La rivoluzione fallita del calcio cinese (Volume Due)

L’addio di Oscar e il fallimento del Guangzhou Fc sono il definitivo risveglio del calcio cinese dal sogno di dominare il mondo

Le mancate qualificazioni mondiali innescano il crollo del calcio cinese © Wikimedia Commons

Le motivazioni di quanto raccontato finora non sono ancora chiare. Sicuramente la pandemia di Covid-19, che mette in ginocchio l’economia cinese, ha un ruolo. Soprattutto perché la Cina investe nel pallone, in casa e fuori, soprattutto attraverso colossi dell’immobiliare o della vendita al dettaglio. I cui interessi più evidenti sono il mattone e l’apertura di nuove catene di negozi. Questi investimenti fanno parte del progetto della Via della Seta, che punta su quelle solide realtà materiali di cui il pallone, oramai smaterializzato nei flussi finanziari, può serenamente fare a meno. A guardare le cose in retrospettiva, infatti, la costruzione di nuovi stadi, con tutto l’indotto delle infrastrutture, erano anche lo scopo dei primi investimenti americani nel calcio europeo.

Proprio in quegli anni però avevano cominciato a investire nel pallone i fondi d’investimento finanziario, i quali avevano un puro interesse speculativo di creazione di valore. Anche e soprattutto attraverso lo strumento del debito. La competizione è impari. Se nel calcio europeo quindi i vecchi americani lasciano spazio ai nuovi americani, o presunti tali visto che le sedi di questi fondi sono sempre nei paradisi fiscali, i vecchi cinesi invece spariscono e basta, in patria e all’estero. In Cina le grandi aziende proprietarie smettono di fare follie sul calciomercato, anche perché le nuove tasse impediscono acquisti faraonici. E la Chinese Super League si ridimensiona, attirando giusto qualche vecchia gloria al tramonto. È una ritirata di dimensioni colossali. Il cui vuoto sarà riempito dai paesi del Golfo, senza i quali il calcio europeo avrebbe dovuto dichiarare bancarotta.

La via giudiziaria al socialismo con caratteristiche cinesi

Senza addentrarci nei meandri della politica del moltitudinario partito unico, è chiaro che con l’inizio del secondo mandato di Xi Jinping nel 2018 cambia qualcosa. Il suo progetto di «socialismo con caratteristiche cinesi» deve fare i conti con una bolla speculativa interna che si rivela come tale con l’esplosione della pandemia. E a fare le spese dell’esplosione della bolla è il pallone. Se tra il 2011 e il 2019 i club della Chinese Super League hanno speso la bellezza di 2 miliardi di euro in trasferimenti internazionali di calciatori, dal 2020 a oggi il calcio cinese ha movimentato poche decine di milioni. Nelle sessioni di calciomercato per la stagione 2024/25 secondo il portale Transfermarkt sono stati spesi appena 2 milioni e 300mila euro. In quella precedente meno di dieci.

Nel frattempo, le aziende cinesi che avevano gonfiato i bilanci nella bolla espansiva sono messe sotto processo. E il calcio segue a ruota. Nel 2022 è arrestato Li Tie, che abbiamo raccontato nella prima parte come il successore di Lippi e Cannavaro alla guida della fallimentare esperienza della Nazionale cinese alle qualificazioni mondiali. L’accusa è di corruzione, e di avere ricevuto tangenti alla guida dei club e della Nazionale. Nel 2023 poi viene arrestato Chen Xuyuan, presidente della Federcalcio cinese, sempre per corruzione. Nel 2024 l’ex gloria del calcio cinese, con un passato da giocatore anche in Premier League, è condannato a 20 anni di carcere. Il dirigente all’ergastolo. Come erano state politiche le loro nomine, non è difficile immaginare siano stato politiche le loro condanne. Al di là di eventuali colpe.

