Le proteste per i lavoratori licenziati nella filiera Montblanc
Campagna abiti puliti, Public Eye e Sudd Cobas hanno chiesto di risolvere il caso dei lavoratori pakistani licenziati nella filiera Montblanc
Dopo anni di lavoro in condizioni disumane, tredici lavoratori migranti in una fabbrica che produceva accessori in pelle per il marchio Montblanc del gruppo Richemont hanno raggiunto, con il supporto del sindacato Sudd Cobas, un accordo che ha garantito loro condizioni di lavoro legali. Solo poche settimane dopo, Richemont ha terminato il contratto con la fabbrica, provocando di fatto il licenziamento dei lavoratori.
Ali Hassan e Asghar Muhammad, lavoratori migranti pakistani, producevano borse di lusso in pelle per Montblanc in condizioni di lavoro illegali e di sfruttamento. Dovevano lavorare fino a 70 ore a settimana per circa 3 euro l’ora. Senza giorni di riposo e senza alcuna tutela sociale prevista dalla legge.
Nel febbraio 2023, grazie all’intervento di Sudd Cobas, i lavoratori avevano finalmente ottenuto contratti regolari. Circa quattro settimane dopo la firma dell’accordo, Pelletteria Richemont – filiale italiana del gruppo – ha interrotto il rapporto con la fabbrica. Facendo perdere il lavoro ad Ali Hassan, Asghar Muhammad e ai loro colleghi. Invece di offrire un impiego alternativo o un risarcimento per il danno subito, l’azienda ha avviato una causa contro i rappresentanti di Sudd Cobas. La vicenda è stata documentata da Public Eye.
Le proteste all’Assemblea generale di Richemont, filiera Montblanc
In occasione dell’Assemblea generale annuale di Richemont di quest’anno, il 10 settembre, Ali Hassan e Asghar Muhammad si sono recati a Ginevra insieme ai rappresentanti di Sudd Cobas. Dopo essere stati fermati e allontanati dalla polizia lo scorso anno durante una protesta spontanea all’Agm di Richemont, quest’anno sono tornati per una protesta autorizzata.
Venti persone si sono radunate davanti all’Hotel Intercontinental esponendo striscioni con le scritte “Made in Italy – Shame in Italy”. E “Montblanc – Take Responsibility”. La protesta è stata organizzata da Public Eye, Campagna abiti puliti e dalla rete Clean clothes campaign (Ccc), con il sostegno di numerose altre organizzazioni.
Durante l’Assemblea generale, Public Eye e Sudd Cobas sono intervenuti per riportare il caso all’attenzione. E chiedere alla direzione di Richemont di avviare un negoziato con il sindacato per risolverlo. Il presidente del consiglio di amministrazione, Johann Rupert, ha risposto personalmente, negando tutte le accuse e qualsiasi responsabilità da parte di Richemont.
Florian Blumer di Public Eye ha dichiarato: «Abbiamo prove solide a sostegno di tutte le accuse e continueremo a chiedere a Richemont di risolvere il caso e di mettere in atto meccanismi di controllo efficaci e misure preventive – per il bene dei lavoratori e della reputazione dell’azienda».
«Lo Stato italiano deve intervenire applicando la direttiva europea sulla due diligence»
Dopo aver lasciato l’hotel per unirsi alla protesta, Francesca Ciuffi (sindacalista di Sudd Cobas) ha commentato: «È stato intenso sedersi accanto ad alcune delle persone che, dopo l’Assemblea Generale di oggi, guadagneranno in dividendi quanto un lavoratore Montblanc percepirebbe in poco meno di 800 anni di lavoro. Ma soprattutto è stato molto significativo far arrivare la voce dei lavoratori Montblanc proprio a quelle stesse persone. Le loro risposte non sono state soddisfacenti, ma non ci arrendiamo. C’è sempre spazio perché possano riconsiderarle».
Deborah Lucchetti, coordinatrice nazionale della Campagna abiti puliti, che da anni si occupa di casi come questo, ha dichiarato: «Le imprese non possono scaricare sui lavoratori la compressione dei costi per aumentare i profitti. Casi come quelli dei lavoratori pakistani nella filiera Montblanc a Prato mostrano che lo sfruttamento è diffuso anche nel lusso. Se le aziende non garantiscono condizioni dignitose, lo Stato italiano deve intervenire applicando la direttiva europea sulla due diligence. Basta accordi volontari: servono regole vincolanti».
Comunicato stampa congiunto inviato da: Public Eye, Sudd Cobas, Campagna abiti puliti, Clean clothes campaign




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