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Rapporto choc: i cambiamenti climatici provocano 467 “piaghe”

La rivista Nature Climate Change ha analizzato 3300 studi sul clima. Ha individuato centinaia di effetti negativi. Che coinvolgeranno la metà della popolazione mondiale

Andrea Di Stefano
Andrea Di Stefano
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Un nuovo rapporto choc. A pubblicarlo questa volta è Nature Climate Change che, nell’articolo certifica i rischi per la salute umana prodotti dai cambiamenti climatici. Per stimare gli effetti gli autori – una ventina di ricercatori di tutto il mondo, tra i quali spicca il climatologo inglese Ed Hawkins responsabile del progetto di open science Climate Lab Book, hanno passato al setaccio più di 3300 studi e ricerche pubblicate a partire dal 1980 sul clima.

89 capitoli, 10 fenomeni, 6 ambiti di vita

Sono stati identificati dieci fenomeni che toccano sei aspetti cruciali della vita umana: salute, alimentazione, economia, acqua, infrastrutture e sicurezza declinati in 89 sotto capitoli.

L’analisi ha permesso di identificare 467 differenti effetti negativi: dai decessi e le malattie causate dalle inondazioni, incendi e ondate di calore alla distruzione di infrastrutture per effetto di eventi estremi e crescita dell’acqua, dalla perdita di posti di lavoro e la diminuzione della produttività alla crisi del turismo causata dall’acidificazione dei mari e la deforestazione.

Le conclusioni sono in alcuni casi molto allarmanti: una persona su tre rischia di morire per le ondate di calore e metà della popolazione mondiale sarà sottoposta a tre rischi simultanei prodotti dai cambiamenti climatici entro la fine del secolo.

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Marsiglia senz’acqua, Sidney e Los Angeles pure

Nel 2100, se le emissioni di CO2 continuassero al ritmo attuale, ad esempio, Marsiglia dovrebbe far fronte a un aumento del riscaldamento globale, siccità, ondate di calore e incendi, un innalzamento del livello del mare, una riduzione della disponibilità di acqua potabile e cambiamenti del mare (temperatura, acidità e ossigeno), la cui forza cumulativa sarà equivalente a tre dei rischi più estremi mai registrati in qualsiasi parte del mondo.

Altrove nel mondo, Sydney e Los Angeles si troveranno ad affrontare la stessa situazione, il Messico con quattro pericoli cumulativi di massima intensità e la costa atlantica del Brasile a cinque.

«Questa ricerca conferma che il costo dell’inazione supera di gran lunga il costo della lotta ai cambiamenti climatici», ha dichiarato Michael Mann, climatologo dell’Università della Pennsylvania (USA). Possiamo ancora limitare i danni e le sofferenze future se agiamo rapidamente e in modo determinato per ridurre le emissioni di carbonio.

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Governi inerti, soluzioni dal basso

Ma di fronte ai governi «a rischio di retrocedere da un momento all’altro», la soluzione potrebbe venire dal basso, afferma Camilo Mora, professore associato del dipartimento di geografia, Università delle Hawaii e primo autore dello studio: «gli standard sociali ci renderanno tutti più consapevoli delle nostre emissioni e della necessità di limitarle insieme. mentre i politici dovranno allinearsi per trovare soluzioni senza le quali non saranno eletti».

Gli scienziati hanno realizzato una serie di mappe interattive, dalla temperature dell’acqua e del livello del maree agli incendi. E tre video che evidenziano chiaramente cosa cambierebbe tra lo scenario attuale (business as usual) e se si introducessero interventi per una mitigazione moderata o una mitigazione più consistente.

Le conseguenze sull’atmosfera nello scenario attualeLe conseguenze sull’atmosfera in caso di mitigazione moderataLe conseguenze sull’atmosfera in caso di mitigazione forteCO2, nuovi picchi in atmosfera

All’origine dei fenomeni il picco di CO2 nell’atmosfera. I gas serra hanno raggiunto nuovi picchi di concentrazione atmosferica nel 2017, in particolare la CO2, che è di gran lunga il più grande contributore al riscaldamento globale.

L’anno scorso, la concentrazione di anidride carbonica ha raggiunto 405,5 ppm (parti per milione), con un aumento dello 0,32% rispetto al 2016 e del 5,66% rispetto al 2007 (quando era 383,79 ppm).

Prima del periodo industriale, quindi alla fine del 19° secolo, la concentrazione di CO2 era in media di 278 ppm ed era rimasta stabile per migliaia di anni prima di aumentare a causa delle attività umane: la combustione di carbone, petrolio, la produzione di cemento, i trasporti e la deforestazione.

CO2 in atmosfera. Concentrazioni stabile per 1000 anni. FONTE: Le Monde su dati Organizzazione meteorologica Mondiale, Agenzia americana d'osservazione oceani e atmosfera, Centro d'analisi e informazione su CO2
CO2 in atmosfera. Concentrazioni stabile per 1000 anni. Poi da fine 800 l’impennata. FONTE: Le Monde su dati Organizzazione meteorologica Mondiale, Agenzia americana d’osservazione oceani e atmosfera, Centro d’analisi e informazione su CO2

Il trend dell’aumento della concentrazione di CO2 nell’atmosfera è emblematico: siamo partiti da 0,86 ppm all’anno per gli anni ’60, di 1,90 ppm per gli anni 2000, e abbiamo raggiunto 2,39 ppm all’anno per il periodo 2010-2017.

Cambiamenti climatici, conseguenze irreversibili

«I dati scientifici sono inequivocabili. Senza una rapida riduzione delle emissioni di gas serra, comprese le emissioni di CO2, i cambiamenti climatici avranno conseguenze irreversibili e sempre più distruttive per la vita sulla Terra», ha affermato l’Organizzazione meteorologica mondiale (WMO), un’agenzia delle Nazioni Unite. «L’ultima volta che la Terra aveva un contenuto di CO2 paragonabile era da 3 a 5 milioni di anni fa: la temperatura era più alta di 2 o 3 °C e il livello del mare era 10 a 20 metri dal livello attuale», ha aggiunto il segretario generale dell’OMM Petteri Taalas.