Gli azionisti critici al fondo sovrano norvegese: «Esca da Rheinmetall»
Assemblea a porte chiuse per il colosso degli armamenti. Gli azionisti attivi chiedono al fondo pensione norvegese di non finanziare la guerra in Yemen
L’anno scorso l’assemblea degli azionisti del gruppo tedesco degli armamenti Rheinmetall si era risolta in uno scontro fisico tra circa 50 azionisti critici e la polizia, costretta a trascinare fuori con la forza i rivoltosi dopo un’ora di occupazione del tavolo assembleare. Di fronte all’hotel Maritim di Berlino, scelto come sede dell’incontro, variopinti gruppi pacifisti intonavano canti e cori e al microfono si alternavano attivisti, politici, sindacalisti. Altri tempi.
Quest’anno l’assemblea si è svolta alla sede storica di Düsseldorf, in Rheinmetall Platz 1, a porte chiuse e in diretta streaming, senza però la possibilità per gli azionisti di interagire con l’imperturbabile amministratore delegato bavarese, Armin Papperger.
Ora #agmrheinmetall. Manifestazione degli attivisti che entrano in assemblea, polizia sgombera e vengono sequestrati i cellulari. Ecco l'audio di quello che sta succedendo con @meggio_m. Segui tutto sulle nostre storie di instagram. #Rheinmetall #armi #yemen #bombe pic.twitter.com/K5urIyfjqq
— Fond. Finanza Etica (@FFinanzaEtica) May 28, 2019
Niente “sceneggiatura” per gli azionisti attivi
Non che l’interazione abbia mai portato a qualche risultato apprezzabile, però osservare lo sguardo immobile del capo, fisso verso il vuoto mentre si leggevano al microfono i tragici numeri della guerra in Yemen – 100mila morti dal 2015 e almeno 12mila vittime tra i civili in attacchi diretti, anche con bombe marchiate Rheinmetall – faceva ormai parte della sceneggiatura. In una delle assemblee più spoglie e monotone della storia recente, in un salone senza finestre, ricoperto di moquette in ogni angolo e popolato soprattutto da pensionati avidi di wurstel, minestroni, fricassea di pollo e birra alla spina, tutto gentilmente offerto dalla ditta.
Agli azionisti, quest’anno, non è restato che stare ad ascoltare, davanti al computer, nel tinello di casa, le risposte misurate e imbottite di «no comment» di “Arminio la sfinge” alle domande che si potevano inviare via mail. Stando bene attenti a trascrivere ogni sfumatura, perché una parola perduta lo è per sempre, visto che in Germania non usa rendere pubblici i verbali delle assemblee.
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Ancora più soldi con le armi
Nel 2019 l’azienda tedesca ha ulteriormente aumentato il suo fatturato dell’1,74% (rispetto al 2018), a 6,25 miliardi di euro, di cui 3,52 miliardi (+9,34%) dall’industria militare e 2,74 miliardi (-6,62%) dal settore automobilistico. Il risultato operativo è stato pari a 505 milioni di euro, in crescita costante dal 2014, a cui ha contribuito in maniera preponderante (68%) il comparto militare, che ha avuto una redditività (margine EBIT) pari al 9,8%, sensibilmente superiore al 6,7% del comparto civile. In crescita costante anche il dividendo, che è passato dagli 0,30 euro per azione del 2014 ai 2,40 euro del 2019, per la gioia degli azionisti. Per la stragrande maggioranza (76%) si tratta di investitori istituzionali, come fondi comuni di investimento e fondi pensione, mentre poco più del 20% è costituito da privati cittadini. Nessuno, tra gli azionisti, ha un potere di controllo, l’azionariato è diffuso e l’impresa, come si dice, è “in mano ai mercati”.
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Manovra a tenaglia
Ed è proprio ai mercati che gli azionisti critici, stanchi di rimbalzare sul muro di gomma del consiglio di amministrazione, si sono rivolti quest’anno. Proprio nel giorno dell’assemblea generale, un gruppo di investitori istituzionali e ONG europee – guidato dalla rete europea di azionariato attivo SfC-Shareholders for Change e da due dei suoi soci fondatori, la tedesca Bank für Kirche und Caritas (BKC) e Fondazione Finanza Etica (Banca Etica) – ha deciso di inviare una lettera al più noto tra gli azionisti di Rheinmetall: il fondo pensione norvegese, il più grande fondo sovrano al mondo, con 930 miliardi di euro di patrimonio investito.
