Le ragazze terribili: 36 anni di musica, cultura e sorellanza in Sardegna
Nel 1988 un gruppo di amiche decise di portare in Sardegna artiste e artisti dai palchi di tutta Europa. Nacque così La ragazze terribili
Quella de Le Ragazze Terribili è innanzitutto la storia dal futuro di quattro amiche: Barbara Vargiu e le sue colleghe Rossana Polo, Ida Vargiu e Gabriella Sini. Si conoscono da quando andavano alla scuola media, hanno condiviso praticamente tutto. La loro vita a Sassari è, come solo in un’isola può essere, stimolante ma anche limitante di tante esperienze. Per questo girano il mondo per andare ai concerti, viaggiano per inseguire le loro artiste e i loro artisti preferiti. Cantanti e musiciste e musicisti che, sull’isola, difficilmente approdano.
Diventano grandi sognando di poter portare nella loro città, nella loro isola, quelle stesse esperienze. E poi ci provano, nel 1988 con un’associazione culturale, e dal 2005 con una cooperativa. Entrambe le realtà portano un nome che racconta il percorso dello stesso gruppo di amiche che ha passato l’adolescenza sotto i palchi rock d’Italia e d’Europa: Le ragazze terribili.

Una realtà al 100% femminile
«ll nucleo originario – racconta Vargiu – è rimasto sempre lo stesso. Siamo donne che si frequentano da 40, 45 anni. Negli anni si sono innestate diverse altre figure, tutte femminili». Questo è un elemento caratterizzante della cooperativa. Le ragazze terribili è una realtà al 100% femminile: «Anche noi viviamo la questione del bilanciamento di genere, ma in maniera opposta a quella usuale».
«Nel tempo – spiega – ognuna di noi si è specializzata in un determinato ambito professionale. Questo ci ha permesso di avere una divisione dei ruoli e dei compiti molto efficace. C’è chi si occupa di logistica e amministrazione, chi dei rapporti con il personale, di transfer, della gestione degli artisti. Anche perché – sottolinea – non è affatto semplice portarli fisicamente in Sardegna! C’è chi si occupa del budget, gestisce stipendi e cachet, chi della logistica e degli allestimenti e poi ci sono io, che ho un po’ la visione di insieme, mi occupo di progettazione, relazioni esterne e rapporti istituzionali. Mi piace pensare che sono impegnata a pensare sempre nuovi modi perché possiamo continuare a gettare il cuore oltre l’ostacolo».
«Essere una realtà completamente al femminile – spiega – è un elemento caratterizzante per diverse ragioni». Innanzitutto perché spesso ragione di discriminazione: non necessariamente materiale, ma «si vede che quando sono le donne a fare, a riuscire a fare, questo infastidisce». Proprio per questo la cooperativa si pensa anche come uno strumento, più o meno diretto, di sorellanza ed empowerment. «Siamo cresciute insieme – racconta Vargiu – e questo vuol dire che, materialmente, abbiamo attraversato tutte le nostre fasi di vita personale e professionale insieme. Siamo passate dall’essere imprenditrici all’essere imprenditrici mamme con una facilità che, probabilmente, in altri contesti non avremmo avuto. Quando lavori con altre donne, con sole donne, la gestione della gravidanza, dell’arrivo dei figli, per esempio, è diversa. C’è comprensione, ci si copre le spalle a vicenda».
La cultura come elemento di coesione sociale
La visione sul futuro delle ragazze in Sardegna si accompagna anche a una riflessione più ampia sulle opportunità. Tema che Barbara ha approfondito nei suoi studi e con un master sulla prevenzione del disagio che le ha lasciato la consapevolezza che migliorare la qualità della vita delle persone vuol dire anche allontanarle dal pericolo della devianza.
Anche i concerti possono farlo: «Certo, non è solo questo che aiuta: ci sono le buche per strada, le bollette da pagare, i contesti geografici, ma la cultura ha un ruolo sociale di coesione enorme. Sotto un palco – riflette – siamo uguali. Condividiamo emozioni anche con persone molto diverse da noi, che siano l’artista o chi, come noi, sta partecipando all’evento». La cultura unisce, spiega, emancipa; perché rende consapevoli che non è necessario accontentarsi di contesti limitanti. Come è stato per questo gruppo di amiche. «Visti gli scenari internazionali che si prefigurano, è importante ricordarcene».

