Risparmio e investimenti. Per l’Europa la sostenibilità andrà in secondo piano?
Chi investirà potrà indicare le proprie scelte in tema di sostenibilità. Ma le regole potrebbero ridurre fortemente la portata della novità
A seguito della pubblicazione del Piano d’azione della Commissione europea del 2018, volto a favorire l’integrazione dei fattori di sostenibilità nei mercati finanziari, è stata aggiornata la normativa secondaria attuativa della direttiva 2014/65/UE. Si tratta della cosiddetta MiFID2.
L’atto delegato – che completa la direttiva e che nel diritto comunitario assume la forma di un regolamento direttamente vincolante per gli Stati membri – è stato integrato con l’inserimento di tali fattori di sostenibilità nei processi di creazione dei prodotti finanziari. Ma anche nella valutazione dei rischi e nell’acquisizione delle preferenze dei clienti. Così come nell’ambito del processo di investimento e nell’implementazione di determinati requisiti organizzativi e condizioni operative per le imprese finanziarie e di investimento.
L’Esma ha aperto una consultazione pubblica
Le novità troveranno applicazione a partire dal 2 agosto 2022, anche se già diverse influenti associazioni di settore hanno richiesto un rinvio. In ogni caso, a partire dall’entrata in vigore, gli investitori potranno esprimere le loro sustainability preferences. Ciò al momento della “profilazione” del consulente finanziario, nella cosiddetta “valutazione di adeguatezza”. Potranno cioè indicare come vogliono che si tenga conto dei fattori di sostenibilità nel momento in cui si investono i loro risparmi.
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In quest’ambito, alla fine di gennaio, l’Esma (l’Autorità di vigilanza europea sui mercati finanziari), ha aperto una consultazione pubblica sull’aggiornamento delle proprie Linee guida. Queste ultime devono fornire indicazioni su come applicare concretamente la normativa. La scadenza entro la quale inviare commenti è il 27 aprile. L’ESMA aggiornerà quindi le guidelines nel terzo trimestre del 2022, sulla base delle osservazioni ricevute.
La valutazione sulla rispondenza di un prodotto rispetto alle aspettative del potenziale cliente è uno dei requisiti principali per la protezione dell’investitore. Si applica alla fornitura di qualsiasi tipo di investimento, attività di consulenza e gestione di portafogli. E l’impresa finanziaria (o il consulente) deve fornire adeguate raccomandazioni, personalizzate, ai propri clienti. O prendere adeguate decisioni di investimento per loro conto. Si tratta di un vero e proprio “dovere fiduciario” che si viene a instaurare tra un professionista e il suo cliente. E che può avere diversi livelli di conoscenza e consapevolezza di ciò che gli viene offerto. Con diversi livelli di tutela previsti.
Le novità che potrebbero essere introdotte nelle Linee guida
Ma quali sono le principali modifiche alle Linee guida, che recepiscono le modifiche al Regolamento Delegato MIFID2 in materia di sostenibilità? Innanzitutto, per raccogliere informazioni dai clienti sulle loro “preferenze di sostenibilità”, gli intermediari finanziari dovrebbero aiutare i clienti a comprendere tale complesso concetto. E indicare le diverse tipologie di prodotti che hanno nel proprio catalogo e che sono inclusi in questa definizione.
Un primo problema potrebbe sorgere in riferimento all’approccio suggerito per raccogliere informazioni sulle preferenze di sostenibilità dei clienti. Esso potrebbe infatti essere diverso da quello che già oggi si utilizza per i “tradizionali” parametri finanziari. Ovvero età, capacità finanziaria complessiva, capacità di sopportare rischi e perdite, gestione del portafoglio, ecc. La valutazione delle “preferenze di sostenibilità” potrebbe essere considerata solo in un secondo momento. Una volta che l’adeguatezza del prodotto è stata valutata in base ai (tradizionali) criteri di conoscenza ed esperienza, situazione finanziaria e altri obiettivi di investimento. Essa è, dunque, “ancillare” e subordinata alla prima e si basa sostanzialmente su un processo di autovalutazione.
