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Assemblea RWM: azionisti attivi contro le bombe in Yemen. Irrompe la polizia

Un corteo, proteste e le domande degli azionisti attivi. Ma, niente da fare, Rheinmetall continuerà a produrre bombe e ad esportarle, dall'Italia, all'Arabia Saudita

Madi Ferrucci
La polizia tedesca interviene all'assemblea Rheinmetall a Berlino. Gli azionisti attivi protestavano contro le bombe prodotte dall'azienda e usate per la guerra in Yemen
Madi Ferrucci
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Un’assemblea degli azionisti decisamente movimentata, quella del colosso di armamenti tedesco Rheinmetall, che si è tenuta martedì scorso (il 28 maggio) all’hotel Maritim di Berlino. Un ordine del giorno senza particolari temi caldi (la presentazione del bilancio aziendale dello scorso anno e i nuovi piani di sviluppo futuri). Almeno in teoria. In realtà a “rovinare” la tranquillità del Cda sono arrivati numerosi attivisti, in corteo fuori dall’edifico dell’assemblea e pronti alla protesta dentro la sala, e azionisti attivi. Tutti per contrastare la produzione di armi da parte dell’azienda. Armi prodotte in Italia, esportate in Arabia Saudita e usate per alimentare la lunghissima guerra in Yemen. Proteste che hanno colto di sorpresa l’azienda. E la polizia, che è intervenuta, con maniere non proprie delicate.

Dalla Sardegna all’Arabia Saudita allo Yemen

Attraverso la filiale all’estero RWM Italia con sede a Domusnovas, in provincia di Cagliari, Rheinmetall esporta da anni bombe della serie MK 80 verso l’Arabia Saudita, che le utilizza per bombardare i ribelli sciiti Houthi in Yemen.

Dall’inizio del conflitto nel marzo del 2015 i sauditi si sono resi colpevoli di svariate violazioni dei diritti umani, colpendo speso obiettivi civili senza risparmiare ospedali, scuolabus e villaggi.

Yemen: le bombe made in Italy che uccidono i civili. L’inchiesta di TPI svela il business di armi tra Arabia Saudita e Italia

Fuori: il corteo pacifista…

Per protestare contro l’export di armi, prima dell’inizio dell’assemblea un lungo corteo pacifista ha percorso la strada che dall’ambasciata saudita conduce a quella turca, altro importante acquirente dei prodotti dell’azienda tedesca. Di fronte all’hotel proseguono le dimostrazioni dei manifestanti mentre una lunga fila di azionisti attende paziente all’entrata. In fila però non ci sono soltanto uditori fiduciosi, ma anche una cinquantina di attivisti vestiti in abito elegante, pronti a bloccare l’assemblea.

…dentro: gli attivisti (e la polizia)

All’interno dell’edificio i partecipanti sono accolti in una grande sala. Il consiglio di amministrazione già li attende seduto intorno ad un lungo tavolo rialzato. Non appena il Ceo dell’azienda Armin Papperger sale sul podio e apre il microfono per salutare i presenti, una cinquantina di attivisti circondano il tavolo, impedendogli di parlare. Sfoderano striscioni contro la guerra e gridano in coro un’unica frase:

«Le armi e denaro tedesco portano morte in tutto il mondo. Iran, Irak, Syria, Turchia, in ogni porcheria c’è sempre di mezzo Rheinmetall».

Solo dopo un’ora la polizia riesce a trascinare fuori di peso tutti gli attivisti ed Herr Papperger è costretto a procedere con la sua relazione in estremo ritardo.

Un Ceo impassibile elenca i successi dell’azienda

Tornato il silenzio però l’intervento del Ceo ha inizio (come se nulla fosse accaduto): il 2018 è un anno di successo, il bilancio si chiude con un fatturato di 6,1 miliardi di euro. Rispetto all’anno precedente si tratta di un aumento complessivo del 4,3%, mentre nel settore degli armamenti la crescita è addirittura del 7,9% (la società è attiva anche nel settore automobilistico). L’utile netto ammonta invece a 492 milioni di euro.

Arriva il turno degli azionisti attivi

Una volta terminati i lunghi interventi dei rappresentanti dell’azienda, è il turno degli azionisti singoli che possono porre domande e sollevare riflessioni. Anche quelli più critici. In qualità di azionista critico è presente Mauro Meggiolaro, la sua relazione è a nome della Fondazione Finanza Etica, mentre per la banca cattolica tedesca Bank für Kirche und Caritas interviene Tommy Piemonte. Le due istituzioni sono tra i soci fondatori della rete europea di azionisti attivi, SfC-Shareholders for Change, con investimenti per un totale di circa 140 miliardi di euro (link ad articoli su SfC).