36 anni di eventi
I 36 anni di Le Ragazze Terribili sono un fiume di eventi: «Abbiamo fatto cose da giganti. Nasciamo col rock, ma poi ci siamo spostate sulla musica d’autore, sia nazionale che internazionale. Abbiamo portato in Sardegna artisti come Daniele Silvestri, Max Gazzè, i CCCP, Samuele Bersani, Vinicio Capossela, Ivano Fossati, Fiorella Mannoia ma anche Marianne Faithfull, Rickie Lee Jones, Caetano Veloso». Nel 2002, racconta, al concerto di Ligabue hanno partecipato 14mila persone.
La loro storia ha una serie di date segnanti: nel 1996 nasce Abbabula, che quest’anno vedrà la partecipazione, tra gli altri, di Lucio Corsi e Brunori Sas. Il festival è ormai punto di riferimento non soltanto in Sardegna. «Abbabula – spiega – è la contrazione dell’espressione sarda Abba a sa bula, che significa Acqua alla gola e che spiega anche il contesto nel quale ci siamo trovate a operare, a fare spettacolo». Nel 1997 arriva quello che Vargiu definisce il vero spartiacque: il concerto di Fabrizio De André al Palasport di Sassari. «Un’esperienza meravigliosa ma soprattutto la nostra scelta di diventare grandi, di diventare professioniste».
Di esperienze forti in questi 36 anni ce ne sono state tante: «Una delle più belle – racconta – è stata nel 2023 in Libano, nell’ambito di un progetto internazionale. Avevamo realizzato una produzione musicale sulla maschera del Mamuthones (maschera tipica del carnevale sardo, ndr) che abbiamo portato in giro per l’Europa e non solo. L’approdo in Libano è stato una delle esperienze più forti. Abbiamo conosciuto una realtà così distante dalla nostra, ci è rimasta nel cuore». In generale l’esperienza di lavorare con il pubblico è sempre molto forte. «È un’esperienza creativa. Tu sei lì che hai pensato un progetto, a guardare gli esiti del tuo processo creativo. E vedere che si riflettono nei sorrisi e nell’entusiasmo del pubblico è molto bello».

Un futuro in cui le ragazze possono essere tutto quello che vogliono
Non ci sono stati però solo concerti. Negli anni si sono sviluppati diversi filoni di lavoro tra cui quello della formazione, della convegnistica, complice anche la pandemia e l’impossibilità di realizzare eventi pubblici. «C’è stato un momento in cui non si vedeva la riva, non si vedeva niente all’orizzonte. Abbiamo iniziato a lavorare su questo innanzitutto per continuità di reddito, ma poi è diventato un filone caratterizzante delle nostre attività. Lavoriamo con l’Università, con le Camere di Commercio, con altri enti istituzionali: formiamo i giovani che saranno il pubblico – ma forse anche gli operatori culturali – di domani».
Quella di Le ragazze terribili è una storia dal futuro perché, finalmente, racconta di un mondo in cui per le ragazze, specie per quelle provenienti da contesti di fragilità sociale, ci siano le stesse opportunità che hanno i propri coetanei maschi. Ed è una storia efficace perché dimostra che non solo quel futuro è possibile, ma che è già qui. «Siamo donne in un contesto che, per quanto discriminante, non riesce a impedirci di fare quello che facciamo. In molti altri luoghi del mondo non è così. Io mi sveglio la mattina felice di andare a fare il lavoro che amo. Quante donne, nel mondo, possono dirlo?».
Per questo la cooperativa vuole essere di stimolo anche per le più giovani. «Pensare di essere d’esempio a una ragazzina che oggi ci vede e pensa che anche lei può diventare organizzatrice di eventi è un elemento di stimolo. Le nostre figlie devono crescere sapendo che possono diventare tutto quello che vogliono: astronaute, ingegnere, camioniste, meccaniche. Nulla è loro precluso».
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