Differenziata tessile. Obbligatoria in Italia, ma gli ostacoli non mancano

A gennaio 2022 l'Italia ha introdotto l'obbligo di differenziata tessile, ma il contesto è multiforme e complesso

Rifiuti tessili © djhalcyonic/iStockPhoto

Dal primo gennaio 2022 in Italia è diventata obbligatoria la raccolta differenziata per i rifiuti tessili. Il nostro Paese ha giocato in anticipo rispetto alle normative comunitarie. La direttiva dell’Unione europea 2018/851 sull’economia circolare chiede infatti agli Stati membri di rendere obbligatoria la differenziata del tessile solo a partire dal 2025.

La nuova disciplina approvata dal Parlamento italiano va in ogni caso contestualizzata in una realtà eterogenea come quella del nostro Paese. Per capire quali conseguenze potrà avere sulla nostra società, su quelle con cui intraprendiamo scambi commerciali, così come sul clima, occorre analizzarne molteplici aspetti.

Rifiuti tessili (e non) in Italia: i numeri

Parlando di rifiuti urbani che in Italia vengono prodotti ogni anno, ci troviamo davanti a cifre pro capite incoraggianti. Circa 500 chilogrammi a testa. Il che ci pone a metà fra nella classifica dei Paesi europei . Ma se si analizza il totale, invece, l’Italia è una delle nazioni che ne produce di più (la quinta all’interno dell’Ue).

Ad oggi la quota legata al tessile nella raccolta differenziata ricopre solo lo 0,8-0,9%. Si tratta di circa 2,5 kg a testa per abitante. Con maggiori quantitativi pro capite al nord rispetto a sud e isole. Parliamo di 157mila tonnellate nel 2019 cifra da come riportato sembra aumentare leggermente oggi anno.

Nell’indifferenziata invece circa il 5,7% è costituito proprio da tessile. Si stima anche che ogni cittadino europeo consumi 25 chilogrammi di prodotti tessili l’anno, prosegue il rapporto della Fondazione Sviluppo Sostenibile. Circa la metà ad oggi è smaltita in discariche o inceneritori. Grazie alla normativa europea si può prevedere che i quantitativi di tessile nella differenziata aumenteranno in modo significativo.

Come fare la raccolta differenziata del tessile

Nel concreto, per eseguire la raccolta basterà consegnare il materiale tessile di cui vogliamo disfarci dentro buste chiuse. E lasciarlo nei cassonetti gialli posizionati nelle strade.

Nella differenziata tessile può finire ogni genere di oggetto in stoffa. Tutto ciò dunque che è abbigliamento, tra cui anche la biancheria intima, scarpe e borse, sia stoffe in genere, tende, lenzuola, tovaglie, coperte, tappeti. Inoltre anche vestiti o stoffe lesionate.

moda e tessile alla ricerca della sostenibilità
Moda e tessile: un settore alla ricerca della sostenibilità © Deagreez/iStockPhoto

Molti confondono infatti la raccolta su strada con le donazioni. Queste ultime sono pensate per il riutilizzo dei capi, per cui sono preferibili oggetti ancora in buone condizioni. Nei cassonetti gialli invece possono essere portati anche indumenti strappati o danneggiati. L’obiettivo è infatti utilizzarli come materia prima con cui generare nuovi tessuti.

L’unico aspetto di cui tener conto è evitare tutto ciò che è sporco o particolarmente maleodorante. Ciò in quanto potrebbe compromettere l’utilizzo di abiti invece ancora in buone condizioni, per cui ancora indossabili.

Troppi Comuni italiani ancora privi di un sistema di raccolta differenziata tessile

Tuttavia, l’introduzione della normativa italiana richiederà uno sforzo da parte di quei Comuni che, finora, sono stati meno virtuosi. Basti pensare infatti che fino al 2021 solo il 70% aveva a disposizione isole di raccolta per il tessile. Il recepimento del decreto europeo obbligherà dunque gli enti locali sprovvisti a introdurre sistemi di raccolta.

L’Anci, Associazione nazionale dei Comuni italiani, ha presentato un emendamento al decreto approvato dal Consiglio dei ministri. Viene proposta in particolare la concessione una proroga di almeno un anno. Ciò in quanto la normativa non trova ancora riscontro in direttive precise da parte del ministero della Transizione ecologica.

Quello che viene evidenziato poi in altre sedi è la necessità di un regime di Responsabilità estesa del produttore (EPR). Si tratta un sistema volto a garantire che le spese di smaltimento non pesino sul consumatore finale. Ma incidano invece sui produttori, in base al loro bacino di prodotti commercializzati. Ciò potrebbe rendere concreto il principio secondo cui chi inquina deve pagare.

Chi gestisce la raccolta dei rifiuti tessili?

Per quello che riguarda la gestione la raccolta dei rifiuti, nel caso specifico del tessile è molto spesso affidata a cooperative sociali. Che garantiscono posti di lavoro, a vantaggio anche di categorie protette.