Mauro Meggiolaro porta in assemblea anche le domande di Rete Italiana per il Disarmo, che coordina oltre 20 organizzazioni pacifiste italiane.

Le domande

Una prima domanda riguarda la possibilità che rientri nei piani aziendali la riconversione ad usi civili della fabbrica. Segue la richiesta di chiarimenti sulla decisione di ampliare lo stabilimento con altri due reparti produttivi, che a gennaio scorso ha spinto le associazioni pacifiste a presentare un ricorso al Tar Sardegna. In conclusione, Fondazione Finanza Etica ha chiesto conto della realizzazione di un campo prove destinato agli esplosivi a ridosso della zona di importanza comunitaria Monte Linas Marganai.

Secondo il testo del ricorso al Tar le procedure autorizzative relative all’ampliamento presentano infatti diversi vizi di legittimità. La domanda di ampliamento è stata parcellizzata in più richieste, probabilmente per evitare la procedura di Via del Ministero dell’Ambiente. Il piano di emergenza per lo stabilimento risulta scaduto nel 2012 e la popolazione non è mai stata informata. Nell’ultima domanda si riporta invece una richiesta specifica di Rete Disarmo: «Vogliamo informazioni sull’ispezione dell’Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento (Uama) nello stabilimento di RWM Italia in Sardegna, riportata dalla relazione al Parlamento prevista dalla legge 185/1990 e vogliamo capire se Rheinmetall stia accantonando fondi per fare fronte a questo tipo di rischi e se stia sviluppando iniziative di vigilanza e controllo per prevenire condotte simili in futuro».

E le risposte: nessuna riconversione

Il presidente Papperger elude le risposte, evita di parlare del ricorso al Tar e si dichiara certo che l’azienda rispetti tutte le leggi. Aggiunge inoltre che l’ispezione effettuata dallo Uama consisteva soltanto in una semplice attività di routine.

Molto più netto il giudizio sulla possibilità di riconvertire la fabbrica ad uso civile: Rheinemtall non può permetterselo perché gli ordini sono ancora in corso e per obblighi contrattuali l’azienda dovrà stare aperta ancora per diversi anni. RWM infatti deve ancora smaltire tutte le commesse degli anni passati.

Quest’anno, secondo i dati elaborati da Giorgio Beretta di Opal (Osservatorio permanente sulle armi leggere), nel rapporto dell’Agenzia delle Dogane le consegne da parte dell’Italia in Arabia Saudita ammontano a 108,7 milioni di euro. Di questi, 42 milioni sono attribuibili alle bombe della serie MK 80 prodotte dalla RWM, risalenti ancora alla grossa autorizzazione da 411 milioni del 2016.

Dalla Germania niente export di armi, dall’Italia sì

La Germania ha rinnovato per altri sei mesi la decisione di bloccare l’export di armi verso l’Arabia Saudita, ma come ricorda all’assemblea un attivista di “Fridays for future” (Venerdì per il futuro): “L’azienda Rheinmetall continua ad utilizzare le filiali all’estero per aggirare il divieto”.

Anche in Italia non si è arrivati ad una soluzione. Il movimento Cinque Stelle sostiene la necessità di una riforma della Legge 185 del 1990 che regola l’esportazione delle armi e ha depositato un disegno di legge in Senato con una proposta di modifica. L’iter previsto è lunghissimo e poco utile perché la legge 185 permette già di sospendere le licenze all’esportazione nel caso in cui sia accertato che il paese compratore utilizzi le armi acquistate per compiere violazioni dei diritti umani.

La Lega sulla questione è stata più esplicita, il sottosegretario agli Esteri Picchi, che ha la delega all’esportazione degli armamenti, ha fatto sapere che in caso di blocco dell’export: “Il governo deve essere consapevole di ogni conseguenza negativa occupazionale e commerciale”. Il nostro governo, insomma, si volta dall’altra parte. L’indifferenza domina anche nella sala dell’assemblea, la maggior parte degli azionisti singoli hanno l’aria di pensionati in gita e non appena arriva l’annuncio del pranzo offerto gentilmente dall’azienda, corrono fuori a prendere posto. Di questa giornata si ricorderanno forse solo il dessert.