Ricchi e buoni: se il capitalismo conquista anche la filantropia
Intervista a Nicoletta Dentico, che nel suo libro “Ricchi e buoni?” svela l'ultima terra di conquista del capitalismo: la filantropia
Cosa c’entrano Bill Gates, Warren Buffett, Bill Clinton e Mark Zuckerberg con il vaccino contro il Covid-19? Che cos’è il «filantrocapitalismo»? Ovvero cosa c’entra il capitalismo con la filantropia? Cosa c’è dietro l’interesse dei ricchi del Pianeta per cause sociali come salute, educazione, lotta alla fame? Sono alcune delle domande a cui risponde Nicoletta Dentico, responsabile del programma di salute globale di Society for International Development (SID) ed editorialista di Valori, nel suo ultimo libro-inchiesta “Ricchi e buoni? Le trame oscure del filantrocapitalismo”.
Perché pubblicare questo libro adesso?
Questo libro in realtà ruminava dentro di me da molto. Ed effettivamente ha avuto anche una lunga preparazione. Il tema mi ha attratto da quando ho deciso, politicamente, civilmente e professionalmente, che dovevamo smetterla con questa storia della soglia della povertà. Perché dovevamo cominciare a guardare la soglia della ricchezza. Insomma che bisognava ribaltare il discorso.
Questo è anche un atto di ribellione rispetto a tutte le grandi narrazioni, come gli Obiettivi del Millennio e gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, che io trovo oramai piuttosto insostenibili, con questa idea di essere tutti stakeholder. Come cerco di spiegare nel mio libro, sono l’incardinamento di una certa rivoluzione di governance che i ricchi portano avanti con successo da almeno due decenni, per svuotare la funzione pubblica e il ruolo dei governi.
«Il capitalismo filantropico ha preso in mano l’agenda del bene»
Ma, leggendolo, sembra nato apposta per analizzare la pandemia di Covid-19?
È merito del mio ritardo nella consegna della bozza. Doveva essere pronto per il dicembre del 2019, invece l’ho finito a marzo del 2020. Intanto è scoppiato il Covid. E io ho subito capito che con tutta questa storia il mio libro c’entrava molto. E quindi ho detto alla mia casa editrice di fermarsi. Perché dovevo rivedere tutto il testo alla luce di ciò che stava succedendo. Il Covid è stato un inciampo, che ha reso il libro, in un certo senso, azzeccato dal punto di vista della tempistica.
Che cosa c’entra il libro con la pandemia?
Il libro c’entra perché la governance che si sta costituendo intorno alla gestione della pandemia non è altro che una fase nuova, più ramificata e ormai del tutto operativa, di quello che potremmo chiamare il Davos Consensus. Cioè il World Economic Forum e tutta la élite che rappresenta. Sono coloro che hanno in mano le leve dell’economia e del potere politico. Attraverso le loro imprese e attraverso le fondazioni che mettono in campo, costoro hanno costruito la governance per l’iniziativa internazionale che ruota intorno alla ricerca, alla produzione e all’accesso ai rimedi contro Covid-19. L’Access to Covid Tools Accelerator (Act-A) , di cui COVAX è la componente vaccinale, è una architettura molto complessa che, con i soldi pubblici, punta ad assicurare lo status quo negli assetti della produzione farmaceutica. Salvo forgiare i nuovi mercati nel Sud del mondo. Chi ha in mano le regole del gioco sono le fondazioni filantropiche, con alcune tipologie di industria, l’industria farmaceutica e anche quella finanziaria.
E qual è il ruolo delle fondazioni benefiche?
La Fondazione Bill Melinda & Gates è assolutamente centrale. Ormai viene trattata alla stregua di un qualunque organismo multilaterale. Cioè nella narrazione ufficiale il pantheon di chi porta avanti tutta questa prima lotta globale contro la pandemia è composto dalla Banca Mondiale, dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, dalla Commissione europea e dalla Bill Melinda Gates Foundation. Che quindi nella narrazione ha lo stesso peso di un’istituzione pubblica.
Bill Gates è quello che ha accordi con tutti, quello che ha investito già da sette otto anni nelle aziende biotech – aziende come CureVac o BionTech – che nel tempo della pandemia hanno fatto la loro fortuna con guadgani enormi (sono quelle che guadagnano qualcosa come il 440% in Borsa in due giorni).
È straordinario perché poi tutto questo viene fatto appunto con questa narrazione rassicurante secondo cui la cooperazione internazionale è la strada per trovare una soluzione per i Paesi poveri. In realtà tutto è nelle mani di pochi grandi attori del capitalismo, che reggono le fila del gioco nel loro personale interesse.
«Al di là delle narrazioni rassicuranti, la cooperazione internazionale è nelle mani del capitalismo»
Quindi sono tutte azioni mirate ai propri interessi?
Basta pensare che il Ceo di Cepi (questa Coalition for Pandemic Innovation, nata dopo Ebola sempre con i soldi di Bill Gates) un tempo gestiva il Dipartimento di proprietà intellettuale di Microsoft. Il cui monopolio si è affermato proprio sul brevetto che Microsoft aveva rispetto alla conoscenza informatica.