Il ballo del potere dietro il crollo del calcio cinese

Ma come detto, sono le grandi aziende che avevano investito nel pallone a cadere sotto i colpi della scure giudiziaria. Il caso più noto, almeno in Italia, è quello del Suning Holdings Group che dal 2016 controllava la maggioranza dell’Inter. E che è stata anche la prima e unica proprietà cinese a vincere qualcosa nel calcio europeo. Già nel 2021 si rincorrono le prime voci sulle difficoltà finanziarie del colosso della vendita al dettaglio, con l’ingresso dello Stato cinese nel capitale azionario del gruppo. E in pochi mesi dall’Italia scompaiono prima il padre poi il figlio, che fanno sapere di seguire le vicende del club dalla madrepatria. Fino a che, nel maggio 2024, a causa del mancato ripagamento del debito di circa 450 milioni di euro al fondo d’investimento statunitense Oaktree Capital Management che aveva prestato loro i soldi, è tutta Suning a scomparire. E l’Inter diventa proprietà di Oaktree.

Sempre nel 2021 infatti Suning era stata costretta a chiudere il Jiangsu Suning Fc, che aveva acquistato nel 2016 e con cui aveva vinto il campionato nel 2020. Ma non è l’unica. Tra le altre nel 2022 sono fallite il Chongqing Dangdai Lifan e nel 2023 l’Hebei Zhongji Fc e il Wuhan Yangtze, simbolo degli omonimi gruppi di potere. Nel 2024 il Dailan Pro e lo Shenzhen Fc. Quasi tutte create all’inizio degli anni Dieci con i soldi di grandi conglomerati cinesi e tutte chiuse a causa della bancarotta delle case madri. Tutto era pronto per il crollo della più grande di tutte, l’ex Guangzhou Evergrande di Lippi e Cannavaro. Ma prima doveva esserci un altro annuncio, quello che avrebbe definitivamente risvegliato la Cina dal suo sogno di diventare una superpotenza nel mondo del pallone.

Lady Oscar e il fallimento della rivoluzione

Il talentuoso trequartista brasiliano Oscar dos Santos Emboaba Júnior, semplicemente noto come Oscar, arriva al Chelsea a nemmeno vent’anni nel 2012. Il club londinese lo acquista dall’Internacional di Porto Alegre per 32 milioni di euro, che dieci anni fa sono una cifra più che considerevole per un ragazzino. Per capirci, all’epoca i trasferimenti record sono quelli di Van Persie e Thiago Silva per poco più di 40 milioni. Titolare con la Nazionale verdeoro al Mondiale di Brasile 2014, a soli 23 anni nel 2016 lascia il Chelsea e si trasferisce per 60 milioni allo Shanghai Port Fc (dal nome dello sponsor, la società che gestisce il porto di Shangai). È l’inizio della fine.

Se la sua omonima Oscar François de Jarjayes, eroina del manga giapponese meglio conosciuta in Italia come Lady Oscar, è maestra di tempismo e abbandona Versailles per partecipare tumulti che precedono la Rivoluzione Francese, il povero Oscar sbaglia tutto. Quella che doveva essere la stella futura del calcio mondiale esce per sempre dai radar del grande calcio. Non viene più nemmeno convocato in Nazionale, e in breve tempo sparisce anche dalla memoria degli appassionati più tenaci. A suo discapito, va detto, si è sempre rivendicato il trasferimento come scelta puramente economica per sé e la famiglia. E quando a dicembre 2024 arriva l’annuncio che anche Oscar ha lasciato la Cina e si è trasferito per 4 milioni al San Paolo in Brasile, si capisce che la rivoluzione culturale è fallita. Almeno nel pallone.

Le nuove traiettorie del calcio globale

E così due settimane dopo nessuno si stupisce quando arriva la comunicazione del Guangzhou Fc: «A causa dei pesanti oneri finanziari derivanti dalle stagioni precedenti, il club non è riuscito a saldare tutti i debiti entro la scadenza. Esprimiamo le nostre sincere scuse a tutti i sostenitori della comunità e apprezziamo molto la comprensione e il perdono di tutti i tifosi». La rivoluzione è finita. Il tentativo di conquistare il calcio globale attraverso gli investimenti infrastrutturali della Via della Seta non ha funzionato. Sommerso dai debiti e puntellato dai bilanci in rosso, per sopravvivere il calcio globale necessita di nuove traiettorie puramente speculative. I conglomerati cinesi sono sostituiti dai fondi d’investimento, che li si voglia chiamare arabi o americani. È arrivato il tempo della restaurazione. È arrivato il tempo della finanza.