Tassonomia, la Commissione europea insiste su gas e nucleare

La versione definitiva della tassonomia pubblicata dalla Commissione include gas e nucleare. Ma per i sostenitori dell'atomo non è un trionfo

La Commissione europea ha pubblicato, dopo anni di discussioni, il testo della tassonomia degli investimenti sostenibili © olrat/iStockPhoto

La Commissione europea guidata dalla conservatrice Ursula von der Leyen ha pubblicato la versione definitiva della tassonomia delle attività economiche considerate sostenibili da un punto di vista ambientale. Dopo anni di discussioni, l’organismo esecutivo di Bruxelles ha deciso di ribadire la posizione assunta alla fine di dicembre. Ovvero inserire nell’elenco anche il nucleare e il gas. Nonostante su entrambi l’Europa sia estremamente divisa al proprio interno. 

Il nucleare, infatti, presenta non soltanto innegabili rischi dal punto di vista dei possibili incidenti e della gestione delle scorie. Nel primo caso la stessa autorità di controllo di una nazione nuclearista come la Francia ha spiegato a chiare lettere che una centrale sicura al 100%, semplicemente, «non esiste». Il che cozza di fatto con il principio di innocuità (do no significant harm principle), valido sia per la questione sicurezza che per le scorie.

La Commissione europea spaccata in due dal nucleare

Sul secondo punto la stessa nazione europea, nonostante decenni di sfruttamento dell’atomo, non è ancora in grado di fornire risposte su stoccaggio e riprocessamento.

E anche dal punto di vista climatico sussistono numerose perplessità. In primo luogo per i tempi di costruzione, che due casi emblematici europei hanno dimostrato essere estremamente più lunghi rispetto alle previsioni dei costruttori. Al contempo, i costi sono letteralmente esplosi, con svariati miliardi di euro in più rispetto alle stime iniziali.

centrale nucleare tricastin edf Dean Calma : IAEA Flickr
La centrale nucleare francese di Tricastin © Dean Calma-IAEA/Flickr

Per quanto riguarda il gas, invece, non sono state di fatto ascoltati gli appelli della quasi totalità delle associazioni ambientaliste, né i numeri forniti dalla scienza. Se si vorrà infatti mantenere la crescita della temperatura media globale ad un massimo di 1,5 gradi centigradi alla fine del secolo, non possiamo più permetterci di bruciare combustibili fossili di qualsivoglia tipo. 

Per l’Europa, invece, c’è spazio per nuove centrali a gas. Con qualche paletto: dovranno ottenere un permesso di costruzione entro il 2030. E dovranno, da una parte, non emettere più di 270 grammi di CO2 per ciascun kWh prodotto. Ciò per i progetti autorizzati fino al 31 dicembre 2030. Dopo, occorrerà abbattere il valore a 100 grammi sull’intero ciclo di vita degli impianti, il che con le tecnologie attuali è ancora praticamente impossibile. In secondo luogo, le nuove centrali dovranno sostituire infrastrutture esistenti più nocive per il clima.

Sul gas cancellati gli obiettivi intermedi di transizione

La Germania ha inoltre ottenuto l’ok ad avere più tempo a disposizione per sostituire il gas naturale con fonti rinnovabili o idrogeno. Una delle condizioni poste da Berlino al proprio via libera alla tassonomia. Nel testo la transizione è prevista al 2035, ma gli obiettivi intermedi, inizialmente previsti per il 2026 (30%) e poi al 2030 (55%) sono scomparsi.

L’atto delegato presentato la Commissione ha dunque mantenuto sostanzialmente le posizioni assunte nella bozza diffusa a dicembre. Il che ha provocato un autentico terremoto interno. Ben sei commissari hanno infatti manifestato la loro stessa opposizione. E il vicepresidente Frans Timmermans ha fatto sapere che il testo, così com’è, rappresenta un chiaro passo indietro rispetto agli obiettivi del Green Deal. Sul nucleare, inoltre, l’entourage del politico olandese ha parlato di visione datata. Necessaria, in sostanza, soprattutto per via dell’insistenza della Francia.

Una posizione ancor più dura è stata assunta da Austria e Lussemburgo, con la prima che ha perfino minacciato di trascinare in tribunale la Commissione se la norma verrà davvero approvata. Per farlo servono i via libera del Parlamento europeo e del Consiglio. Ma nel primo caso, per bloccare il progetto occorre un “no” a maggioranza assoluta (353 membri). Nel caso del Consiglio, il rifiuto dovrebbe arrivare da 20 Stati membri, che rappresentino almeno il 65% della popolazione europea. Entrambi hanno quattro mesi di tempo per analizzare il documento. Più due ulteriori in caso di difficoltà.

Perché per i nuclearisti non è un trionfo

Difficile dunque che si possa fare retromarcia. Eppure i nuclearisti europei non sono così contenti. La ragione sta nei dettagli della tassonomia stessa, la cui entrata in vigore è prevista per il 1 gennaio 2023. Per essere finanziati, infatti, i progetti di nuovi reattori nucleari dovranno ottenere un permesso di costruire entro il 2045. Mentre per le modifiche alle installazioni la data è fissata al 2040. 

Secondo quanto dichiarato al quotidiano francese Les Echos da Bernard Accoyer presidente dell’associazione nuclearista “Patrimonio nucleare e clima”, «le date sono troppo ravvicinate» e «ostacoleranno il prolungamento della durata in servizio dei reattori esistenti». Che a suo avviso, ovviamente, è «indispensabile». 

Inoltre, la Società francese dell’energia nucleare (Sfen) ha puntato il dito contro l’obbligo di ricorrere, a partire dal 2025, ai cosiddetti ATF. Si tratta degli “accident tolerant fuels”, combustibili teoricamente in grado di garantire maggiore sicurezza. Secondo la Sfen i riferimenti della tassonomia in questo senso sarebbero troppo “nebulosi” dal punto di vista giuridico. Inoltre, la stessa associazione sottolinea come tali combustibili rappresentino una tecnologia pressoché neonata. Per i nuclearisti, dunque, è una vittoria ma non un trionfo.

Qualora la tassonomia dovesse essere approvata definitivamente in questa forma, occorrerà in ogni caso verificare se gli investitori decideranno davvero di puntare su tali tecnologie. Il Gruppo Banca Etica, ad esempio, ha già fatto sapere che non si baserà sui criteri poco stringenti individuati dalla Commissione. E escluderà, appunto, sia il gas che il nucleare dal proprio orizzonte di investimenti.

Ma anche altri attori del mondo della finanza, ben meno etici, hanno manifestato grandi perplessità. È il caso del membri della Institutional Investors Group on Climate Change (Iigcc), organizzazione che raccoglie 360 tra fondi, fondi pensione, società di gestione del risparmio che gestiscono fondi per 49mila miliardi di euro. Tra di loro colossi come Allianz, Amundi e Goldman Sachs. Il 12 gennaio l’IIgcc ha inviato una lettera aperta alla Commissione europea per ribadire la propria contrarietà all’inserimento del gas nella tassonomia.