Quel legame tra sanità, corruzione e mafie. E gli errori da non ripetere
Alberto Vannucci: «Il timore è che in questa fase di emergenza si possano fare spazio corruttori e mafie. Tra gli esperti coinvolti nessuna figura dell'anticorruzione»
«La corruzione nuoce gravemente alla salute». Parola del Fondo Monetario internazionale e di Alberto Vannucci, politologo e coordinatore del master in Analisi, prevenzione e contrasto della criminalità organizzata e della corruzione all’Università di Pisa, intervistato qui da Valori.
«Anche le tangenti hanno i loro effetti sui malati», scriveva un mese fa su La via libera, proprio nel momento in cui regione Lombardia aveva nominato come commissario straordinario all’emergenza Covid-19, Guido Bertolaso. «Una nomina sconfortante – commenta Alberto Vannucci – Le passate gestioni commissariali dell’emergenza, nel nostro Paese, di cui l’ex responsabile nazionale della Protezione Civile rimane simbolo, si sono rivelate proprio il coacervo di sprechi e ritardi, non dimentichiamolo».
Arriverà il momento di tracciare il bilancio delle vittime, ma fin da ora si può affermare con certezza che la diffusione delle pratiche di corruzione è responsabile di una quota di quelle vittime – di Alberto Vannuccihttps://t.co/6bIIy0iaiP
— Lavialibera (@Lavialibera) March 17, 2020
Senza trasparenza e controlli si ripiomba nella malasanità
Le cronache, intanto, confermano come, a fare le spese dell’inefficienza e dei tagli in sanità, siano stati, oltre gli stessi operatori sanitari, anziani e disabili. Quella parte più fragile ed esposta della popolazione, per esempio, ricoverata nelle Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA) o nelle RSD, diventati focolai mortali di coronavirus. Sarà la magistratura a accertare le responsabilità, ma quello che emerge è un quadro drammatico. In cui si alternano denunce accorate, come a Bergamo, a silenzi «ubbidienti» alle direttive impartite da regione Lombardia, come nell’Ats di Varese, Insubria, al Pio Albergo Trivulzio di Milano o all’Istituto Bassano Cremonesini di Pontevico.
La privatizzazione del sistema sanitario, sta rivelando tutti i suoi limiti. «Il timore è che si possano fare spazio ancora corruttori e mafie – sottolinea ancora Vannucci – E mi stupisce come, tra i tanti esperti chiamati nella task force ministeriale per l’utilizzo dei dati contro il Covid-19, non ci siano figure dell’anticorruzione».
Un problema che, ancora una volta, non viene percepito – nonostante tutti gli allarmi della DNA, dello stesso ministero dell’Interno e da Avviso Pubblico – come un pericolo incombente. «Certo è – aggiunge Vannucci – che questo drammatico “stress-test”, sta mettendo in luce i sistemi di sanità regionale dove c’è più pubblico, come in Veneto. E tutte le ombre del modello lombardo».
La corruzione in sanità ci costa tra i 5 e 7 miliardi
Secondo la mappa, elaborata da Transparency Italia, della corruzione in Italia (raccontata sui media), solo nell’ultimo anno in tutta la Penisola ci sono stati 141 casi di corruzione in sanità. Dalla Lombardia alla Calabria, nessun sistema sanitario regionale è senza macchia e i cittadini lo hanno ben compreso.
Secondo l’attuale viceministro della Sanità, Pierpaolo Sileri, la corruzione incide almeno sul 5% del Fondo Sanitario Nazionale e ci costa, ogni anno, tra i 5 e i 7 miliardi.
La totalità degli italiani è ben consapevole dei fenomeni corruttivi nel nostro Paese: almeno il 44% ha individuato nella sanità uno dei settori più colpiti, come documenta l’ultimo sondaggio di Eurobarometro. «Ma la si tollera, come se fosse il prezzo da pagare per aver un buon servizio sanitario – ribadisce Vannucci – Eppure, senza trasparenza e un adeguato sistema di controlli, è proprio la qualità delle cure a decadere. Con ripercussioni certe sulla salute dei pazienti».
Gestioni commissariali: oltre 22 miliardi di euro di appalti su cui vigilare
A livello nazionale sul piatto ci sono, almeno, 22 miliardi di euro, sui 30 totali della spesa pubblica per il servizio sanitario nazionale. Fondi che vengono gestiti attraverso Consip, società del ministero delle Finanze. «Si tratta di un soggetto attuatore», spiega Vannucci, che sovraintende a tutte le gare di acquisto per beni e servizi «standard». Ma anche alla spesa che riguarda le apparecchiature diagnostiche, i dispositivi medici e i farmaci.
Nella catena di comando, delineata dal governo Conte, il budget straordinario per l’emergenza Covid-19 viene gestito dal Dipartimento della Protezione Civile e dal Commissario straordinario, Domenico Arcuri, già amministratore delegato di Invitalia, una delle più importanti stazioni appaltanti che opera per la Pubblica Amministrazione italiana. Si è ritrovato così, per effetto della nomina governativa, dall’altra parte della barricata.
Servono controlli raffinati
Ancora un volta i fondi per l’emergenza rischiano di essere gestiti senza controlli? «La situazione è tale che non si può fare altrimenti – riconosce Alberto Vannucci – Ma nella fase due, dovremo tornare a prestare più attenzione. È vero, la norma non è perfetta, è ancora farraginosa».
Nonostante l’entrata in vigore della normativa anticorruzione e la riforma del codice degli appalti, è cambiato ancora troppo poco, sottolinea Vannucci:
«Il processo richiede meccanismi di controllo più raffinati, diversi dal passato. Alcuni strumenti ci sono già e sono stati messi in atto. Ma ci vuole anche una maggiore trasparenza nella macchina amministrativa».