È importante sottolineare, inoltre, come la normativa (e le Linee guida) – a differenza di quanto previsto per i requisiti (tradizionali) a contenuto finanziario, che non possono essere modificati – disponga che per le “preferenze di sostenibilità” gli intermediari possano comunque, una volta constatato di non avere a catalogo un prodotto in grado di rispondere alle aspettative rilevate, raccomandare un prodotto diverso. Tutto ciò dopo aver chiesto al cliente di adattare le proprie aspettative di sostenibilità riportando puntualmente tale downgrading nel documento relativo alla valutazione di adeguatezza. In altre parole, verrebbe chiesto come orientarsi su clima, ambiente, biodiversità, diritti, trasparenza. Ma se poi non si ha un prodotto che risponde a tali requisiti, se ne può proporre uno “classico”.
E se i clienti non esprimono preferenze in tema di sostenibilità?
Le linee guida affrontano anche la situazione in cui un cliente non esprima preferenze di sostenibilità. In tale ipotesi – secondo quanto stabilito dal Regolamento 2088/2019/UE (SFDR, che disciplina la “trasparenza” nei prodotti finanziari sui fattori ambientali, sociali e di governance) – il prodotto offerto, che non rientra tra quelli indicati come sostenibili, deve comunque riportare indicazioni in merito ai Principali impatti avversi (PAI, dall’acronimo inglese) collegati a fattori ESG.
Infine, per svolgere adeguatamente il ruolo, le imprese dovranno formare adeguatamente il personale su temi di sostenibilità e tenere traccia delle preferenze di sostenibilità del cliente (se presenti) ed eventuali aggiornamenti di tali preferenze.
Perché non concedere pari dignità a sostenibilità e profilazione finanziaria?
Dal complesso e articolato quadro tratteggiato emergono dunque alcune criticità sulle quali riflettere. Innanzitutto, perché inserire l’argomento ESG, nella valutazione del cliente, solo in un secondo momento? Non sarebbe meglio che profilazione finanziaria e di sostenibilità fossero sullo stesso piano? Perlomeno per alcune tipologie di prodotto.
Le Linee guida, infatti, prevedono che il cliente che esprima preferenze di sostenibilità, specifichi anche se vuole prodotti “articolo 8” (i cosiddetti light green) o “articolo 9” (dark green) del regolamento 2088/2019 citato. La differenza è molto importante: nei prodotti dark green l’obiettivo di sostenibilità ha una portata molto più ampia e pervasiva. E gli obblighi che si assume l’intermediario finanziario, il suo dovere fiduciario, sono permeati dall’obiettivo di sostenibilità. Che insieme a quello finanziario caratterizza, appunto, quel prodotto.
E allora perché dovrebbe essere possibile modificare l’offerta nel caso in cui l’intermediario finanziario, banca o società di consulenza, non abbia a catalogo il prodotto sostenibile adatto al cliente? Se per esempio un risparmiatore volesse investire in un fondo di social housing, tipicamente articolo 9, dovrebbe modificare le sue indicazioni soltanto perché l’intermediario finanziario non è in grado di offrirgli quel prodotto. Si rischia di perdere opportunità di innovazione e si frustrano le aspettative dei clienti più sensibili. Si badi che la normativa permette questo adattamento solo per le preferenze di sostenibilità. Non per le caratteristiche finanziarie presenti nella profilazione.
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Il nodo della percentuale minima di investimenti green
Un altro punto critico sollevato riguarda il fatto che l’investitore, oltre a indicare la categoria, dovrebbe anche indicare la percentuale di investimenti green minima che devono avere tali prodotti finanziari. La norma è reputata di difficilissima applicazione, perché i fondi di investimento al dettaglio semplici e diversificati hanno, almeno in questa fase, livelli di allineamento alla Tassonomia europea sulle attività (ambientali) sostenibili relativamente bassi (2-8%).
Ciononostante già oggi, quando investiamo, ad esempio, in un Fondo di previdenza complementare, possiamo indicare in quale percentuale vogliamo che la nostra quota sia investita in linea garantita, azionaria, obbligazionaria o bilanciata. A tendere, questa facoltà andrà a includere investimenti sempre più allineati alla sostenibilità. Insomma, se vogliamo promuovere veramente prodotti finanziari sostenibili dobbiamo rendere il processo più fluido. Favorendo l’innovazione e fornendo informazioni adeguate che permettano ai consumatori del (prossimo) futuro di fare scelte di investimento più consapevoli. Anche sotto il profilo della sostenibilità. Ne va del futuro nostro e del Pianeta.