Gli investitori critici (coordinati da @FFinanzaEtica e con sostegno di @ReteDisarmo) chiedono al fondo sovrano norvegese di riconsiderare il suo investimento in #Rheinmetall, che fornisce bombe all’Arabia Saudita per la guerra nello #Yemen.https://t.co/BBejBBIEuz
— Rete Italiana Pace e Disarmo (@RetePaceDisarmo) May 19, 2020
«Abbiamo scelto di adottare una manovra a tenaglia», ha dichiarato Tommy Piemonte, responsabile della ricerca sulla sostenibilità di BKC, «aggirando la società e chiedendo a uno dei suoi principali investitori di vendere le azioni, per motivi etici, ma non solo: detenere Rheinmetall in portafoglio espone anche a rischi di cause legali e sanzioni che possono avere impatti negativi sul bilancio della società».
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Investire in armi non è etico
Il fondo pensione norvegese, istituito nel 1990 per investire gli utili pubblici del settore petrolifero norvegese, è stato anche il primo fondo sovrano al mondo a dotarsi – nel 2004 – di una policy di selezione degli investimenti secondo criteri di sostenibilità e di un comitato etico, chiamato a sorvegliare l’applicazione dei criteri. E in effetti, negli anni, il fondo ha escluso dal portafoglio decine di imprese, tra cui Philip Morris (tabacco), Rio Tinto (settore minerario), Vedante Resources (carbone) o Airbus (armi nucleari), considerate in contrasto con le linee guida etiche. La partecipazione del 2,57% in Rheinmetall (circa 116 milioni di euro in termini assoluti), però, non è mai stata toccata.
«Riteniamo che investire in Rheinmetall sia in netto contrasto con le linee guida del fondo», continua Piemonte. «Ci siamo appellati al Comitato Etico facendo esplicito riferimento ai criteri approvati». In base alla sezione 2.1 delle linee guida, infatti, il Fondo «non investe in società che […] producono armi che, attraverso il loro normale utilizzo, violino i diritti umani fondamentali».
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Possibili violazioni dei diritti umani
L’11 dicembre 2019, un gruppo di organizzazioni per i diritti umani guidate dal Centro europeo per i diritti umani e costituzionali di Berlino (ECCHR), dall’organizzazione yemenita per i diritti umani Mwatana e da Rete Italiana per il Disarmo, ha presentato alla Corte penale internazionale dell’Aia un esposto contro i produttori di armi, tra cui Rheinmetall, che avrebbero consapevolmente sostenuto le violazioni di diritti umani nello Yemen, fornendo armi all’Arabia Saudita. Il caso al momento è aperto, ed è proprio su questo che fanno leva gli azionisti critici.
In attesa di un dialogo con il fondo norvegese
«Speriamo di riuscire a convincere il fondo pensione norvegese, in quanto importante azionista, a fare pressione sugli amministratori di Rheinmetall per evitare, nello stesso interesse del fondo, i rischi reputazionali e legali legati all’investimento e i conseguenti, possibili rischi finanziari», spiega Tommy Piemonte.
La lettera è stata co-firmata, tra gli altri, da Rete Italiana per il Disarmo, Comitato Riconversione RWM per la pace ed il lavoro sostenibile, dalla banca etica tedesca GLS Bank, da ECCHR, Greenpeace Germany, dall’ong Urgewald, dalla Pax Bank e dal Corporate Responsibility Interface Center (CRIC).
Il primo obiettivo che i firmatari si propongono è la fissazione di una conference call con il Comitato Etico del fondo norvegese per illustrare tutti i dati a supporto dell’ipotesi di violazione delle linee guida. Per poi far avviare, nella migliore delle ipotesi, il processo di revisione dell’investimento da parte del fondo.
Giovedì 21 maggio alle 18 si terrà un evento online su Rheinmetall organizzato dal Comitato Riconversione RWM. Ci si potrà collegare dalla pagina Facebook del Comitato.