Appaltare i servizi di cura favorisce la corruzione
Dove bisogna incidere, quindi? «Dietro la parola “efficientamento”, spesso ritroviamo l’esternalizzazione dei servizi di cura. È un effetto anche dei tagli operati dalle regioni sulle ASL, ma può divenire oggetto dell’ingerenza della criminalità d’impresa e organizzata», ribadisce Vannucci. La punta dell’iceberg è la totale mancanza dei dispositivi di protezione individuale, su cui il crimine d’impresa si è subito gettato, come dimostra il primo arresto di un imprenditore romano per la turbativa di gara Consip per 24 milioni di euro, bloccata dalla Guardia di Finanza.
A ricordarlo è anche l’ultima relazione della Commissione Antimafia della XVII legislatura guidata da Rosy Bindi, con un intero capitolo dedicato alle mafie e alla corruzione in sanità. «L’esternalizzazione dei servizi è di per sé un semplice fattore di rischio, al pari di quello connesso all’acquisto di beni. Non è una causa dell’illegalità», sottolineava la commissione, nel 2018. «Ma è innegabile che molti degli accordi a danno della sanità pubblica, messi in atto dalle organizzazioni criminali, con la collaborazione diretta o implicita della politica e dell’amministrazione sanitaria, abbiano riguardato i servizi esternalizzati».
#Roma alla presentazione della relazione finale della Commissione #Antimafia don Luigi #Ciotti ringrazia Rosy #Bindi per il lavoro fatto: avete costruito dignità e #speranza, ma occorre fare tutti di più #insieme per costruire una società più giusta libera da #mafie e #corruzione pic.twitter.com/FWeziIxAPr
— Lorenzo Frigerio (@lorenz_frigerio) February 21, 2018
La liberalizzazione spinta apre varchi strutturali alla corruzione
Anche l’Osservatorio sulla Criminalità Organizzata, guidato dal prof. Nando Dalla Chiesa, già nel 2015, nella relazione semestrale alla Commissione antimafia, aveva confermato come «la Lombardia fosse la regione del Nord in cui si rilevano i principali casi di penetrazione mafiosa in ambito sanitario». Secondo i ricercatori del Cross, il sistema sanitario lombardo è «una miniera d’oro in cui riciclare denaro derivante da proventi illeciti o aggiudicarsi, attraverso opportune strategie di intermediazione, importanti appalti da cui ottenere ulteriori profitti».
La cosiddetta “zona grigia” è avanzata, delineando alcuni tratti nuovi: «come il sistema di fedeltà politiche, regolatore delle nomine del personale medico-sanitario – sottolinea l’Osservatorio sulla criminalità organizzata – ma anche l’apertura di varchi strutturali alla corruzione, attraverso un processo di liberalizzazione spinta del sistema sanitario regionale. Con un meccanismo di controllo insufficiente a garantire un equilibrio strategico tra pubblico (in calo) e privato (in crescita)».
Da Transparency a Openpolis: trasparenza sui fondi per l’emergenza
«Le misure adottate in caso di emergenza sanitaria devono rimanere eccezionali, rigorosamente proporzionate e limitate nel tempo. Il Parlamento deve, inoltre, essere informato in tempo reale ed esercitare i suoi poteri di controllo sull’azione pubblica», ricordano ai decisori i responsabili di Transparency Italia, che, proprio in occasione della giornata mondiale della sanità (il 6 aprile), ha avviato il Forum per l’Integrità in Sanità (Health Integrity Forum – HIF). Un’iniziativa nata con il patrocinio dell’Associazione Italiana per l’Integrità della Salute, che mira a promuovere e diffondere le buone pratiche di trasparenza, etica ed integrità in tutte le strutture sanitarie pubbliche.
Dall’altro canto la fondazione Openpolis ha chiesto l’apertura in open data di tutti gli atti legati all’emergenza. «Chiediamo ad Arcuri, Borrelli e Cannarsa di rendere pubblici i contratti stipulati per fare fronte all’emergenza Covid-19. La trasparenza non è un ostacolo, ma presupposto di buona amministrazione».
Non è compito nostro commentare la gestione della crisi, ma dobbiamo evitare che i principi di responsabilità, trasparenza ed etica siano messi in secondo piano in virtù dell’”urgenza di agire”. #COVID19 #Covid_19 https://t.co/B6frzs6eqc
— Transparency Italia (@transparency_it) April 7, 2020
L’allarme della DNA e della Commissione Antimafia
«Dobbiamo evitare che i clan si mangino l’economia». Questo è l’altro rischio della pandemia, ha ricordato il Procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero de Raho. L’Italia è doppiamente esposta alla corruzione e alle infiltrazioni, come l’ultima relazione della DNA aveva rivelato, nei mesi scorsi.
Cafiero De Raho a Mezz'ora in più: "Con una crisi di liquidità si rischia assalto #mafia all'economia" https://t.co/0G8g7YiHMo pic.twitter.com/ZwVXTjVFlh
— Concentrazione Antimafia (@concentrazione) April 5, 2020
Già lo scorso gennaio, intanto, il presidente dell’attuale Commissione Antimafia, Nicola Morra, ha nominato come proprio collaboratore Raffaele Cantone, l’ex presidente dell’Autorità Anticorruzione. «Un’esperienza che aiuterà il lavoro della commissione nella sua fase di proposta legislativa». Una speranza, dopo che lo stesso Cantone era stato costretto ad abbandonare, prima della scadenza del suo mandato la direzione dell’Autorità, anche a seguito delle mancate modifiche al codice degli appalti.
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