Il rapporto Deloitte dice che il calcio europeo va contro i suoi tifosi

Il rapporto Deloitte spiega come il nuovo paradigma scelto dai padroni del calcio contro i tifosi alla lunga potrebbe rivelarsi insostenibile

I tifosi della Bundesliga sono tra i pochi a resistere © BalkansCat/iStockPhoto

Il calcio europeo continua a crescere economicamente, ma per farlo ha deciso di cambiare la sua ragione sociale, a suo rischio e pericolo. Lo si evince dall’Annual Review of Football Finance 2025. Il rapporto Deloitte, giunto alla sua trentaquattresima edizione, si riferisce alla stagione 2023-24. E ci conferma alcune cose. La Premier League oramai è un mondo a parte, da sola vale più la metà degli altri quattro grandi campionati europei messi insieme. Il declino della Serie A è inesorabile. Oramai è surclassata anche dal punto di vista economico dal calcio spagnolo e tedesco, attende solo di essere superata dal disastrato calcio francese. La nuova frontiera del fatturato sono i ricavi commerciali, e non più quelli televisivi.

Poi, a sorpresa, il rapporto Deloitte lancia un vero e proprio avvertimento. Non fatevi ingannare dal fatturato in crescita, dice, perché il calcio è anche altro. E se i padroni se lo dimenticano, rischiano di vederselo esplodere tra le mani. Si riferisce all’eccessivo aumento dei prezzi dei biglietti. Ovvero all’ultima grande trasformazione in atto nel pallone, frutto della costruzione dei nuovi lussuosissimi stadi e della corsa ai nuovi introiti commerciali in sostituzione di quelli televisivi. In pratica, avverte il report, il calcio europeo (Germania esclusa?) per continuare a galleggiare nel mare del debito ha dichiarato guerra ai suoi tifosi. Ma per quanto potrà durare?

I numeri del rapporto Deloitte: la Premier League è un mondo a parte

Guardando ai numeri, l’analisi del rapporto Deloitte ci dice che il mercato calcistico europeo nella stagione 2023-24 ha registrato un fatturato record di 38 miliardi di euro. Con una crescita dell’8% rispetto alla stagione precedente. Di questi, 20,4 miliardi (+4%) provengono dai cinque grandi campionati europei. Domina la Premier League con 7,4 miliardi. Grazie anche a una distribuzione record dei diritti televisivi, tra mercato interno e mercato estero si arriva a circa 4 miliardi di euro l’anno, il 53% di tutti i ricavi.

Seguono la Bundesliga tedesca e la Liga spagnola con 3,8 miliardi. Qui i ricavi dei diritti televisivi coprono meno della metà del totale e si segnala la crescita di quelli commerciali, arrivati al 46% per la Germania e al 34% per la Spagna.

I ricavi commerciali della Premier, i più alti in assoluto (2,4 miliardi contro 1,8 della Bundesliga e 1,3 della Liga), incidono di meno a livello percentuale solo per la mostruosità di quelli televisivi ancora in essere in Inghilterra. La stessa considerazione era emersa dalla lettura che Valori aveva fatto del Uefa Report 2025, dove si raccontava che i ricavi commerciali assoluti (8,9 miliardi) per la prima volta avevano superato quelli televisivi (8,2 miliardi). E questo è il grande cambio di paradigma nell’orizzonte economico-finanziario del calcio europeo.

I numeri del rapporto Deloitte: la Serie A è in crisi nera

Una mutazione genetica evidente guardando a Italia e Francia. La Serie A precipita perché riceve solo il 33% da ricavi commerciali. Prigioniera di vecchi dirigenti, incapaci di esplorare nuove frontiere, dipende ancora per il 51% dai diritti tv, avverte il rapporto Deloitte. Nonostante questi siano stati negoziati al ribasso con Dazn. Per capirci, in Serie A arriva dalle tv meno di 1 miliardo l’anno, contro gli oltre 4 della Premier. In Francia invece, dove i diritti tv sono addirittura saltati, questi incidevano solo per il 28% a fronte del 61% proveniente da ricavi commerciali. Risultato finale: fatturato complessivo della Serie A in discesa a 2,9 miliardi. Quello della Ligue 1 in salita, nonostante tutti i problemi, a 2,5 miliardi.

I numeri presi in esame sono ancora più impressionanti se si guarda allo storico. Il rapporto Deloitte infatti mostra come i ricavi complessivi dei cinque grandi campionati europei nella stagione 1996-97 (quando la Serie A con 551 milioni di euro era seconda dietro alla Premier con 685) erano di meno di 2,5 miliardi. Un decimo di quelli attuali. Nella stagione 2014-15 (l’Italia era già precipitata al quarto posto) erano di 12 miliardi, la metà di oggi. Oltre all’aumento dei ricavi commerciali – con la trasformazione del calcio in uno sport sul modello americano, dove si vende un brand completamente scollegato dalla sua ragione sportiva – colpisce un altro dato.

«Bilanciare la crescita commerciale con il calcio inteso come risorsa della comunità»

I numeri dei ricavi da stadio (matchday) sono ancora bassi. Valgono circa il 15% dei ricavi complessivi dei cinque grandi campionati. Ma sono in continuo e costante aumento. Tranne che in Bundesliga (-2%) dove le proteste dei tifosi hanno costretto i club (che ricordiamo sono partecipati per legge dagli stessi tifosi al 50% + 1) a ridurre i prezzi dei biglietti. Nella stagione 2023-24 in Liga i ricavi da stadio sono aumentati del 28% rispetto all’anno precedente. In Premier League del 10%. In Ligue 1 del 6% e in Serie A del 2%. Questo è dovuto, anche e soprattutto, alla costruzione dei nuovi stadi e all’aumento del prezzo dei biglietti.

Tanto che addirittura una società di revisione contabile alfiere del più spregiudicato neoliberismo è costretta a segnalare i rischi di queste politiche. «Le continue proteste dei tifosi riguardo al prezzo dei biglietti e all’accessibilità dimostrano la sfida nell’era moderna di bilanciare la crescita commerciale con l’essenza storica del ruolo e della posizione di un club calcistico nella società come risorsa della comunità», scrive il rapporto Deloitte. Va bene aumentare i ricavi commerciali e da stadio, ma se questo significa andare contro i propri tifosi, e contro la ragione sociale stessa del pallone, per quanto potrà durare questa folle corsa all’oro?

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