ed estremi di un semplice abbassamento delle temperature. Tendono a rendere più piovose alcune zone del mondo (lo abbiamo sperimentato in Asia e Australia) e più secche altre. La siccità peggiore degli ultimi 1.200 anni degli Stati Uniti occidentali è stata aggravata dalla Niña, proprio quando sembrava che, dopo il 2019, potesse attenuarsi.

Le proiezioni mostrano che le precipitazioni dell’Africa orientale saranno molto sotto la norma stagionale in tutti i Paesi già in ginocchio. I mesi che da settembre portano alla fine dell’anno sono un periodo delicato e decisivo nel clima regionale, perché contribuiscono al 70 per cento di tutte le piogge annuali. Perse quelle, ci sarà da attendere e pregare per il settembre 2023. Inoltre, il crollo delle precipitazioni si sta estendendo oltre i confini riconosciuti di questa siccità: sta toccando l’Eritrea, così come ampie zone di Uganda e Tanzania

La crisi alimentare in Corno d’Africa

Il triplo colpo di cinque anni di siccità, di tre anni di La Niña e di sei mesi di guerra russa in Ucraina sono stati la ricetta per mettere oggi 50 milioni di persone nel Corno d’Africa in condizioni di insicurezza alimentare acuta. La scarsità di accesso al cibo si è diffusa come una pandemia. A gennaio del 2022, secondo il Programma alimentare mondiale, 13 milioni di persone rischiavano di morire di fame. Era stato fatto un appello ai donatori e alla comunità internazionale: non c’erano abbastanza fondi o cibo per reggere quella crisi.

Nessuno immaginava cosa ci potesse essere dietro l’angolo: a febbraio è scoppiata la guerra, che ha innescato da una settimana all’altra una crisi alimentare globale. Già a metà dell’anno, nel frattempo, aveva iniziato a essere chiaro che anche nel 2022 non avrebbe piovuto. Il numero delle persone affamate è cresciuto a 20 milioni. Gli appelli si sono fatti più urgenti. La siccità si è aggravata, la guerra non si è fermata. Oggi gli affamati del corno d’Africa sono 22 milioni, quasi il doppio rispetto a gennaio. 

Quasi due milioni di bambini in una situazione di malnutrizione acuta

Quasi due milioni di bambini sono in una situazione di malnutrizione acuta e hanno bisogno di trattamenti medici urgenti per uscirne vivi e con un futuro. Secondo l’Unicef in Etiopia, Somalia e Kenya il numero di persone senza un accesso sicuro all’acqua è cresciuto in soli cinque mesi da 9,5 a 16,2 milioni.

siccità etiopia donne corno d'africa nina © Silvya Bolliger Flickr
Donne nella regione di Oromia, in Etiopia, aspettano che l’acqua venga trasportata con un camion. Le donne e le ragazze camminano fino a 10 ore per andare a prendere l’acqua. Alcune devono lasciare la loro casa già alle 3 del mattino per aspettare che il camion dell’acqua arrivi nel tardo pomeriggio o nella prima serata © Silvya Bolliger/Flickr

La stessa Unicef ha anche raccontato come in molte zone del Corno d’Africa ormai l’unico sistema possibile per ricevere acqua potabile sia comprarla da commercianti che la trasportano di mercato in mercato via autobotte. E, in alcune zone, a dorso d’asino. Per molte famiglie però questo mercato idrico informale è diventato semplicemente troppo caro per potersi permettere di comprare l’acqua per bere e cucinare. In Etiopia è diventata il 50 per cento più costosa rispetto all’inizio del 2021. In Somalia arriva a essere il 75 per cento più costosa. Ci sono contee del Kenya, come quella di Mandera, dove la fornitura idrica costa il 400 per cento in più.