Il costo di questo servizio, però, non è coperto dai Comuni, ma dalla vendita del tessile che raccolgono. Le cooperative infatti prendono in consegna la merce e la rivendono. In più per lo svolgimento dell’attività devono pagare royalties ai Comuni.

Un effetto collaterale della normativa europea è legato proprio ai prezzi. Con grossa probabilità il valore del tessile riciclato scenderà, dato che il quantitativo sarà maggiore. Il rischio è dunque di mettere in seria difficoltà le cooperative.

Dove finiscono i rifiuti tessili dopo la raccolta?

Infine, dopo la raccolta i rifiuti tessili sono avviati presso le successive fasi di elaborazione. Esistono tre possibili destinazioni. Circa il 68/70% è adibito al riutilizzo in quanto ancora in buone condizioni. Un 29% al riciclo del materiale per generarne di nuovo. Il restante 3% smaltito.

Anche se l’Italia risulta abbastanza virtuosa per il modo in cui i rifiuti tessili sono raccolti. Le percentuali di differenziata sono buone, nonostante risulti fra chi ne produce di più in Europa.

Quello di cui sicuramente l’applicazione di questa norma da sola non tiene conto è il contesto globale in cui viene inserita. Il 68% dei rifiuti tessili differenziati viene destinato al riutilizzo. Inoltre, nel report sui rifiuti urbani di Fondazione Sviluppo Sostenibile si legge che la maggior parte finisce in Paesi in via di sviluppo.

Cosa fa la differenziata tessile in Ghana

Le aree verso le quali l’Italia esporta maggiormente sono, ad oggi, l’Europa dell’Est e alcune nazioni africane (Algeria, Niger e Ghana in particolare). Proprio in queste ultime gli effetti sono spesso tutt’altro che positivi.

In Ghana si stima, per esempio, che arrivino circa 15 milioni di capi d’abbigliamento usati ogni settimana. Che provengono non solo dall’Italia ma, più in generale, dal mondo ricco. Di questi, il 40% finisce automaticamente scartato a causa della scarsa qualità.

Un sistema poco sostenibile, alimentato dalla totalmente insostenibile fast fashion. Anche ciò che è assorbito dal mercato della compravendita degli abiti usati avrà infatti vita breve, a causa della qualità spesso scarsa dei materiali.

A quel punto, gli articoli scartati finiscono inevitabilmente nelle discariche. Per poi raggiungere, in molti casi, oceani e falde acquifere. In Africa in prossimità dei mercati d’abbigliamento si sono da tempo create discariche a cielo aperto. È il caso della capitale del Ghana, Accra. Spesso, inoltre, le fibre sono trattate chimicamente. E una volta disperse nell’ambiente contaminano gli ecosistemi.

Rigenerare industrialmente i materiali

L’obiettivo del ministero della Transizione Ecologica per il comparto dei rifiuti tessili è di raggiungere un livello di recupero pari al 100%. Creando dei veri e propri textile hubs e riorganizzando la filiera. Si prevede uno stanziamento di 150 milioni di euro, di cui 90 dedicati al centro ed sud e ed i restanti 60 al nord.

Occorrono tuttavia cambiamenti molto radicali a livello di filiera produttiva. Si tratta di traguardi ambiziosi che probabilmente necessitano di sforzi maggiori, sia da parte delle istituzioni che da parte delle aziende.

I cenciaioli

La notizia positiva è che parte della soluzione, forse, può passare dalla nostra stessa storia. Per generare un sistema di economia circolare ci si può basare infatti su una tradizione molto antica: quella dei cenciaioli. Basata giustappunto sui “cenci”, in particolare sulle fibre della lana.

Nel dopoguerra, a Prato, stracci provenienti da varie parti del mondo venivano smistati, si selezionavano quelli in lana a quel punto si dividevano per colore e consistenza, in modo da poter creare un nuovo tessuto. Tale tradizione molto diffusa alla metà del secolo scorso è andata via via perdendosi quasi del tutto. Le dinamiche produttive industriali sempre più veloci e volte al profitto immediato hanno ucciso la nicchia artigianale.

Se questo è vero per la lana, vale anche per molti altri materiali ma esiste comunque un numero massimo di volte che ogni fibra può essere rigenerata. La lana e il cashmere possono essere rigenerati fino a quattro volte, il cotone solo due. Mentre i sintetici come il nylon possono essere rigenerati infinite volte ma rischiano di perdere le caratteristiche tecniche, impoverendosi.

Ad oggi ci sono realtà che operano in questo senso con un’ottica innovativa e di economia circolare.

Eco design

In conclusione, tenendo conto della realtà globale in cui viene inserito l’obbligo della differenziata tessile, è evidente che per un effettivo apporto positivo sono ancora moltissimi i passi da fare. Primo fra tutti, l’implementazione della percentuale di recupero, migliorando le infrastrutture ricettive e promuovendo l’eco design.

Quest’ultimo indica la filosofia che porta a produrre capi o oggetti in un’ottica di facile riciclabilità o riutilizzo dei materiali. Inoltre, in quest’ottica i rifiuti tessili rappresentano una vera e propria materia prima, appetibile per le aziende di moda, arredamento e design.