Quindi il mio libro c’entra moltissimo con la pandemia. Ci sono i grandi sconfitti della pandemia, ma ci sono i grandi approfittatori della pandemia, che uniscono finanza e potere politico. E adesso poi sconfineremo tantissimo in quello che è il loro terreno imprenditoriale d’origine, quello digitale. Per cui ci sarà proprio una finanziarizzazione della salute e una digitalizzazione della salute..
Quindi il capitalismo ha conquistato anche la frontiera della filantropia. Come è stato possibile?
Nel mio prologo emotivo al libro scrivo proprio che uno dei miei motivi di rabbia è quello di vedere il terreno della solidarietà ormai permeato dalle logiche del mercato. La solidarietà, fino a 25 anni fa, era stato un terreno abbastanza protetto da questi tipi di approcci. Oggi invece sono questi filantrocapitalisti che, apparentemente, hanno preso in mano l’agenda del bene. E, in nome di questa agenda del bene, che è una prosecuzione della loro vocazione mercantile, sono di fatto entrati anche nel mondo della solidarietà.
Così come siamo arrivati fin qui? Perché questo è successo?
Nel libro cerco di raccontare un po’ l’economia politica del capitalismo filantropico. Credo che sia una delle espressioni più riuscite e più difficili da sconfiggere, di una globalizzazione che ha pensato di abbinare la liberalizzazione dei mercati ai diritti umani. Hanno vinto la prima, molto meno i secondi. L’unica regola di tutto questo assetto è sostanzialmente l’assenza di regole. Per cui ci si può arricchire ormai in maniera sconfinata in barba a qualunque confine temporale e spaziale, approfittando anche di strumenti che un tempo servivano un obiettivo e oggi servono a un altro obiettivo.
«Il capitalismo e la globalizzazione hanno cercato di abbinare liberalizzazione dei mercati e diritti umani, ma ha vinto la prima»
E i privati hanno assunto ruoli pubblici?
Purtroppo i circuiti dello sviluppo internazionale, dalla Banca Mondiale a molte agenzie delle Nazioni Unite, ormai hanno introiettato il fatto che il privato debba essere parte dell’agenda dello sviluppo. Così coloro che hanno determinato lo sviluppo insostenibile oggi possono far parte delle soluzioni. C’è una tale confusione che chi è vincitore della globalizzazione, chi non attua processi democratici, chi è già in una posizione egemonica può ulteriormente espandere il proprio dominio. Ed è quello che sta succedendo.
Per una fondazione come la Bill & Melinda Gates non esistono confini. Non esiste confine al potere di uno come Ted Turner che, con la sua fondazione, alle Nazioni Unite oggi controlla la performance di tutti gli Stati sul raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. Sono i governi che hanno permesso tutto questo.
Nel libro parli di una perdita di democrazia?
Io vedo due problemi fondamentali: il primo è che questo boom del filantrocapitalismo trova il proprio liquido amniotico nella disuguaglianza strutturale che questa globalizzazione ha prodotto e che purtroppo l’ultimo anno con il virus Covid 19 ha subito un’ulteriore accelerazione.
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Dall’altra c’è un problema che ha sicuramente a che fare con la democrazia, perché evidentemente l’operazione che questi uomini bianchi americani stanno portando avanti punta a una sostanziale privatizzazione dell’agenda politica globale. Quando i filantrocapitalisti hanno scoperto che potevano tramutare il loro potere finanziario in potere politico su scala globale hanno puntato lo sguardo sulla struttura della governance internazionale più debole ed esposta: le Nazioni Unite. Con l’influenza dei loro soldi, facilmente disponibili, hanno apparecchiato le soluzioni adatte per non cambiare le regole del gioco. In un mondo che all’inizio del millennio rivendicava con forza, e con qualche capacità di impatto politico, la globalizzazione dei diritti. Hanno inteso arginare questa onda di trasformazione dal basso cercando soluzioni laterali, e tecniche, a problemi politici, e lo hanno fatto mettendo in campo una nuova genia di attori, in concorrenza con le istituzioni formali: le partnership pubblico privato.
E come hanno fatto a conquistare più potere?
Sono nate molte entità ibride che hanno sottratto i fondi dei governi alle Nazioni Unite. Hanno creato nuovi luoghi decisionali dove stanno insieme i governi e i settori privati. Però queste sono tutte entità di natura privata. Hanno lavorato a una privatizzazione della funzione pubblica su scala internazionale. Gates, Zuckerberg, Bezos sono tutti i vincitori della globalizzazione in nome di posizioni di monopolio di mercato che hanno potuto giocare in virtù delle regole del gioco appunto della globalizzazione.
«Troppe entità ibride dedite al capitalismo filantropico hanno sottratto fondo governativi alle Nazioni Unite»
Oggi è tutto molto confuso. Anche nella società civile, non si fa più la distinzione fra un’istituzione e una partnership pubblico privata. Sembrano tutti alla pari, ma in realtà non è così. Istituzione è un ente che afferisce al diritto pubblico. Una partnership pubblico privata è registrata a Ginevra, a New York, a Seattle, come ente di diritto privato. Queste non fanno accordi, fanno contratti commerciali che non sono visibili da nessuno.
Gates, Zuckerberg e Bezos battono i governi anche nell’erogazione di fondi e nella decisione sul da fare perché dispongono di ingenti capitali e possono stanziarli nel giro di pochi minuti senza passare da nessun processo democratico.