Negli Stati Uniti i rischi climatici diventano argomento tabù
Lo stop alla legge californiana e il dietrofront delle autorità bancarie mostrano l’avversione degli Stati Uniti alla gestione dei rischi climatici
Si potrebbe dire che, negli Stati Uniti di Donald Trump, era un finale già scritto. O quanto meno ampiamente prevedibile. Il Senate Bill 261, che impone alle grandi aziende della California di rendicontare ogni due anni i rischi climatici a cui sono esposte e le misure con cui intendono affrontarli, non entrerà in vigore entro il 1° gennaio 2026 come previsto. La Corte d’appello federale del Nono circuito degli Stati Uniti ha fermato la sua attuazione, con uno stringato ordine procedurale del 18 novembre.
L’incerto destino della legge californiana sulla rendicontazione dei rischi climatici
Era ottobre del 2023 quando il governatore Gavin Newsom firmava due leggi destinate a scatenare un polverone, perché imponevano alle grandi società che operano in California di pubblicare relazioni dettagliate rispettivamente sui rischi climatici e sulle emissioni di gas serra. Da subito la Us Chamber of Commerce ha provato a fermarle per vie legali, inizialmente senza successo. Con l’avvicinarsi della loro entrata in vigore, si è aggiunta la compagnia petrolifera ExxonMobil con una causa che si appella al primo emendamento della Costituzione statunitense, quello che sancisce la libertà di parola.
A metà novembre la US Chamber of Commerce ci ha riprovato. Presentando, insieme ad altri gruppi imprenditoriali, una richiesta d’urgenza alla Corte suprema degli Stati Uniti. Nell’attesa che la Corte suprema si esprima, il Nono circuito ha bloccato l’attuazione solo della legge sui rischi climatici. Per il momento, non cambia nulla per la norma che richiede trasparenza sulle emissioni di gas serra. Le imprese devono pubblicare i primi report entro il 30 giugno 2026 per le emissioni dirette (Scope 1) e legate all’energia acquistata (Scope 2). La scadenza è nel 2027 per le emissioni indirette (Scope 3).
Le grandi banche statunitensi possono disinteressarsi del clima
Anche le grandi banche statunitensi possono archiviare la questione. La Federal Reserve, la Federal Deposit Insurance Corp e l’Office of the Comptroller of the Currency, vale a dire le tre principali autorità federali di vigilanza bancaria e finanziaria, hanno deciso di non fornire più le linee guida per il calcolo dei rischi finanziari legati al clima. Erano state lanciate nell’ottobre 2023, durante l’amministrazione di Joe Biden, ed erano rivolte alle banche che superano i 100 miliardi di dollari di asset ciascuna.
Attraverso una nota congiunta, i regolatori descrivono le linee guida come superflue. Anzi, potenzialmente controproducenti. Perché «tali principi possono distogliere l’attenzione dalla gestione di altri potenziali rischi già individuati e affrontati dai processi di risk management delle istituzioni finanziarie e dalle altre norme e indicazioni di vigilanza delle agenzie».
Anche questa decisione non suona come una sorpresa. Poco dopo l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, infatti, tutte e tre le autorità sono uscite dal Network of Central Banks and Supervisors for Greening the Financial System, una coalizione globale volta a mobilitare la finanza verde e sviluppare raccomandazioni per la gestione dei rischi climatici nel settore finanziario.
Il peso dei rischi climatici negli Stati Uniti e nel mondo
A giudicare dai toni allarmistici delle autorità federali e delle lobby industriali statunitensi, sembra che chiedere trasparenza sui rischi legati al clima sia un’assurdità. È utile allora capire meglio di cosa si stia parlando. Secondo un report del London Stock Exchange Group, oggi i disastri naturali esacerbati dalla crisi climatica coinvolgono circa 155 milioni di persone. Hanno un impatto potenziale sul prodotto interno lordo (Pil) globale pari a 7.800 miliardi di dollari.
Nell’ipotesi – tutt’altro che improbabile – di una salita della temperatura media globale di 2,4 gradi centigradi rispetto ai livelli preindustriali entro la metà del secolo, queste cifre nel 2050 arriveranno rispettivamente fino a 839 milioni di persone e 28.300 miliardi di dollari. E sono stime al ribasso. Considerano, infatti, solo specifici eventi meteo estremi (tra cui uragani, inondazioni, ondate di calore, incendi e stress idrico) e specifici territori tra Stati Uniti, Cina, Giappone, Germania, Regno Unito, Francia, Italia e Turchia.
Negli Stati Uniti, che così strenuamente resistono all’ipotesi di misurare e rendere noti i rischi climatici, almeno una volta ogni decennio un uragano di categoria I (o superiore) minaccerà altri 25 milioni di persone e 2.700 miliardi di dollari di Pil. Anche il rischio di inondazioni è destinato quasi a triplicare, arrivando a coinvolgere beni e attività economiche per 2.400 miliardi di dollari di Pil.




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